Africa
Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie
Recensione a: Chimamanda Ngozi Adichie, “Americanah”, traduzione di Andrea Sirotti, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2014, 512 pp., 15,00 euro (edizione cartacea), 7,99 euro (e-book).
Negli ultimi anni ho letto pochi romanzi, come perso nella giungla delle librerie dove tutto sembra così interessante, da farmi diventare impossibile scegliere un libro in particolare. Mi sono spesso rifugiato nella saggistica, molto più semplice da scegliere che da leggere. Poi, l’anno scorso Feltrinelli ha pubblicato una lista di 100 classici di nuova generazione. Una semplice trovata commerciale fatta dall’azienda per attirare i curiosi, più che uno studio ponderato.
Ma con me ha funzionato, perché mi ha fornito il senso di orientamento che avevo perduto. Finora quel (poco) che ho letto mi è sembrato molto valido, ma difficilmente mi ha rapito come i vecchi classici della mia adolescenza. Ho letteralmente divorato solo il romanzo “Americanah” dell’autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie.
L’autrice utilizza una forza unica per coinvolgere il lettore in una realtà completamente diversa. La scrittrice illustra la vita della piccola borghesia nigeriana che negli anni ’90 provava a sognare un futuro migliore per i propri figli. Una borghesia estremamente conservatrice in cui i giovani volevano emanciparsi per fare carriera, esplorare il mondo e la sessualità.
In questo contesto, l’emancipazione dei giovani poteva avvenire attraverso lo studio, la letteratura o più facilmente tramite le raccomandazioni. Il sogno passava spesso dall’emigrazione verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra, paesi diversi da quello che si aspettano i giovani africani. Una delle scene più belle del romanzo è quando la protagonista Ifemelu arriva vestita invernale in una New York che si rivela afosa e caldissima.
E poi c’è il lavoro, che per i giovani africani che studiano negli Stati Uniti significa prima di tutto raggirare le regole. Perché il visto da studenti non vale per lavorare, mentre la borsa di studio non basta a sostenere le spese. Allora scelgono di lavorare presentando il permesso di lavoro di qualcun altro, spacciandosi per lui. Tanto sono tutti neri agli occhi dei bianchi. In queste pagine l’autrice trasmette tutta la sofferenza di chi cerca di superare gli scogli posti da una società che tende ad emarginare i diversi.
Queste difficoltà raccontano anche l’incapacità di tenere le relazioni a distanza, in contesti nuovi, dove l’umiliazione di sé è una costante quotidiana. Fortunatamente, il romanzo non tende all’autocommiserazione e un buon lavoro da baby-sitter mette la strada in discesa per Ifemelu. La sua avventura negli Stati Uniti si trasforma da disastro a successo professionale.
Gli studi eccellenti e la sagacia sono gli altri elementi importanti con cui la protagonista fa carriera nel mondo della scrittura. Il successo avviene con la creazione di “razzabuglio”, un blog intelligente che tratta i temi del femminismo e della vita di immigrata africana negli Stati Uniti. Una vita che percepisce in maniera molto diversa da quella degli afroamericani, tanto che per tutto il romanzo rimane un velo di incomunicabilità tra immigrati africani e neri americani.
Inoltre, il blog giunge al successo grazie alle riflessioni sui capelli, dai quali passa una parte dell’emancipazione, perché i ricci di Ifemelu non piacciono ai bianchi durante il colloquio di lavoro. Mi sono sorpreso a leggere interessato paginate sui balsami da utilizzare per districare la matassa di capelli. Cose di cui un po’ mi dispiace non sapere niente, da figlio di una parrucchiera.
Fin dalle prime pagine del libro, si capisce che la storia del successo professionale non si accompagna a quello nelle relazioni umane. Il romanzo inizia infatti con la decisione della protagonista di rientrare in Nigeria quando il blog è all’apice del successo. Questo perché si è sempre sentita estranea alla società americana. In pratica, il successo personale può avvenire solo ritornando nella sua Africa.
“Americanah” è in definitiva un romanzo avvincente che ci fornisce una chiave di lettura sull’Africa, bella e spietata. Il nostro occidente finisce per essere un po’ squallido e triste, in generale brutto per chi ci arriva con tante speranze, seppur rimanga un passaggio necessario per compiere l’emancipazione definitiva.
Immagine dal profilo Facebook di Chimamanda Ngozi Adichie
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