Africa
Guerre coloniali e vendette tribali: il Mali come metafora del disastro globale
In Africa occidentale, tra gli Stati nati dalla Conferenza di Berlino del 1884, che creò nazioni col righello senza alcun rispetto della storia secolare delle etnie locali e causando interminabili sanguinosi conflitti, il Mali è tra quelli più poveri e instabili. Anzi: è il simbolo stesso del totale fallimento di quel modello di soluzione del colonialismo, perché il righello di Berlino ha creato una nazione immensa, poverissima, nella quale sono stati costretti a convivere popoli di etnie e religioni completamente diverse che si scannano per quel poco che il Sahara può offrire.
Un tempo un grande e florido impero, oggi il Mali consiste in 65% di deserto senza sbocco sul mare ed è, con i suoi 1.240.192 km2, uno dei più grandi Stati d’Africa. Con 20 milioni di abitanti, il doppio entro il 2035, il Mali ha un tasso di crescita e di mortalità tra i più alti del continente[1]. Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale, il 42,7% dei maliani vive in condizioni di assoluta miseria[2].
Il motivo è un’economia particolarmente instabile, fortemente dipendente dal settore agricolo (che realizza il 40% del PIL ed occupa il 62% della forza lavoro), e dalle esportazioni, che per l’80% sono costituite dall’oro e dal cotone, ed i cui proventi sono in balia delle oscillazioni del mercato[3]. I diritti umani vengono costantemente calpestati attraverso abusi da parte di gruppi armati islamici[4], milizie etniche[5] e forze di sicurezza governative[6] – tutti orrori resi possibili dal crescente vuoto politico[7]. Solo all’inizio degli anni 90, dopo la cacciata del despota Moussa Traoré, il Mali ha conosciuto un periodo di sviluppo, di pace e di democrazia, tant’è vero che, sia nel 2011 che nel 2012, la Freedom House indica il Mali tra le prime cinque democrazie africane, sia per ciò che riguarda i diritti civili, sia nei termini della libertà di stampa[8].
Ma l’eterno contenzioso tra potere civile e militare riserva purtroppo amare e ormai scontate sorprese: quel tempo si è chiuso nel 2012 con un colpo di Stato, al quale ne seguiranno altri due, ognuno più violento del precedente. Da allora il Mali è tornato a barcamenarsi tra governi fantoccio, governi ad interim e governi apparentemente democratici deposti con le armi[9].
Le mani lorde di sangue dei post-colonialisti
Dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, Modibo Keita sarà il primo presidente e trasformerà il Mali in uno stato socialista[11]. La ricetta fallisce e, nel 1968, Keita viene rovesciato dai militari[12]. Sale al potere il tenente Moussa Traoré, che imprigiona Keita ed altri 40 leader dell’US-RDA (Unione Sudanese – African Democratic Rally)[13]. Traoré resiste al potere per ben 22 anni: dispotico e violento, commette atrocità verso ogni etnia, ogni fazione politica, persino tra i propri alleati; quando il popolo protesta, lui ordina di sparare sui manifestanti – sotto la sua conduzione criminale muoiono in migliaia, ma il conto preciso non verrà mai reso possibile[14].
Il 26 marzo del 1991, facendo leva sulle piazze in tumulto, il tenente colonnello Amadou Toumani Touré convince l’esercito a rovesciare il regime[15] e promette una transizione verso una democrazia multipartitica[16]. Traoré viene processato e condannato a morte[17], ma viene poi graziato nel 2002 da Alpha Oumar Konaré, eletto democraticamente l’8 giugno del 1992[18]. Konaré governa per due mandati e con lui si ha finalmente una crescita economica costante, i primi passi verso il rispetto delle libertà civili e dei diritti politici e le prime vere riforme[19]. A lui si deve anche una fruttuosa politica estera: l’11 maggio 1997 ottiene la rielezione con il 95,5% dei voti, ed il popolo maliano ha finalmente una speranza concreta per il futuro[20]. La legge gli impedisce di ricandidarsi, sicché nel maggio 2002 Konaré viene sostituito dal suo amico, Amadou Toumani Touré, che vince con il 65% dei voti[21].
Gli anni della democrazia e del progresso fanno soffrire i fondamentalisti islamici ed i capi dell’esercito. Nel 2012 un gruppo di giovani militari per lo più sconosciuti, che si dichiarano come Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia e il Ripristino dello Stato (CNRDRE), guidati dal capitano Amadou Haya Sanogo[22], fa piombare il Mali nel caos[23]. I militari irrompono nel palazzo presidenziale di Bamako e chiudono la partita in pochi minuti con una dichiarazione in TV[24]: Sanogo comanda il coprifuoco, la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento[25]. Fregandosene, ovviamente, della condanna della comunità internazionale[26].
Sanogo ha dietro di sé la comunità tuareg e la sua rabbia crescente. Questo gruppo etnico, discendente dai Berberi, è distribuito da secoli in un territorio molto vasto (Mali, Niger, Libia, Burkina Faso e Algeria), ed è ovunque solo una minoranza[27]. Vivono nel Mali settentrionale, amano l’isolamento, hanno un rigido sistema di caste – e sono odiati perché da centinaia di anni praticano la tratta degli schiavi[28]. Avevano mantenuto l’indipendenza annientando la spedizione francese guidata da Paul Flatters nel 1881[29], ma la Legione Straniera, alla fine, li ha costretti a firmare trattati di pace in Mali nel 1905 e nel Niger nel 1917: trattati che condannano il nomadismo e la libera circolazione nel Sahel – due condizioni fondamentali per la sopravvivenza della cultura e dell’economia dei Tuareg[30].
Quando i francesi se ne sono andati, l’odio contro i Tuareg è rimasto. Durante gli anni della presidenza Keita, costoro si sono rifiutati di partecipare alla collettivizzazione dell’agricoltura e della pastorizia, ed il governo di Bamako ha iniziato a scacciarli e combatterli sistematicamente[31]. Tra il 1962 ed il 1964 avviene la prima rivolta dei Tuareg: conosciuta come Alfellaga, la rivolta viene lanciata dalla regione di Kidal e repressa violentemente, sterminano il bestiame e avvelenano i pozzi. I Tuareg hanno reagito fuggendo in Mauritania, in Algeria e in Libia[32]. Le condizioni climatiche, le persecuzioni, la fame, li costringono a mescolarsi con altre etnie, il che, paradossalmente, aumenta la loro rabbia e la volontà Tuareg di avere una propria nazione indipendente[33].
Muammar Gheddafi dà loro una casa, un’istruzione ed un inquadramento militare, il rispetto come comunità[34]. In cambio, i Tuareg combattono per Gheddafi nelle guerre di conquista in Ciad[35] e, subito dopo, volgono il loro sguardo verso Bamako. Il governo di Alpha Oumar Konaré concede loro un autogoverno regionale, ma non basta[36]. Nel 1994 i Tuareg, sostenuti dai Libici, attaccano la città di Gao provocando una violenta risposta dell’esercito maliano e di una fazione paramilitare – quella di Songhai, il Ganda Koy[37], una truppa speciale di fanatici, accusata di aver commesso immani atrocità contro i civili tuareg[38]. Il governo Konaré reagisce punendo i militari macchiatisi di violenza gratuita (ottenendo l’odio di Songhai) e firma due trattati di pace con i Tuareg (1995 e 1996), avviando un programma di disarmo, smobilitazione e inserimento dei ribelli nel proprio esercito[39].
Dopo un decennio di pace basta una sola scintilla: nel maggio 2006, un ex ribelle, il soldato Ibrahima Ag Bahanga, diserta e crea l’Alleanza Democratica per il Cambiamento (ADC), con cui attacca le guarnigioni a Kidal e Ménaka[40]. Sedata la rivolta, il governo del Mali e i ribelli Tuareg firmano un accordo di pace[41] che non risolve nulla, fino al 2009, quando il Mali e l’ADC raggiungono un nuovo accordo sul riassorbimento dei combattenti nell’esercito di Kidal[42]. Ibrahim Ag Bahanga rifiuta gli accordi ed organizza una nuova rivolta con centinaia di mercenari Tuareg armati dalla Libia[43]. Nell’agosto del 2011 marcia su Bamako, ma viene ucciso in circostanze poco chiare, forse per una lite tra trafficanti di armi[44].
I ribelli sopravvissuti, guidati da Iyad ag Ghali, luogotenente di Bahanga, fondano il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad)[45] e, nel gennaio del 2012, mette a ferro e fuoco la regione dell’Azawad, coadiuvato da gruppi salafiti legati ad al-Qaeda[46]. L’esercito maliano, mal addestrato, mal equipaggiato, subisce perdite terribili. Per il governo, considerato corrotto e inadeguato, la situazione si fa drammatica: viene accusato di cattiva gestione della crisi e di essere l’unico artefice della disgregazione del paese, il che prepara il colpo di Stato del 21 marzo, ordito e diretto dal capo di Stato Maggiore dell’esercito e da diversi ufficiali[47].
La guerra civile infinita
Nel marzo 2012 il Mali è spaccato in due: metà del territorio è sotto il controllo della jihad, l’altra metà è guidata da una giunta militare legata al MNLA che, il 6 aprile, dichiara unilateralmente l’indipendenza[48]. L’ECOWAS respinge la dichiarazione[49], ma raggiunge un accordo con la giunta militare per il ritorno dell’ordine costituzionale in Mali[50]. Dioncouda Traoré, presidente dell’Assemblea nazionale, diviene presidente ad interim del Mali[51]. Il primo ministro Cheick Modibo Diarra forma un governo di unità nazionale dominato dai militari, cinque dei quali vicini al leader golpista Amadou Sanogo[52]. Diarra resiste pochi mesi, viene arrestato a dicembre[53]. Nell’agosto del 2013 sarà Ibrahim Boubacar Keita a vincere le nuove elezioni[54].
Il vuoto di potere lasciato dal colpo di stato è carburante prezioso per l’MNLA, che continua la guerra civile, ottenendo il controllo di Gao e Timbuktu, distruggendo santuari, imponendo prepotentemente l’islamismo ed iniziando a spingersi verso sud. Su richiesta di Bamako, l’esercito francese interviene schierando 3000 uomini di truppe di terra e lanciando una campagna aerea per respingere i militanti che frena l’avanzata verso sud, ma non l’insurrezione jihadista nel nord del Mali[55].
Oramai si combatte ovunque, il Sahel è un vero inferno. Nel febbraio 2017, la Francia e il G5 del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) annuncia la creazione della G5 Sahel Force, una forza di 5000 uomini in tutto il Sahel[56]. Anche l’esercito americano incrementa la sua presenza, dispiegando 1500 soldati e costruendo una base di droni in Niger che costerà 110 milioni di dollari ed avrà un costo di mantenimento di 15 milioni di dollari l’anno[57].
Nel caos, il contrabbando diventa l’unica attività economica che ancora funziona, e che rafforza i vari warlords ribelli[58]. Nell’aprile del 2017 viene nominato primo ministro Abdoulaye Idrissa Maiga, e nel luglio seguente il presidente Keita vince nuovamente le elezioni. Ma fuori Bamako questo non conta nulla: la furia separatista non accenna a fermarsi[59]. Sicché, il 18 agosto del 2020, un nuovo colpo di stato è la risposta ai tumulti. Il governo Keita è al centro delle polemiche: un’economia allo sbando, elevati livelli di disoccupazione, riforme inesistenti, servizi inefficienti, infrastrutture fatiscenti, gravissima corruzione nelle stanze del potere. La gente è alla fame, stremata poi da anni passati tra feroci repressioni, scontri interetnici, sanguinose violenze jihadiste che hanno prodotto un numero incalcolabile di morti, feriti e centinaia di migliaia di sfollati[60].
Dopo un rinvio di diciotto mesi, le elezioni, originariamente previste per l’ottobre del 2018, si tengono il 29 marzo e il 19 aprile 2020, precedute da alcuni drammatici fatti come il rapimento del leader dell’opposizione Soumaïla Cissé e la distruzione di diversi seggi elettorali[61]: le elezioni si svolgono in un clima tesissimo[62]. Keita vince ancora, ottenendo solo 43 seggi su 147[63]; ne guadagna altri 10 dopo un ricorso alla Corte Costituzionale[64]. La decisione della Corte Costituzionale infiamma ancora di più le piazze[65].
Il successo delle proteste ha come conseguenza la nascita dell’M5-RFP (Mouvement du 5 Juin Rassemblement des Forces Patriotiques), un movimento che si prefigge di organizzare e canalizzare la ribellione contro il governo[66]. È guidato dall’Imam Mahmoud Dicko[67], ex presidente dell’Alto Consiglio Islamico del Mali (HCIM), che raccoglie numerosi attivisti della società civile, leader dell’opposizione[68] ma anche del governo, sindacalisti ed ex militari. L’obiettivo primario è ovviamente la richiesta di dimissioni di Ibrahim Boubacar Keita[69].
Il 18 agosto un gruppo di militari, guidato dal Colonnello Malick Diaw, entra con i carri armati nella capitale e arresta il presidente Keïta e il primo ministro Boubou Cissé[70], che annunciano pubblicamente le loro dimissioni[71]. La base della rivolta è la caserma di Kati: i soldati, dopo averne preso il controllo, iniziano la loro marcia sverso Bamako facendovi ingresso acclamati dalla folla[72]. Di Diaw si sa pochissimo – per esempio che è appena tornato da un periodo di addestramento in Russia[73]; un altro militare coinvolto è il Colonnello Sadio Camara, comandante dell’Accademia Militare di Kati, anche lui addestrato in Russia[74]; la terza figura coinvolta è il Generale Cheick Fanta Mady Dembele, il più anziano del gruppo, laureato all’Accademia Militare di Saint-Cyr in Francia, laureato in storia alla Sorbona, un master in ingegneria civile presso l’Università dell’esercito tedesco a Monaco[75].
Il colpo di stato riceve la condanna unanime dalla Comunità Internazionale: l’UE blocca i programmi di addestramento dell’esercito e della polizia maliana, l’Unione africana e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (UEOMA) sospendono la partecipazione del Mali, chiudendo le frontiere, bloccando le sovvenzioni[76] e minacciando sanzioni[77]; anche l’OIF, l’Organizzazione Internazionale Francofona, sospende l’adesione del Mali[78], mentre l’ONU esige il rilascio immediato di tutti i funzionari governativi arrestati e il ripristino dell’ordine costituzionale[79].
Nel caos compare per la prima volta pubblicamente colui che ha guidato il colpo di stato, ed ora leader del Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo: il Colonnello Assimi Goïta[80].
Assimi Goïta, strano leader di una strana rivolta
Assimi Goïta (1983), sposato, tre figli[82], figlio di un ufficiale militare[83], viene addestrato alla scuola militare Kati Military Prytaneum (PMK) e viene assegnato al 134° Squadrone di Ricognizione del Gao. Consegue il Diploma alla School of Train and Operational Logistics francese, poi segue in Germania il corso da capitano, per poi prendere il comando di un battaglione che opera contro il terrorismo ed il traffico di droga ed entra (2014) nelle forze speciali[84], per cui segue scuole speciali di addestramento negli Stati Uniti[85]. Diventa comandante del Battaglione Autonomo delle Forze Speciali e dei Centri di Guerra (BAFS-CA), creato nel maggio 2018 e con sede a Mopti, nel centro del Paese, e si guadagna il grado di Vice Capo di Stato Maggiore dell’Esercito[86].
La partecipazione attiva di Goïta al colpo di Stato innervosisce quindi gli Americani, perché fa apparire la rivolta come qualcosa orchestrato da Washington, proprio mentre le truppe americane sono nel Sahel per combattere la jihad islamica[87] con l’operazione denominata MINUSMA[88], che costa 1,2 miliardi di dollari all’anno[89] e che si prefigge di “garantire la sicurezza, la stabilizzazione e la protezione dei civili; sostenere il dialogo politico nazionale e la riconciliazione e l’assistenza al ripristino dell’autorità statale, alla ricostruzione del settore della sicurezza e alla promozione e protezione dei diritti umani in Mali”[90].
Goïta è completamente diverso dall’immagine del militare brutale che rovescia un governo. Andy Duhon, ex ufficiale statunitense impiegato nell’ambasciata a Bamako, che ha lavorato con Goïta, lo descrive come un uomo “molto umile, molto pio, non un millantatore, ma spiritoso, intelligente ed un buon padre di famiglia. Non l’ho mai visto come un ragazzo affamato di soldi o assetato di potere, desideroso di essere al potere”[91]. Nei suoi discorsi Goïta si prodiga a ripetere che non è interessato al potere.
La cosa è diversa per i suoi colleghi nel golpe: Malick Diaw e Sadio Camara, sono tornati in Mali dal Collegio Militare Superiore di Mosca appena pochi giorni prima del colpo di Stato[92]. Malgrado non ci sia ufficialmente alcuna prova che attesti un effettivo coinvolgimento del Cremlino, e malgrado il membro della Duma Oleg Morozov abbia rigettato le accuse il 22 agosto affermando: “Qualsiasi discorso sul coinvolgimento della Russia in qualche modo nel colpo di stato di agosto sembra ridicolo”[93], non passa inosservato il fatto che Il 21 agosto, tre giorni dopo il colpo, l’ambasciatore russo in Mali e Niger Igor Gromyko si siano premurati di incontrare i vertici del nuovo governo[94].
La Russia è il maggiore esportatore di materiale bellico in Africa, rappresentando il 39% dei trasferimenti di armi alla regione tra il 2013 ed il 2017[95]. Secondo un’analisi dell’ISW (Institute for the Study of War[96]) l’esercito russo e gli appaltatori militari privati legati al Cremlino hanno progressivamente ampliato la loro presenza militare nel continente, firmando accordi di cooperazione militare con 28 governi africani[97]. Si stima che circa 400 mercenari russi operanti in Repubblica Centrafricana abbiano recentemente fornito attrezzature militari per operazioni di contro-insurrezione nel nord del Mozambico[98]. Irina Filatova, professoressa di ricerca presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, spiega così l’attenzione della Russia per queste aree: “Uno dei motivi per cui la Russia è così interessata all’Africa è competere con l’Occidente. Più influenza ha in Africa, più controllo c’è sull’Occidente”[99].
Nonostante l’istituzione delle forze congiunte degli stati del Sahel e la presenza di oltre 14’000 caschi blu delle Nazioni Unite assieme alle truppe francesi, nell’anno 2019 si è assistito a una grave escalation della violenza perpetrata da gruppi jihadisti in Mali e in altri paesi della regione, tra cui Niger e Burkina Faso. Da qui a considerare la cooperazione militare come fallimentare il passo è breve, ed è facile alimentare tra i cittadini la speranza nell’alternativa russa, soprattutto visto il ruolo svolto da Mosca nella crisi siriana[100].
È opinione diffusa tra i maliani – alimentata da una campagna di disinformazione russa nei social networks e già riscontrata in altre occasioni come in Madagascar e in Libia[101] – che le iniziative antiterroristiche francesi, attraverso le operazioni Serval[102] e poi la Barkhane[103] nel Sahel, siano un pretesto per preparare una nuova invasione coloniale: la Russia, utilizzando la propaganda, cerca di guadagnare consensi contro questa apparente strategia[104].
La nuova giunta subisce forti pressioni da parte dei leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che minaccia di aumentare le sanzioni economiche e di imporre un embargo totale sul Mali, auspicando una veloce sostituzione dell’attuale giunta militare con una civile[106]. La risposta arriva il 13 settembre attraverso l’approvazione di una “carta di transizione”, un accordo politico che porterà il 21 settembre alla nomina di del colonnello in pensione ed ex Ministro della Difesa Bah N’Daw a presidente ad interim – cosa che dovrebbe soddisfare così la presenza di un non militare – mentre il leader del golpe, Assimi Goïta, assumerà l’incarico di vicepresidente[107].
L’accordo prevede anche elezioni libere entro i prossimi 18 mesi, ma l’ M5-RFP (il Movimento 5 Giugno all’opposizione) reagisce con forti critiche, perché il piano, secondo i suoi capi, “non riflette le opinioni e le decisioni del popolo maliano” ma soprattutto non impedisce che a guidare il paese, dietro le quinte, possa esserci un militare[108]. Eppure l’accordo, assieme alla liberazione dei leader arrestati, il 6 ottobre sarà sufficiente per convincere l’ECOWAS a respingere le sanzioni[109]. Il 9 ottobre la revoca delle sanzioni arriverà anche dall’Unione Africana[110].
Ed ecco che riappaiono le ombre… il 5 dicembre l’assemblea legislativa provvisoria, con 111 voti a favore e sette astenuti, elegge il colonnello Malick Diaw – uno dei principali attori del precedente colpo di Stato – alla guida del Consiglio Nazionale di Transizione[111]. Per rassicurare la popolazione, il tenente colonnello Abdoulaye Maiga, Ministro dell’Amministrazione Territoriale, annuncia che le elezioni si terranno nel febbraio e nel marzo del 2022, confermando le promesse fatte[112].
Il M5-RFP è furioso per il ruolo crescente dei militari, e chiede lo scioglimento del Governo. Il Ministro degli Esteri Moctar Ouane decide di dimettersi il 14 maggio 2021, ma viene subito richiamato e riconfermato per sovrintendere ad un rimpasto di Governo che avverrà il 24 maggio con la promessa di un “allargamento delle basi”[113]. Il rimpasto si svolge in un contesto di forti tensioni, tra veementi proteste del Movimento 5 Giugno[114] e scioperi organizzati dall’UNTM, il sindacato dei lavoratori[115], che rischiano di paralizzare l’economia del paese.
Vengono estromessi due leader golpisti, l’ex ministro della Difesa Sadio Camara e l’ex ministro della Sicurezza colonnello Modibo Kone, cosa che fa infuriare Assimi Goïta: poche ore dopo il Presidente Bah N’Daw, il primo ministro Moctar Ouane ed il ministro della Difesa Souleymane Doucouré, vengono arrestati per mano dello stesso Assimi Goïta[116], e trasferiti nel campo militare di Soundiata Keïta a Kati[117].
Il giorno successivo, in un comunicato, Goïta giustifica l’intervento con il fatto che, il Presidente del Consiglio e il Presidente, avevano formato il nuovo governo “senza consultarsi con il vicepresidente”, ovvero sé stesso. Conferma di voler rispettare la “Carta di Transizione”[119]. Peccato però che la stessa Carta stabilisca che nessuno possa sostituire il presidente di transizione. La Corte Costituzionale nomina Assimi Goïta presidente ad interim[120]. A Choguel Kokalla Maiga, proposto dal Movimento M5-RFP, spetta il compito di formare un governo che guidi il Paese nella delicata fase di transizione[121]: 25 ministri, tra cui due rappresentanti dell’Unione per la Repubblica e la Democrazia, principale forza politica del Movimento 5 Giugno[122]. I militari mantengono comunque il Ministero della Difesa, della Sicurezza, dell’Amministrazione del Territorio e della Riconciliazione Nazionale[123].
La condanna della Comunità Internazionale non tarda a giungere, ma la voce più alta viene sollevata da Emmanuel Macron, esprimendo ferma condanna per il colpo di stato e per l’arresto del presidente di transizione, del suo primo ministro e dei loro collaboratori[124], minacciando il ritiro delle proprie truppe se il paese, a causa del colpo di stato, andrà in direzione dell’islamismo radicale[125]. In una dichiarazione congiunta, l’ONU (Minusma), ECOWAS, l’Unione africana, la Francia, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e l’Unione europea condannano l’intervento militare, e l’ONU chiede formalmente il rilascio del Presidente Bah N’Daw e del primo ministro Moctar Ouane[126] – che avverrà il 25 maggio[127].
Cosa diavolo sta succedendo?
Il corso degli eventi non è ancora chiaro, la vicenda è in pieno sviluppo. L’ennesimo colpo di stato in Mali getta ancora una volta nella disperazione tutto il continente. Gli anni passano ma gli scenari restano gli stessi. Proprio dove i popoli si impegnano maggiormente, la cieca violenza continua ad avere il sopravvento. Il motivo è chiaro: negli Stati intrinsecamente più deboli (con minore senso di appartenenza e di coesione nazionale, maggiore povertà e quasi inesistente struttura amministrativa) bastano poche centinaia di jihadisti armati fino ai denti per tentare la sorte e cercare di conquistare un’intera nazione ammessa alle Nazioni Unite e, con essa, un podio nel dibattito globale ed una posizione di forza nel gioco dei ricatti con le potenze mondiali militari ed economiche, ma anche nei confronti di paesi vicini e pacifici.
Centinaia di fuggitivi dalla sconfitta del Califfato in Medio Oriente, di scampati alle persecuzioni politiche nei paesi arabi retti da monarchie o regimi dittatoriali, di ex-mercenari che hanno perso i clienti, di mercenari al soldo di multinazionali o faccendieri russi, cinesi, americani, europei, di Tuareg o altri popoli senza patria, si incontrano e si combattono nel Mali, dove per un conflitto permanente ci sono le migliori condizioni ambientali possibili – a dispetto delle forze militari dell’ONU e delle potenze occidentali.
Per questo motivo, oggi, il Mali è una metafora del disastro globale. È il manifesto di ciò che potrebbe accadere ovunque se, in un prossimo futuro, la percezione dei singoli individui della loro partecipazione e corresponsabilità alla realizzazione del benessere, della stabilizzazione climatica, della tolleranza, della non-violenza e della legalità dovesse ulteriormente diminuire. Un monito che vale per tutti, non solo per il lontano e dimenticato deserto del Sahel.
[1] https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/mali/#people-and-society
[2] https://www.lloydsbanktrade.com/en/market-potential/mali/economy
[3] https://www.lloydsbanktrade.com/en/market-potential/mali/economy
[4] https://www.counterextremism.com/countries/mali
[5] https://www.hrw.org/report/2018/12/07/we-used-be-brothers/self-defense-group-abuses-central-mali
[6] https://www.hrw.org/africa/mali
[7] https://reliefweb.int/report/mali/589-killed-central-mali-so-far-2020-security-worsens-bachelet
[8] https://freedomhouse.org/sites/default/files/inline_images/MALIFINAL.pdf
[9] Andrea Menegatti, “Islam in West Africa, sufismo e fondamentalismo nelle giovani democrazie africane“, Edizioni Ananke, Torino 2014
[10] https://africacenter.org/spotlight/legacy-military-governance-mali/
[11] https://www.britannica.com/biography/Modibo-Keita
[12] https://www.britannica.com/place/Mali/Independent-Mali#ref516770
[13] https://www.jeuneafrique.com/375154/politique/jour-19-novembre-1968-coup-detat-renverse-president-malien-modibo-keita/
[14] https://africacenter.org/spotlight/legacy-military-governance-mali/
[15] https://www.bbc.com/afrique/region-53878402
[16] https://www.bbc.com/afrique/region-53878402
[17] https://www.swissinfo.ch/eng/reuters/moussa-traore–who-led-mali-s-first-military-coup–dies-at-83/46036232
[18] https://www.casafrica.es/en/person/alpha-oumar-konare
[19] https://www.casafrica.es/en/person/alpha-oumar-konare
[20] https://www.casafrica.es/en/person/alpha-oumar-konare
[21] https://www.britannica.com/biography/Amadou-Toumani-Toure
[22] https://www.bbc.com/news/world-africa-17498739
[23] https://www.theguardian.com/world/2012/mar/23/mali-coup-draws-condemnation-ecowas
[24] https://youtu.be/wB8VHaQvQi0
[25] https://www.bbc.com/news/world-africa-17484438
[26] https://www.aljazeera.com/news/2012/3/23/international-condemnation-for-mali-coup
[27] http://factsanddetails.com/world/cat55/sub394/entry-5933.html
[28] https://www.foi.se/rest-api/report/FOI%20MEMO%205099 “Explaining the 2012 Tuareg Rebellion in Mali and Lack Thereof in Niger” – Adriana Lins de Albuquerque – FOI Swedish Defence Research Agency- 2014-11-12
[29] https://www.alamy.com/massacre-of-the-french-soldier-paul-flatters-during-the-flatters-expedition-1881-by-rebellious-tuaregs-at-bir-el-garama-in-the-sahara-desert-algeria-engr-1895-vintraut-domblanc-vintage-illustration-or-engraving-image388929784.html
[30] https://hal-amu.archives-ouvertes.fr/hal-01395167/document
[31] https://www.clingendael.org/pub/2015/the_roots_of_malis_conflict/2_rebellion_and_fragmentation_in_northern_mali/
[32] https://www.thenewhumanitarian.org/report/95252/mali-timeline-northern-conflict
[33] https://minorityrights.org/minorities/tuareg/
[34] https://www.clingendael.org/pub/2015/the_roots_of_malis_conflict/2_rebellion_and_fragmentation_in_northern_mali/
[35] https://minorityrights.org/minorities/tuareg/
[36] https://minorityrights.org/minorities/tuareg/
[37] https://www.courrierinternational.com/article/2012/08/02/plongee-dans-la-milice-d-autodefense-ganda-koy
[38] https://jamestown.org/program/the-sons-of-the-land-tribal-challenges-to-the-tuareg-conquest-of-northern-mali/
[39] https://minorityrights.org/minorities/tuareg/
[40] https://noria-research.com/from-the-nma-to-the-nmla-the-shift-to-armed-struggle/
[41] https://www.globalsecurity.org/military/world/war/tuareg-mali-2006.htm
[42] https://www.globalsecurity.org/military/world/war/tuareg-mali-2006.htm
[43] https://reliefweb.int/report/mali/mali-heading-closer-civil-war
[44] https://www.france24.com/en/20110827-mali-tuareg-leader-death-linked-libyan-weapons
[45] https://ecfr.eu/special/sahel_mapping/mnla
[46] https://www.france24.com/en/20120402-tuareg-rebels-conquered-northern-mali-mnla-azawad-toure-aqim-qaeda-ansar-dine-mujao
[47] https://www.clingendael.org/sites/default/files/pdfs/The_roots_of_Malis_conflict.pdf page 12
[48] https://www.bbc.com/news/world-africa-17635437
[49] https://reliefweb.int/report/mali/african-union-totally-rejects-so-called-declaration-independence-rebel-group-northern
[50] https://www.france24.com/en/20120407-mali-tuareg-interim-government-accord-junta-ecowas
[51] https://www.france24.com/en/20120412-mali-new-interim-president-sworn-dioncounda-traore-military-junta-crisis
[52] https://www.bbc.com/news/world-africa-13881978
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[55] https://microsites-live-backend.cfr.org/global-conflict-tracker/conflict/destabilization-mali
[56] https://www.diplomatie.gouv.fr/en/french-foreign-policy/security-disarmament-and-non-proliferation/crises-and-conflicts/g5-sahel-joint-force-and-the-sahel-alliance/
[57] https://www.defensenews.com/unmanned/2018/04/23/us-builds-drone-base-in-niger-crossroads-of-extremism-fight/
[58] https://www.cesi-italia.org/articoli/899/mali-lepicentro-del-jihadismo-nel-sahel
[59] https://www.reuters.com/article/us-mali-election-idUSKBN1L10ZK
[60] https://www.aljazeera.com/news/2020/8/19/profile-ibrahim-boubacar-keita-malis-overthrown-president
[61] https://www.france24.com/fr/20200419-au-mali-le-second-tour-des-l%C3%A9gislatives-perturb%C3%A9-dans-le-centre-et-le-nord
[62] https://www.dw.com/en/mali-mutiny-putsch-keita/a-54619330
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[64] https://www.reuters.com/article/us-mali-election-idUSKBN1L2205 ; https://www.voaafrique.com/a/l%C3%A9gislatives-au-mali-manifestations-apr%C3%A8s-une-r%C3%A9vision-des-r%C3%A9sultats-favorable-au-pouvoir/5404911.html
[65] https://www.voaafrique.com/a/l%C3%A9gislatives-au-mali-manifestations-apr%C3%A8s-une-r%C3%A9vision-des-r%C3%A9sultats-favorable-au-pouvoir/5404911.html
[66] https://www.voanews.com/africa/who-behind-malis-surging-protest-movement
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[70] https://theconversation.com/another-mutiny-turned-coup-mali-is-no-stranger-to-military-unrest-144797
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[72] https://www.bbc.com/news/world-africa-53833925
[73] https://www.bbc.com/news/live/world-africa-47639452?ns_mchannel=social&ns_source=twitter&ns_campaign=bbc_live&ns_linkname=5f3ccf661f354f06614b9b3f%26Who%20is%20behind%20Mali%27s%20coup%3F%262020-08-19T07%3A59%3A50.726Z&ns_fee=0&pinned_post_locator=urn:asset:43365c90-1648-4966-8d87-b32e5e4d338c&pinned_post_asset_id=5f3ccf661f354f06614b9b3f&pinned_post_type=share
[74] http://www.opex360.com/2020/08/20/qui-est-le-colonel-assimi-goita-le-nouvel-homme-fort-du-mali/
[75] http://www.opex360.com/2020/08/20/qui-est-le-colonel-assimi-goita-le-nouvel-homme-fort-du-mali/
[76] https://www.americansecurityproject.org/the-crisis-in-mali/
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[81] https://www.theafricareport.com/40680/mali-whos-who-in-the-bamako-coup/
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[86] https://www.maliweb.net/armee/le-comite-national-pour-le-salut-du-peuple-sur-les-traces-des-membres-du-cnsp-2891822.html
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[117] https://theconversation.com/inside-malis-coup-within-a-coup-161621
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[120] https://www.aljazeera.com/news/2021/5/29/malis-court-appoints-assimi-goita-as-interim-president
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[125] https://www.aljazeera.com/where/mali/
[126] https://www.dw.com/fr/la-communaut%C3%A9-internationale-condamne-le-coup-de-force-au-mali/a-57650560
[127] https://www.aa.com.tr/en/africa/mali-s-military-frees-ousted-president-premier-after-resignations/2256225
[128] https://africanarguments.org/2012/02/the-tuareg-between-armed-uprising-and-drought-baz-lecocq-and-nadia-belalimat/
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