Africa

L’Ebola? Solo l’ultima scusa per dimostrarci ignoranti e razzisti

1 Novembre 2014

Meliandou conta si e no una cinquantina di capanne. La strada bianca che raggiunge il villaggio attraversa i campi coltivati, grazie all’acqua del vicino fiume, e alcune piantagioni da cui si produce olio di palma. Tra quelle palme verdi che proteggono la spianata di polvere bianca dove sorge il villaggio, Emile Ouamouno si aggirava spesso. Tra quelle palme Emile ha preso l’ebola, probabilmente a causa dei pipistrelli che sono attirati dal nettare e dai frutti delle palme come le api dal miele.

Secondo uno studio realizzato per la rivista scientifica  ‘New England Journal of Medicine’  da un gruppo di esperti dell’Unicef, Emile sarebbe stato il ‘paziente zero’, ovvero il primo caso della devastante epidemia di Ebola che da circa un anno sta sconvolgendo tre paesi dell’Africa Occidentale:  Guinea, Liberia, Sierra Leone.

Al decesso di Emile, avvenuto nel dicembre del 2013, sono seguiti quelli della sorella più grande di quattro anni, poi della madre, della nonna e poi di altre 14 persone del villaggio.

Partendo da quel piccolo e pacifico villaggio nel sud della Guinea, il virus ormai aveva iniziato il suo viaggio. Non lontano da Meliandou passa la N1, la strada nazionale principale, che scende giù fino al doppio confine con Liberia e Sierra Leone.

Solo qualche mese più tardi, a Marzo 2014, le autorità della Guinea e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) diagnosticheranno ufficialmente la presenza di Ebola in Guinea.

Da allora, il bilancio dell’epidemia ha superato le 5000 vittime e i 10.000 casi di contagio; ma i numeri ufficiali potrebbero essere anche molto distanti da quelli reali dal momento che in molte zone la possibilità di registrare casi e vittime.

Ma da Meliandou è partita anche quella psicosi che ormai ha raggiunto tutto il mondo e che rischia di fare più danni del virus stesso.

 

La psicosi. Tra ignoranza, superficialità e stereotipi

Trainata dal superficialismo dei media e da un abituale disinteresse per le questioni africane, l’epidemia di Ebola  pare aver confermato nelle opinioni pubbliche occidentali alcuni dei peggiori stereotipi sul continente africano.

Il caso della bambina rientrata nella sua scuola di Fiumicino dopo essere stata a Kampala, in Uganda, ( e a cui alcune  mamme hanno impedito l’accesso nella struttura per timore che propagasse ebola) è emblematico.

Forse a dissipare la psicosi non basterebbe neanche sottolineare che la distanza tra Monrovia, capitale della Liberia e oggi epicentro dell’epidemia, e Kampala è di 7400 chilometri. Tanto per capirsi Palermo e Monrovia distano ‘solo’ 6800 chilometri. Seguendo il principio applicato dalle mamme di Fiumicino, dovremmo isolare e mettere in quarantena tutti quelli che arrivano da Palermo.

A poco serve anche spiegare che per essere contagiati dal virus è necessario un contatto prolungato con un malato, con liquidi corporei o con le sue feci. Ebola non si trasmette per via aerea. Ebola è sangue e merda. Ebola va toccata con le mani. O con le mani vanno toccate le pustule, il sudore, le feci o il corpo di un malato.

Ebola è l’ennesimo frutto dei peggiori pregiudizi sull’Africa del mondo occidentale, un continente da dove, secondo un immaginario collettivo e antico, scaturiscono malattie misteriose e incurabili. Un continente pericoloso e da evitare dove ci sono i leoni (come quell ‘Hic sunt leones’  che sulle cartografie romane invitava a non addentrarsi al sud del Sahara perché pericoloso e misterioso).

Leoni che oggi hanno le sembianze di un virus che porta a una letale febbre emorragica. Un pregiudizio che porta sempre e solo a una conclusione, girarsi dall’altra parte abbandonando lo stereotipo di un’Africa senza speranza al suo tragico destino.

E la reazione internazionale all’epidemia di ebola sembra proprio confermare questo atteggiamento. Per mesi l’unica preoccupazione è stata quella di isolare i paesi colpiti, sigillare ben bene le nostre frontiere e girare le spalle a chi con un maggiore aiuto logistico arrivato per tempo avrebbe potuto almeno contenere una situazione che ora appare sfuggita di mano. Ebola, infatti, non è né misteriosa né incurabile, come spiega il dottor Saverio Bellizzi epidemiologo e medico di Medici Senza Frontiere (MSF), che che in questi giorni sta partendo per la sua quinta missione in Guinea.

Da ebola si guarisce, se il tempo tra la comparsa dei sintomi e la cura è breve, e la diffusione del virus si può contenere se si applicano protocolli sanitari già testati e se esistono strutture adeguate. I casi di Senegal e Nigeria sono emblematici. I due paesi sono riusciti a bloccare il virus e da qualche giorno sono stati dichiarati ‘Ebola Free’ dall’Oms

 

L’aiuto negato, il mondo preferisce girarsi dall’altra parte

La verità è che ebola sta colpendo alcuni dei paesi più poveri e disastrati del pianeta, dove gli ospedali sono pochi e le strade che collegano il 99% del paese con quegli ospedali sono ancora meno.

Ma la verità è che il mondo ha lasciato che il virus dilagasse, scegliendo di sigillare i propri confini e di girarsi dall’altra parte, lasciando tre nazioni allo sbando e alcun organizzazioni umanitarie ad affrontare la più grande emergenza sanitaria della storia contemporanea del pianeta.

Tranne Cuba, che per prima ha inviato squadre sanitarie a supporto delle operazioni antiebola nei tre paesi coinvolti, e alcuni mesi dopo la Cina e gli Stati Uniti finora nessuno si è mosso per dare una mano.

E dire che servirebbero ‘solo’ le squadre militari che normalmente vengono inviate in casi di disastri naturali (terremoti e simili): ospedali da campo per trattare i malati anche nelle zone più remote, mezzi aerei con cui raggiungerle, personale abituato a gestire aree di isolamento e quarantena e uomini e mezzi da dedicare alla raccolta e alla messa in sicurezza dei cadaveri.

 

Il “fattore paura”…

Ma il disinteresse ‘politico’ e la sciatteria mediatica continuano ad alimentare quel “fattore paura” che tanto spaventa il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, e che, come lui stesso ha detto, rischia di diventare sempre più determinante nella capacità di contrastare ebola.

Dopo aver lanciato un appello a medici e personale sanitario di tutto il mondo a recarsi in maniera volontaria nei paesi dell’Africa occidentale colpiti, Yong Kim ha sottolineato come “molti potenziali volontari hanno troppa paura di recarsi in quelle zone” quando invece servirebbero immediatamente almeno 5000 operatori.

“La mia preoccupazione maggiore – ha detto nei giorni scorsi durante una visita in Etiopia insieme al Segretario Generale dell’Onu e al presidente dell’Unione Africana – è dove riusciremo a trovare questi operatori sanitari? Con il fattore paura che sta andando fuori controllo in molti paesi, non posso che sperare che medici, paramedici e personale sanitario si rendano conto che quando hanno deciso di intraprendere il loro percorso professionale lo hanno fatto proprio per poter contare in momenti come questi”.

Un fattore paura che la settimana scorsa ha portato il governo australiano a sospendere fino a data da destinarsi la concessione di visti per l’ingresso nel paese a tutti i cittadini provenienti dai tre paesi colpiti dall’epidemia di Ebola: Liberia, Sierra Leone e Guinea.

I possessori di visti permanenti e provenienti dagli stessi paesi saranno costretti, a prescindere dalle loro condizioni di salute, a una quarantena di 21 giorni prima di poter entrare in Australia.

“I sistemi e i processi stanno funzionando per proteggere gli australiani” ha detto il ministro dell’Immigrazione Scotto Morrison parlando al Parlamento.

Un atteggiamento definito da molti “controproducente” e “discriminatorio”, dal momento che, come ha evidenziato il ministro dell’Informazione della Sierra Leone, “…non colpisce ebola ma piuttosto i 24 milioni di cittadini di Liberia, Sierra Leone e Guinea”.

A fargli eco anche il portavoce del governo dell’Uganda, paese che negli anni passati ha affrontato più di un’epidemia di ebola e che proprio in questi giorni ha mandato altro personale sanitario in Africa Occidentale per combattere l’epidemia: “i paesi occidentali stanno creando un panico di massa che non serve assolutamente a contenere una malattia contagiosa come ebola” ha detto Ofwono Opondo, evidenziando come “questo panico di massa passerà dalla gente comune agli operatori sanitari, e quando questo accadrà cosa succederà? Guarderemo intere popolazioni essere cancellate”.

 

…e conseguenze economiche imprevedibili

Ebola può essere messa in quarantena, ma la paura no. E l’Africa sta cominciando a comprendere che pagherà un caro prezzo, anche economico, per il modo superficiale con cui il resto del mondo sta affrontando l’epidemia.

Non serve a niente spiegare che l’epidemia interessa 3 paesi dei 17 che compongono l’Africa Occidentale o dei 54 che compongono l’Africa intera.

L’Africa per gli occidentali è un paese, non un gigantesco continente.

Ecco che “il fattore paura” ha già colpito gravemente le economie dei paesi interessati (secondo l’FMI l’epidemia costa al momento già oltre il 2% del PIL nazionale) ma più in generale sta minacciando l’economia dell’Africa sub-sahariana.

Dall’Africa Occidentale a quella Orientale, passando per quella Centrale ed Australe, vengono cacellate Fiere, Convention e incontri. Vengono sospesi finanziamenti e rivisti progetti di cooperazione. Diminuiscono i viaggi e crolla il turismo. I prezzi dei beni alimentari stanno schizzando alle stelle e per i prossimi mesi si prospetta una crisi alimentare molto grave nei tre paesi colpiti.

L’ignoranza, gli stereotipi e la superficialità dell’Occidente che guarda all’Africa rischiano di minare realmente i progressi economici e sociali compiuti negli ultimi anni da importanti zone del continente.

Tutto per la paura di un “mostro” che mostro non è. Perché ebola si può curare, contenere e sconfiggere. Molto meno si può fare contro l’ignoranza e la stupidità.

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