Africa
Il Mediterraneo come luogo di costruzione di comunità nello sguardo di Mattei
Spesso si dice, anche con un gusto della retorica quanto mai autoreferenziale, che il Mediterraneo è la culla della civiltà, dimenticando come dal Novecento fino ai nostri giorni il Mediterraneo sia in realtà stato utilizzato meramente come deposito, discarica, serbatoio e di conseguenza sia spesso diventato una vera e propria fucina dei peggiori regimi, fondamentalismi oltre che palcoscenico di guerre spesso fratricide.
Oggi, inoltre, il Mediterraneo sembra rappresentare esclusivamente uno dei maggiori ostacoli per giovani popoli in fuga da terre straziate e immiserite. Un mare che è spesso il tetro punto di arrivo di una speranza di vita che sia migliore, per sè e per i propri figli. La mancanza di alternativa di uno pensiero abbia la forza di costruire nuove possibilità è forse al centro di una tragedia quotidiana che ci costringe tutti ad una riflessione attenta e accurata sul tempo che stiamo vivendo, e che rischia di lasciarci soli senza più nessuno in grado di avere voce per protestare e per immaginare un cambiamento, un po’ come nella famosa poesia di Bertolt Brecht tratta dal sermone del pastore Martin Niemöller.
Sotto scacco da una crisi economica, ma anche politica la società globale sembra aver dimenticato le prospettive di cambiamento democratico e civile che seppur tra mille contraddizioni definivano la sua azione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quel tempo fu – oggi possiamo dirlo – un’epoca di ricostruzione culturale e politica oltre che economica in grado di garantire insieme allo sviluppo una visione di futuro che fosse alla portata di tutti: ogni cittadino poteva nella seconda metà del Novecento ambire ad un luogo, ad un lavoro, ad una vita in sostanza migliore.
In questo movimento globale, andò ad inserirsi sicuramente con abilità e destrezza la figura di Enrico Mattei che non fu solo un manager capace o un capo azienda visionario, ma fu un uomo in grado di mettere al servizio della società i propri stessi ideali. Mattei – come ricorda puntualmente Giuseppe Accorinti che fu uno dei componenti di quelli che furono definiti “i ragazzi di Mattei” – fu un partigiano, un anti colonialista e in quanto europeista, un convinto assertore della centralità mediterranea quale strumento fondante di una democrazia pacificata e diffusa oltre i confini ristretti e blindati degli Stati Nazione.
Ovviamente Mattei non derogava al proprio ruolo di presidente di Eni e quindi di quelli che erano gli interessi specifici di una compagnia energetica centrale nello sviluppo del Paese, ma tanto meno derogava agli ideali che da sempre lo guidavano nella propria vita. Il punto, per l’ingegnere Mattei (come amava essere chiamato), era quello di dare forma e concretezza agli ideali attraverso un lavoro quotidiano che contenesse al suo interno, nel suo cuore, uno sguardo ampio sugli eventi e sugli equilibri globali: solo così era (ed è) infatti possibile costruire e innovare e in alcuni casi facendolo radicalmente e in breve tempo.
Ed è partendo dall’attacco terroristico che, pochi giorni dopo Parigi, ha colpito il Mali e che ha visto la morte di ben ventuno persone presso l’hotel Radisson Blue di Bamako che Giuseppe Accorinti torna con la memoria a quel 26 ottobre del 1962, quando fu inviato da Enrico Mattei a Bamako. L’obiettivo della spedizione era aprire un canale in quello che a quel tempo era un Mali da poco liberato dal giogo colonialista francese e che tra mille difficoltà tentava di definire la propria indipendenza attraverso la guida del presidente marxista Modico Keita.
A quel tempo Eni giocava una partita delicata su più campi e lo faceva sfidando, oltre che le grandi compagnie energetiche anglosassoni, anche gli equilibri politici che si andavano definendo sempre più tra due blocchi contrapposti. La sfida di Mattei era allora culturale, attraverso il dialogo e la cooperazione intravedeva infatti la possibilità di una svolta sia per Eni, ma soprattutto civile e democratica. Eni in fondo aveva una funzione risanatrice e per certi versi risolutrice nell’ottica di Mattei, ossia una compagnia in grado di stabilizzare territori attraverso un uso delle risorse energetiche dialogo e crescita economica tra popoli.
Per fare questo, come ricorda Giuseppe Accorinti che negli divenne anche AD di Agip, Mattei aveva bisogno di appoggi e di relazioni tra loro trasversali, ma non era un gusto per l’azzardo quanto la necessità di rispondere ad interessi di varia natura: alcuni conservativi altri più propositivi. Enrico Mattei vedeva nel Mali la possibilità di uno spazio indipendente dalle logiche post coloniali e quindi capace di rappresentare una nuova ambizione democratica per tutta l’area. La potenzialità che Mattei intravedeva riguardava quindi la possibilità di spazzare via le vecchie rendite economiche di stampo colonialista e spesso relazionale, aprendo un campo neutro in cui il confronto sarebbe stato tra le migliori proposte degli investitori e non da legami pregressi di sudditanza.
Mattei ha tracciato una strada e ha definito una strategia operativa che ancor oggi brilla per avvedutezza e lungimiranza. Si tratta, dunque, di affrontare la complessità del mondo con coraggio e anche con un tocco di sana irragionevolezza, perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e il primo a comprenderne le potenzialità salva anche gli altri. Non si tratta di chiudere gli occhi, ma di spalancarli davanti ad una realtà che se esprime durezze e insostenibili storture e inaccettabili violenze è anche densa di splendide prospettive dentro cui costruire e progettare comunità nuove e solidali.
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