Africa

Al-Shabaab: la spada di Damocle sulla Somalia

12 Ottobre 2021

Kismayo, il cuore dello Jubaland (Somalia meridionale), è un porto strategico. Hodan Nalayeh, una giornalista somalo canadese della BBC, vive lì, tornata alle proprie radici, alla propria gente. Kismayo e lo Jubaland sono un territorio fra i più sicuri, in Somalia, da quando (nel 2013) Ahmed Mohamed Islaam Madobe – che nel 2006 già comandava l’Unione delle Corti Islamiche – è divenuto governatore[1]. Madobe lavora alacremente per cacciare dalla regione un’organizzazione terroristica fra le più temute dell’intero continente africano[2]: la Ḥarakat al-Shabāb al-Mujāhidīnal[3], nota semplicemente come al-Shabaab. Il gruppo viene scacciato dalla regione nel settembre del 2012, sconfitto da una coalizione guidata dall’AMISOM (Missione dell’Unione Africana in Somalia) in collaborazione con l’esercito regolare somalo[4].

Madobe riesce a restituire ad un paese martoriato dalla guerra e dalle carestie una parvenza di tranquillità; la jihad sembra scomparsa, e con questa il terrore. La popolazione collabora attivamente, sottoponendosi a frequentissimi controlli[5].  È in questo clima che venerdì 12 luglio 2019, a sera inoltrata, molti ospiti del prestigioso Asasey Hotel di Kismayo sorseggiano un drink seduti ai tavoli del cortile; finché una terribile esplosione distrugge il cancello chiuso dell’entrata principale. I presenti fuggono: quattro uomini armati entrano nell’albergo e compiono una strage, durata 14 ore e conclusa con l’eliminazione degli assalitori, che uccidono 26 persone, molte delle quali straniere, tra cui proprio Hodan Nalayeh, trucidata con il marito, prima donna somala al mondo ad essere proprietaria di un organo di informazione[6]. Il segnale è chiaro e forte: Al-Shabaab è tornata, portando nuovamente il terrore a Kismayo e nello Jubaland, come già in tutta la Somalia (e non solo).

Gli anni delle Corti Islamiche

Lo Sceicco Ali Dheere, il pioniere delle Corti Islamiche a Mogadiscio

Al Shabaab nasce nel 2006: a quel tempo le corti islamiche, comparse nella prima metà degli anni 90 come risposta al vuoto di potere nato dall’implosione del regime di Siad Barre nel 1991[8], dominano una consistente fetta del sud del paese. La loro sfera di influenza, inizialmente, è limitata al territorio di Mogadiscio: lo sceicco Ali Dheere stabilisce la prima Corte Islamica nella capitale nel 1993[9], seguito da altri dopo i successi contro la criminalità dilagante. Le corti, ufficialmente indipendenti tra loro, sono parte dello stesso movimento ed agiscono in particolare nel nord della città. I tribunali che, dal 1996, sorgono nella parte meridionale di Mogadiscio, sono fortemente influenzati da ex-membri dell’organizzazione terroristica Al Ittihad Al Islamiya (AIAI)[10]: questo è un gruppo legato ad al-Qaeda, con base nell’Ogaden, situato nel sud-est dell’Etiopia. Proprio in queste zone AIAI compie la maggior parte dei suoi attacchi, prima di essere sconfitto dall’esercito etiope; la dissoluzione di AIAI conduce alcuni suoi leader a confluire nelle Corti Islamiche[11].

Hassan Dahir Aweys, che diverrà uno dei leader del consiglio dell’Unione delle Corti Islamiche e, successivamente, leader spirituale di al-Shabaab, fonda un Tribunale Islamico nella città portuale di Merca (70 km a sudovest di Mogadiscio); questa corte emerge come piattaforma dell’islamismo jihadista, avendo Aweys, in virtù dei propri trascorsi in AIAI, contatti con diversi giovani Somali formati in Afghanistan[12]. Uno di questi, Aden Hashi ‘Ayro, è coinvolto nell’omicidio di quattro operatori umanitari, di un giornalista britannico e di un pacifista somalo. Le milizie di cui Ayro è a capo prendono il nome di Al-Shabaab[13].

Il favore che i Tribunali incontrano nella popolazione è dovuto alla loro capacità di assicurare il mantenimento dell’ordine ed il funzionamento di essenziali strutture di pubblica utilità come scuole ed ospedali: le zone sotto il loro controllo, che dopo il 2000 si estendono al di là della capitale, godono di una reputazione di gran lunga migliore rispetto a quelle governate dai signori della guerra[14] che, dopo la caduta di Barre, danno inizio alla guerra civile: lo United Somali Congress (USC), che guida la lotta contro Barre, instaura un governo ad interim con Ali Mahdi Mohammed, fatto che scatena scissioni tra i vari gruppi ribelli[15]. Fra questi emerge il clan Habr Abgal del generale Mohammed Farah Aidid, che prende il controllo della parte sud di Mogadiscio, mentre la parte nord è sotto il controllo di Ali Mahdi Mohammed[16].

È l’inizio della guerra: nel marzo 1992 la capitale ha perduto 300’000 persone, morte per fame o malattie, mentre le morti direttamente collegate ai combattimenti sono circa 44’000[17]. La prima missione umanitaria UNOSOM interviene per vigilare sulla tregua negoziata dalle Nazioni Unite fra Mahdi Mohammed e Farah Aidid, oltre che per creare corridoi umanitari utili alla distribuzione di aiuti; la missione, terminata nel dicembre dello stesso anno, fallisce entrambi gli obiettivi[18]. L’insuccesso è dovuto alla strategia dell’ONU: il ciclo di colloqui “Conference on National Reconciliation in Somalia” (UNITAF, Addis Abeba, 1993)[19], ha il grande demerito di aver legittimato i signori della guerra presenti (in rappresentanza delle quindici fazioni in lotta), considerandoli gli unici in grado di fermare le ostilità, a scapito dei leader dei clan e della politica, pure presenti alle conferenze[20].

UNITAF e UNOSOM sono fonte, per giunta, di un enorme arricchimento per i signori della guerra. Nella zona di Mogadiscio controllano la produzione della maggior parte di beni e servizi: qui i funzionari e gli impiegati dell’ONU e delle ONG internazionali affittano case, noleggiano auto (spesso blindate e con guardie del corpo), pagano dazi sulle spedizioni, sugli aerei che le trasportano – e firmano contratti con aziende locali. La maggior parte dei servizi acquistati dai funzionari delle Nazioni Unite si trovano nella zona controllata da Mohammed Farah Aidid, ufficialmente loro nemico[21]. Più denaro guadagnano i signori della guerra, più reclutano soldati, rafforzano i legami con i clan (con la corruzione o la minaccia), pagano azioni di mecenatismo – il tutto per raggiungere una posizione militarmente egemone[22].

Truppe UNOSOM 2 in Mogadiscio nel 1995[23]
Il potere dei signori scema, infatti, dopo il ritiro della missione UNOSOM 2, nel marzo del 1995[24]. Le loro minori disponibilità finanziarie generano una perdita costante di soldati, i cui servizi vengono acquistati da esponenti della nuova classe imprenditoriale di Mogadiscio al fine di creare delle milizie private[25]; da questo nuovo ceto proviene il supporto ad alcuni gruppi islamici che si organizzano per creare isole di sicurezza, svolgendo anche funzioni di governo, nella capitale e nelle aree limitrofe: le Corti Islamiche[26].

Le Corti nascono come parte del potere dei clan a Mogadiscio; esse servono alcuni specifici sub clan appartenenti al clan Hawiye (di origine nomade, esso è, insieme al clan Darood, il più grande e potente della Somalia[27]) e sono sostenute dal ceto medio Hawiye della capitale. Dopo i primi successi nel nord della città, le Corti iniziano ad essere osteggiate da Ali Mahdi (del sub clan Abgaal, appartenente a Hawiye), che ne ordina lo smantellamento[28]; nella parte sud l’esperimento delle corti non viene realizzato fino al 1996, vista la dura opposizione del rivale di Ali Mahdi, il generale Mohammed Farah Aidid (del sub clan Habr Gedir, sempre appartenente ad Hawiye), fiero nemico dell’islamismo[29].

In quell’anno Aidid muore, lasciando campo libero alla creazione, nel 1998, della prima corte islamica a sud Mogadiscio ad opera dei Saleban (Habr Gedir)[30]. L’anno seguente altri due clan di Habr Gedir, Ayr e Duduble, fondano le proprie Corti; a differenza di quelle del nord, sono legate al fondamentalismo islamico a causa della presenza di ex membri della AIAI[31]. Hassan Dahir Aweys (in passato colonnello dell’esercito somalo che combatte nella guerra dell’Ogaden del 1977[32]) è coinvolto nella creazione della Ifka Halane Court[33]. Nel 2000 diverse corti islamiche della parte sud della capitale si “consorziano”, dando vita all’Islamic Court Council, di cui Aweys diviene signore, lasciando a Hassan Mohmmed Addeh, capo della corte Ifka Halane, il ruolo di leader ufficiale del consiglio; i clan, unendo le milizie, sono il primo gruppo non controllato dai signori della guerra a disporre di una forza armata consistente[34].

Secondo lo studioso Robrecht Deforche, la Somalia ha una tradizione di divisioni che non possono essere cancellate dal nazionalismo. La struttura unilineare e patriarcale dei clan è, da sempre, un elemento divisivo, prevalente sugli elementi unificanti, come l’appartenenza ad uno stesso gruppo etnico e linguistico o la comune fede religiosa[35]. Le tensioni fra i vari clan esistono da sempre, nascoste come braci ardenti sotto la cenere; dal primo periodo post-indipendenza, la corruzione ed il nepotismo sono un marchio di fabbrica dell’ingerenza clanica nella politica somala; dopo la caduta di Siad Barre, i conflitti esplodono con inusitata violenza, istigati dal vuoto di potere: la società si raccoglie attorno al clan di appartenenza, contribuendo così ad innescare la spirale di violenza che porta alla devastazione del paese[36].

La creazione di un sostrato comune, elemento chiave in un processo di pacificazione del paese, viene tentato con la creazione di governi federali – subito delegittimati; così si sfrutta l’appartenenza religiosa (le Corti) per rispondere non solo al vuoto di potere, ma anche alla corruzione ed alle divisioni interne fra i clan[37]. Sicché le Corti prosperano: nel 2003 Sharif Sheikh Ahmed riavvia la creazione di tribunali islamici nella parte nord di Mogadiscio, smantellati nel 1996 da Ali Mahdi, ed alla fine del 2004 tutte le corti sono unite sotto la sigla Unione delle Corti Islamiche[38], di cui Sharif Sheikh Ahmed è leader[39].

Il ruolo di al-Qaeda

L’Hotel Paradise fatto esplodere a Mombasa da Al Qaeda nel novembre del 2002[40]
Alla fine del 2002 la CIA (l’operazione viene capeggiata da John Bennett, un veterano dell’agenzia, futuro leader del National Clandestine Service) avvia una serie di contatti con i signori della guerra ancora attivi a Mogadiscio e in altre città strategiche, elargendo loro considerevoli somme di denaro in cambio della cattura dei jihadisti nascosti in Somalia[41]. La CIA ritiene che, protetti da AIAI, possano trovare rifugio nel paese il comoriano Fazul Abdullah Mohammed, il sudanese Abu Talha al-Sudani ed il keniota Saleh Ali Saleh Nabhan: i tre nomi sono legati agli attentati del 1998 alle ambasciate statunitensi di Nairobi e Dar es Salaam[42].

Fazul Mohammed è ritenuto la mente di quegli attacchi e, a dispetto degli sforzi statunitensi per catturarlo, rimane libero fino alla morte, avvenuta ad un posto di blocco dei soldati del Governo di Transizione Federale somalo la sera dell’8 giugno 2011, a seguito di uno scontro a fuoco con i militari[43]. Al momento della sua uccisione, Fazul Mohammed è considerato il leader di al-Qaeda nell’Africa Orientale[44], posizione raggiunta alle capacità organizzative: oltre agli attentati del 1998, egli pianifica gli attacchi di Mombasa del 28 novembre 2002[45] in cui viene fatto saltare in aria l’Hotel Paradise, di proprietà israeliana, uccidendo dieci kenioti e tre israeliani[46]. Contemporaneamente vengono lanciati due missili SA-97 contro un Boeing 757 di proprietà della compagnia Israeliana Akria poco dopo il decollo dall’aeroporto di Mombasa, mancando però il bersaglio[47].

Non meno importante è la sua capacità di reperire fondi per l’organizzazione: nascosto da circa 40 identità false[48], facilitato dal fatto di parlare cinque lingue[49], e con il viso rifatto dalla chirurgia plastica[50], Fazul Mohammed è la chiave dell’ingresso di al-Qaeda nel business dei blood diamonds, il che permette la sopravvivenza economica di Al Qaeda quando gli Stati Uniti bloccano gli altri finanziamenti all’organizzazione[51]. Dal 1999 al 2001 Fazul Mohammed è attivo in Liberia e in Sierra Leone, dove riesce non solo a riciclare venti milioni di dollari, ma anche ad assicurare ad Al-Qaeda dei saldi legami con importanti trafficanti di diamanti[52]. È un uomo chiave di al-Shabaab: in qualità di responsabile del reclutamento di foreign fighters e miliziani volontari, costituisce il tramite con l’universo jihadista fuori dalla Somalia[53].

Nel luglio 2021 alcuni ex-membri di Amniyat (la intelligence di al-Shabaab) svelano che l’85% del capitale utilizzato per aprire l’International Bank of Somalia (IBS) sarebbe di proprietà di Fazul Mohammed[54]. Zakariya Ismail Hersi, ex- leader di Amniyat ed ora membro del Somali Intelligence, rivela l’esistenza di relazioni fra Fazul e Mohamed Ali Warsame, proprietario di IBS: al-Qaeda, attraverso Fazul, invia generi alimentari e materiali da costruzione agli imprenditori somali, che vendono i beni ricevuti e restituiscono parte degli introiti[55]. Quando Fazul viene ucciso, il suo patrimonio è investito in compagnie locali: secondo Hersi, Warsame sarebbe entrato in possesso di quel denaro (157 milioni di dollari), con cui avrebbe aperto la IBS[56].

Abu Talha al-Sudani è un esperto di esplosivi vicino ad Osama bin Laden: la sua competenza risulta utile ad al-Qaeda sia negli attentati del 1998 che nell’attacco all’Hotel Paradise di Mombasa del 2002[57]. Dopo aver collaborato con AIAI, al-Sudani mette la propria esperienza al servizio di al-Shabaab nella lotta dell’Unione delle Corti Islamiche contro il TFG e l’esercito etiope nel 2006[58]. Muore nel gennaio del 2007, ucciso nel corso di un bombardamento aereo operato dall’esercito etiope lungo il confine somalo-keniota[59].

 

Le zone di influenza politiche e militari in Somalia nel gennaio del 2007[60]
La conferma della morte di al-Sudani viene data in un messaggio audio registrato da uno dei leader di al-Shabaab, legato alle milizie delle Corti Islamiche dal 2002 e membro di spicco di al-Qaeda nell’Africa orientale: Saleh Ali Saleh Nabhan[61]. Anche il suo nome è messo in relazione agli attentati di Nairobi e Dar es Salaam del 1998 e a quelli di Mombasa del 2002 (si ritiene che il veicolo utilizzato nell’attacco all’Hotel Paradise fosse di sua proprietà)[62]. Il ruolo di Nabhan come comandante dei foreign fighters addestrati da al-Qaeda in al-Shabaab, durante la trasformazione del gruppo da milizia delle Corti ad organizzazione terroristica autonoma, è molto importante: egli è a capo dei militari stranieri, che dopo il 2007 vengono formati da istruttori provenienti dall’Afghanistan, oltre che da Nabhan stesso, nella rete di campi di addestramento di al-Shabaab nella Somalia centrale e meridionale[63]. Nahban muore il 14 settembre 2009 vicino alla città di Barawe, a sud di Mogadiscio, sotto i colpi degli elicotteri delle forze speciali statunitensi[64].

Ibrahim Haji Jama Me’aad è una delle figure più importanti nella vicenda di al-Shabaab: arriva in Somalia nel gennaio 1990 dopo nove anni di studio di economia alla University of the District of Columbia di Washington dove, per mantenersi, lavora come gelataio, cameriere e tassista[65]. Gran parte del tempo, però, Ibrahim lo trascorre presso l’Islamic Center, una delle più grandi ed antiche moschee degli Stati Uniti orientali, approfondendo la conoscenza dell’Islam – e conosce l’uomo che cambierà il suo destino per sempre: Abdullah Azzam[66]. Azzam, palestinese, è considerato il primo teorizzatore e fondatore di al-Qaeda[67].

A metà degli anni 80 Azzam, con il sostegno finanziario di un ricco saudita di nome Osama bin Laden, installa una serie di alloggi e campi di addestramento per aspiranti Islamisti lungo il confine tra Pakistan e Afghanistan, nei quali accorrono giovani musulmani ispirati dalle rivoluzionarie idee panislamiste di Azzam. L’obiettivo è quello di scacciare l’invasore sovietico[68]. Azzam (non osteggiato dai governi occidentali in quanto nemico dell’Unione Sovietica) tiene una serie di incontri e conferenze in Medio Oriente, Europa e Nord America; durante una visita a Washington egli incontra Ibrahim Me’aad e lo recluta[69].

In concomitanza con la scadenza del suo visto da studente, Me’aad accetta l’invito di Azzam a lasciare gli USA per Peshawar, importante città pakistana ai confini con l’Afghanistan. Qui Me’aad trascorre un anno di addestramento, entrando nelle grazie di Azzam stesso e del futuro capo di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri[70]. Abdullah Azzam muore assieme ai due figli in un attentato dinamitardo a Peshawar il 24 novembre 1989[71]; poche settimane dopo, Ibrahim Me’aad, il cui nome è ora Ibrahim al-Afghani, fa ritorno in Somalia e diffonde una serie di videocassette narrano le gesta dei mujahedin contro l’esercito sovietico dall’Afghanistan[72]. Nel febbraio del 1991, dopo la caduta di Siad Barre, al-Afghani installa un campo di addestramento nella città di Kismayo, che diventa non solo il primo centro jihadista della storia somala, ma anche un luogo dove vengono insegnate tecniche di intelligence e tattiche militari[73]. Incoraggiati dal costante afflusso di volontari, al-Afghani e i suoi compagni aprono altri campi nella Somalia meridionale e centrale, la maggior parte dei quali vede l’adesione dei membri di AIAI[74].

Siad Barre, dittatore della Somalia dal 1969 al 1991, abbraccia uno dei suoi ministri[75]
Alla fine degli anni 80 l’organizzazione salafita (nata nel 1984) si adopera per creare uno stato islamico in Somalia, ed i metodi pacifici lasciano il posto all’organizzazione di una resistenza armata: Ali Warsame introduce nel gruppo il già citato Hassan Dahir Aweys, che diviene il capo della crescente ala militare[76]. All’inizio degli anni 90, AIAI concentra i propri sforzi contro l’Etiopia, alleandosi con il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Ogaden (ONLF), sicché nel 1996 l’esercito etiope penetra in Somalia e smantella le roccaforti di AIAI, annientando l’organizzazione[77]. I superstiti confluiscono dapprima nelle Corti Islamiche e, successivamente, in al-Shabaab[78].

I leader di al-Shabaab comprendono che non è possibile sopravvivere senza il sostegno di una parte della popolazione. Così, dove arriva al-Shabaab arriva anche la stabilità, finiscono i crimini violenti, riaprono le scuole, e questo elemento contribuisce, nel corso degli anni, alla sfiducia generale nei governi federali che si sono succeduti. Questi sono generalmente visti come emanazioni degli interessi stranieri, instaurati senza il consenso popolare e dunque privi di potere credibilità. Al-Shabaab non dimentica, invece, di instaurare relazioni con i clan, utilizzandoli come mezzo per allargare la propria base di consenso. Inoltre, il gruppo compie in patria attacchi contro obiettivi di governo o militari, rafforzando la propria immagine di difensore del popolo somalo contro gli “infedeli” appoggiati dall’Etiopia, dal Kenya e da potenze occidentali[79]. Quando agisce al di fuori dei confini nazionali, invece, al-Shabaab mostra una faccia affatto diversa.

Il fallimento di AMISOM

Combattenti somali sotto le bandiere di Al Qaeda (2009)[80]
A Kampala, capitale dell’Uganda, l’11 luglio 2010 il Kyadondo Rugby Club trabocca di persone venute ad assistere (grazie ad un enorme schermo TV) alla finale del Campionato del Mondo di Calcio tra Olanda e Spagna, che si gioca in Sudafrica. A tre minuti dalla fine dell’incontro un’esplosione fa saltare in aria decine di sedie di plastica occupate dagli avventori. Trascorrono pochi secondi e un’altra detonazione, a pochi metri di distanza dalla prima, travolge i presenti: due kamikaze, nascosti fra gli spettatori, si fanno saltare in aria[81]. Durante l’intervallo della partita, in un’altra zona della città, un ristorante etiope è oggetto di un ulteriore attacco dinamitardo. I morti sono 74[82]. La rivendicazione da parte di al-Shabaab dell’attentato è legata alla massiccia presenza di truppe ugandesi in territorio somalo, nell’ambito della già citata AMISOM, la missione di peacekeeping dell’Unione Africana in Somalia[83].

La missione ONU chiamata AMISOM nasce nel 2007 per sostenere il debole Governo Federale di Transizione e combattere il suo più feroce oppositore, al-Shabaab[84]. Oltre all’Uganda, sono coinvolti nell’operazione il Burundi, Gibuti, l’Etiopia ed il Kenya; la Sierra Leone ha aderito alla missione dal 2013 al 2014[85]. In aggiunta ai contributi di truppe militari, Kenya e Uganda, congiuntamente a Ghana, Nigeria, Sierra Leone e Zambia forniscono anche forze con compiti di polizia[86]. Tuttora attiva, AMISOM entra in azione quando il TFG (Governo di Transizione Federale), dopo il disfacimento dell’Unione delle Corti Islamiche nel dicembre del 2006, resiste solo grazie all’esercito etiope[87].

Nei mesi successivi all’ingresso dei rappresentanti governativi a Mogadiscio, la città è nuovamente sconvolta da una serie di attentati terroristici, ascrivibili ad al-Shabaab, alle milizie dei clan e ai signori della guerra scampati alla rovinosa sconfitta di pochi mesi prima[88]. Frustrati dal prolungarsi di questi attacchi, i militari etiopi reagiscono con azioni di inaudita violenza, bombardando interi quartieri della capitale[89]. Gli Stati Uniti, nel frattempo, cannoneggiano obiettivi islamisti in diverse aree del sud del paese[90]. Le atrocità perpetrate da ambo le parti portano ulteriori tragiche conseguenze: la disperata fuga di civili (in Kenya, Etiopia, Yemen, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna), un’ulteriore emergenza umanitaria, e l’aumento del fenomeno della pirateria, che fino al 2008 era abbastanza circoscritto[91].

Quando, nel gennaio del 2009, l’Etiopia si ritira dal territorio somalo, gli ex membri delle corti islamiche sono divisi in tre fazioni: al-Shabaab, Hizbul Islam (il partito islamico) e il gruppo moderato guidato da Sharif Sheikh Ahmed, un tempo leader dell’Unione[92]. Sheikh Ahmed diviene presidente della Somalia quello stesso mese[93], dopo che gli Accordi di Gibuti dell’agosto del 2008 sanciscono l’accordo fra il TFG e l’Alliance for the Re-Liberation of Somalia (ARS), il partito fondato da Ahmed, con i quali le parti si impegnano a cessare le ostilità, accettando la supervisione delle Nazioni Unite sul loro operato, cooperando allo sviluppo politico, economico e sociale del paese[94].

Al-Shabaab e Hizbul Islam, non riconoscendo l’autorità del TFG, minacciati dalla presenza delle truppe AMISOM, stringono un’alleanza[95]. Hizbul Islam è un gruppo nato nel febbraio del 2009 dalla fusione di quattro gruppi: l’ARS – in contrasto con la via del dialogo intrapresa dal suo ex-membro Sheikh Ahmed-, la brigata Ras Kamboni, Jabhatul Islamiya e Muaskar Anole[96]. La leadership viene assunta da Hassan Dahir Aweys, tornato appositamente dall’Eritrea, dove era riparato al momento della sconfitta dell’ICU[97]. A luglio al-Shabaab e Hizbul Islam controllano gran parte della Somalia centro-meridionale, ma tra gli alleati ci sono tensioni fortissime, legate soprattutto alla diversa posizione su Osama bin Laden[98].

L’era di Godane: autoritarismo e dissidi interni

Ahmed Abdi Godane

I crescenti dissapori fra i due gruppi (in particolar modo fra Aweys e Ahmed Abdi Godane, che nel maggio del 2008 è diventato il nuovo leader di al-Shabaab al posto di Aden Hashi ‘Ayro, ucciso nel corso di un attacco aereo statunitense[99]) sfociano in conflitto militare: la scintilla scocca a Kismayo in settembre, quando un contingente di Ras Kamboni, guidato da Ahmed Mohamed Islam, meglio conosciuto come Ahmed Madobe, sfida al-Shabaab per il controllo della città. JABISO ed ARS decidono di non supportare il proprio alleato, Anole si dichiara neutrale. Persino all’interno di Ras Kamboni, Madobe viene osteggiato da un altro capo della brigata: Hassan Abdullah Hersi al-Turki[100].

Ad ottobre al-Shabaab espelle la fazione di Madobe, mentre al-Turki dichiara l’annessione del proprio gruppo ad al-Shabaab. L’episodio mette in luce un obiettivo dell’organizzazione: allontanare il pericolo che le dinamiche politiche legate ai clan possano interferire con le proprie decisioni, strategie ed azioni[101]. Il 23 dicembre 2010, in una conferenza stampa a cui sono presenti alcuni leader di al-Shabaab, Aweys dichiara la confluenza di Hizbul Islam in al-Shabaab stesso[102].

Le divergenze fra Godane e lo stesso Aweys, però non si attenuano, alimentate anche dai primi seri dissidi interni ad al-Shabaab. Alcuni importanti membri contestano in primis l’autoritarismo con cui Godane guida l’organizzazione. Le tensioni esplodono in una scissione, che vede separarsi Godane (a capo di una fazione composta in larga parte di foreign fighters) e Aweys, Mukhtar Robow e al-Afghani (alla guida di una milizia nazionalista)[103].

Godane reagisce dichiarando una jihad globale con al-Shabaab al fianco di al-Qaeda (nella speranza di aumentare le adesioni di foreign fighters); introduce l’utilizzo di attentatori suicidi, figure sconosciute fino ad allora in territorio somalo, cambia il nome del gruppo in Harakat al Shabaab al-Mujahidin (Mujahidin Youth Movement), ed impedisce l’uso della bandiera somala, “favorendo” inoltre il matrimonio fra donne somale e miliziani stranieri[104]. I nazionalisti, dal canto loro, rifiutano ogni tipo di alleanza con al-Qaeda, il coinvolgimento di combattenti stranieri e la pratica di uccidere musulmani apostati per purificare l’Islam: è guerra fratricida[105].

Il 5 luglio del 2010, l’IGAD (Intergovernmental Authority on Development) approva l’invio di ulteriori 2000 soldati della missione AMISOM e propone al Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’aumento del contingente a 20’000 unità[106]. Le fazioni contrapposte in al-Shabaab si uniscono contro il nemico comune: una settimana dopo l’assemblea IGAD hanno luogo gli attentati di Kampala[107]. Il primo grande attacco del gruppo compiuto fuori dalla Somalia ha, come riportato, l’obiettivo di spingere il governo ugandese a ritirare dalla missione il suo contingente[108].

La situazione interna al gruppo rimane però carica di tensioni: la stessa annessione di Hizbul Islam (che si concretizza il 23 dicembre) è oggetto di disputa fra Godane, contrario, e la fazione di al-Afghani e Mukhtar Robow, favorevoli. Il momento di debolezza si traduce nella perdita di Mogadiscio, conquistata da AMISOM nell’agosto 2011[109]. Due settimane dopo, Godane sostituisce Robow e al-Afghani con Mahad Warsame Qaley Karate[110], alias di Mahad Karate[111], che ricopre un ruolo chiave in Amniyat, reparto operativo di intelligence del gruppo[112], e sospende le riunioni della Shura, il consiglio dei leader[113]. Nel febbraio del 2012, al-Zawahiri dichiara ufficialmente l’affiliazione di al-Shabaab ad al-Qaeda[114]. La decisione di bandire le agenzie ONU che operano a sostegno della popolazione, osteggiata da Robow e motivata dalla possibile infiltrazione di spie occidentali, causa l’aggravarsi della carestia, che uccide circa 260’000 somali, ed il risentimento popolare nei confronti di al-Shabaab[115].

Kenya: dall’operazione Linda Nchi all’ingresso in AMISOM

Volontari somali pregano prima di un combattimento con i militari kenioti del KDF[116]
La situazione si aggrava per l’intervento militare del Kenya: Linda Nchi (“proteggere la nazione”) è il nome dell’operazione dichiarata unilateralmente il 14 ottobre 2011 ed iniziata due giorni dopo, il 16[117]: si tratta della più importante operazione militare keniota dal raggiungimento dell’indipendenza, la prima in cui invia truppe fuori dal territorio nazionale. Le ragioni di quest’azione improvvisa sono evidenti: mettere la parola fine agli attentati di terroristi somali o comunque residenti in Somalia[118], ma anche porre un freno all’immigrazione di chi fugge dalla Somalia in guerra: nel 2011 sono registrati quasi mezzo milione di profughi, in maggioranza ospitati a Dabaab[119], il che contribuisce alla crescita di un sentimento anti-somalo nei kenioti[120].

L’intervento delle truppe KDF viene accelerato da una serie di rapimenti ed omicidi che coinvolgono turisti occidentali[121], l’ultimo dei quali è il rapimento, attribuito ad al-Shabaab, di due operatrici spagnole di Medici senza Frontiere che lavorano presso il campo profughi di Dabaab, il 13 ottobre: le due donne, Montserrat Serra e Blanca Thiebaut verranno liberate nel luglio del 2013[122]. Il 16 ottobre, quando l’operazione Linda Nchi ha inizio, coglie di sorpresa anche il governo di transizione somalo, che dichiara il proprio supporto all’operazione solamente il 21 ottobre[123].

Le decisioni del governo keniota in tema di politica internazionale si rivelano un grave autogol, come la decisione del primo ministro Raila Odinga di incontrare l’omologo israeliano Bibi Netanyahu per coordinare i due paesi nella lotta al terrorismo[124]; al-Shabaab coglie la palla al balzo: l’intesa fra i due paesi sarebbe propedeutica alla distruzione dei musulmani[125]. Il tutto alimenta sentimenti negativi nel mondo musulmano circa l’intervento del KDF.

L’obiettivo dell’operazione Linda Nchi è quello di liberare il sud della Somalia dal controllo di al-Shabaab; in questo intento l’esercito kenyano lavora con diversi gruppi somali, fra cui, oltre alle truppe del TFG, occorre citare il Ras Kamboni Movement, nato per mano di Ahmed Madobe dopo la scissione avvenuta alla fine del 2009 all’interno della Brigata Ras Kamboni: costui dichiara guerra ad al-Shabaab per riprendere il controllo di Kismayo[126]. È probabile che il governo di Nairobi lavori da anni per creare nello Jubaland una regione autonoma, e che ora prometta a Madobe un futuro ruolo da leader dell’area[127].

Gli inizi della guerra sono difficili per l’impreparazione del contingente keniano e la strenua resistenza di al-Shabaab, che colpisce ovunque, come a Mogadiscio durante l’incontro del Ministro della Difesa, Mohammed Yusuf Haji, e quello degli esteri kenyano, Moses Wetangula[128]. Vengono quotidianamente colpite le truppe del KDF e al contempo continuano, in territorio kenyano, gli omicidi di turisti, funzionari governativi ed agenti di polizia[129]. La risposta delle truppe AMISOM e dei suoi alleati dell’ENDF (Ethiopia National Defence Forces)[130], costringe al-Shabaab a ritirarsi per evitare un confronto bellico su tre fronti.

Nel giugno del 2012 il KDF viene integrato nel contingente AMISOM[131]. Il 28 settembre 2012 le milizie di al-Shabaab abbandonano Kismayo a seguito di un attacco congiunto da parte delle forze militari kenyane e somale[132], con il supporto delle milizie del Ras Kamboni Movement[133]. L’operazione Linda Nchi è ufficialmente terminata, ma la presenza del Kenya in Somalia è destinata a durare a lungo, non senza conseguenze; al-Shabaab, nonostante un oggettivo indebolimento e la perdita di territori chiave, controlla ancora la maggior parte della Somalia meridionale ed è determinata a riorganizzarsi, evolvendosi in base alle necessità.

La resa dei conti

Mukhtar Robow, a sinistra, con Omar Hammami, noto come Abu Mansoor al Amriki, a Mogadiscio nel 2011[134]
Questo vuol dire, prima di tutto, risolvere le questioni interne: il 20 giugno 2013 le milizie di Godane uccidono due membri della fazione opposta, tra cui al-Afghani[135]. Mukhtar Robow rimane nascosto fino all’agosto del 2017, quando si consegna alle autorità somale[136]: un risultato della strategia politica di riconciliazione nazionale con i membri nazionalisti di al-Shabaab sostenuta dal Presidente Farmajo, con l’appoggio del governo Trump, che il 23 giugno esclude Robow, attraverso il Dipartimento del Tesoro, dalla lista dei ricercati[137].

Dopo l’uscita allo scoperto, Robow si dichiara contrario alle posizioni di al-Shabaab ed invita i suoi membri a lasciare il gruppo[138]. Nel 2018 decide di partecipare alle elezioni nello stato del South West come candidato presidente; il 13 dicembre viene arrestato a Baidoa dal contingente etiope dell’AMISOM, in un’azione sostenuta dall’esecutivo federale, con il malcelato intento di escluderlo dalla corsa; la manovra causa seri disordini in un’area in cui al-Shabaab conserva la propria presenza[139]. Viene posto agli arresti domiciliari a Mogadiscio, dove si trova tuttora[140]. Anche Hassan Dahir Aweys fugge, ma viene arrestato il 26 giugno 2013 nell’Himan and Heeb, regione autonoma della Somalia centrale[141]. Come Robow, viene trasferito a Mogadiscio e posto agli arresti domiciliari, situazione in cui si trova tuttora[142].

Godane prosegue con l’eliminazione dei membri sospettati di aver appoggiato i leader perdenti come lo statunitense Omar Shafik Hammami, noto come Abu Mansoor al-Amriki[143], figura centrale nel rinnovamento di al-Shabaab dall’ottobre del 2007, noto per i suoi numerosi video di propaganda, girati in stile real-tv durante azioni militari, oppure commentati in stile rap da Hammami – tutti video che registrano decine di migliaia di visualizzazioni su YouTube, e contribuiscono a motivare potenziali foreign fighters, anche dagli Stati Uniti[144]. L’epurazione di Godane rafforza l’immagine di al-Shabaab come una forza legata al movimento jihadista internazionale, riducendone però la capacità militare, dato che la maggioranza delle milizie proviene dal clan Rahanweyn di Mukhtar Robow; l’eliminazione di foreign fighters vicini a Robow e ad Aweys frena l’arrivo di nuove potenziali reclute dall’estero[145].

Agli isolati tentativi di riconquistare i territori perduti attraverso campagne militari il gruppo alterna un numero crescente di azioni terroristiche, che mettono in luce la capacità di al-Shabaab di colpire ovunque in patria e all’estero: il 4 ottobre 2011 un camion-bomba esplode a Mogadiscio vicino alla sede del Central Investigation Department, uccidendo 100 persone, in maggioranza studenti in attesa di sostenere l’esame per una borsa di studio in Turchia[146]. L’8 novembre 2014 un contingente di al-Shabaab conquista l’isola di Kudhaa, 130 km a sud ovest di Kismayo, sottraendola al controllo delle forze dell’Interim Juba Administration (IJA), che l’aveva presa solo due settimane prima. Nello scontro muoiono quarantatré soldati dell’IJA e trentuno miliziani di al-Shabaab[147]. Due azioni dal fortissimo risultato propagandistico.

All’estero, al-Shabaab mira ad uccidere quanti più civili possibile: da una parte si colpiscono paesi che sostengono AMISOM, dall’altra si ottiene l’attenzione del mondo, e si rende credibile l’effettiva importanza del gruppo nella galassia al-Qaeda. Un obiettivo centrato con l’attentato al Westgate Mall di Nairobi del 21 settembre 2013: quattro componenti del gruppo, a volto coperto, entrano nel lussuoso centro commerciale, uccidendo chiunque incontrino ed asserragliandosi all’interno dell’edificio. L’assedio delle forze armate kenyane si conclude solo il 24 settembre. Muoiono 67 persone, oltre ai quattro attentatori, più di duecento rimangono ferite[148]. Un clamoroso successo.

Una donna scampata al massacro del Westgate Mall di Nairobi del 21 settembre 2013[149]
Nel loro saggio del 2020, (“Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”), Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya individuano otto ragioni alla base della ferocia di al-Shabaab in Kenya: a) La prossimità geografica: il Kenya confina con la parte di territorio somalo rimasta sotto il controllo di al-Shabaab; questo consente all’organizzazione di mettere a segno numerose azioni nell’area di confine, come Mandera (2016[150]) e Garissa (2015[151]), oltre agli attacchi contro stranieri messi a segno lungo la costa[152];

b) La visibilità: il Kenya (specie grazie al turismo di massa) è uno degli stati più importanti dell’Africa sub-sahariana. Nairobi ospita numerose ambasciate, una sede delle Nazioni Unite e quella di moltissime ONG internazionali (fra cui Africa Milele Onlus, per cui lavora Silvia Romano, rapita il 20 novembre 2018[153]);

c) Copertura mediatica: la Costituzione keniota garantisce ai media il massimo grado di libertà ed autonomia dal potere statale. Questa condizione, non comune nella regione, favorisce la presenza di numerose testate indipendenti nazionali ed estere (CCTV, CNC World, BBC ed Al-Jazeera)[154];

d) Il turismo: l’obiettivo di costringere il Kenya a ritirare le proprie truppe dal contingente AMISOM, è favorito dalla nutrita presenza di turisti stranieri[155];

e) Il reclutamento di foreign fighters kenioti: il Kenya fornisce ad al-Shabaab un numero di combattenti di gran lunga superiore ad altre nazioni, costituito da musulmani contrari alla presenza occidentale nell’area[156];

f) La facilità di costituire di cellule terroristiche in Kenya, che deriva da quanto descritto. Degna di nota, a tal proposito, è l’organizzazione al-Hijra, considerata l’emanazione di al-Shabaab in Kenya[157];

g) Autoritarismo vs democrazia: colpire un paese democratico come il Kenya, in cui la popolazione ha il potere di influenzare la politica, è un vantaggio ideologico per molta parte della popolazione di fede islamica[158];

h) Corruzione: il fenomeno assume in Kenya una dimensione endemica. Ciò causa una condizione di generale impreparazione ed inadeguatezza da parte dello Stato nell’affrontare un gruppo ben addestrato e preparato, quale è al-Shabaab[159].

All’attacco del Westgate Mall seguono, a distanza di pochi mesi, altre incursioni in Kenya: il 23 marzo 2014 membri di al-Shabaab irrompono armati in una chiesa della città di Likoni, vicino Mombasa, uccidendo quattro persone e ferendone 17[160]. Nairobi viene colpita il 1°[161] ed il 23 aprile[162]. La polizia, nell’ambito dell’operazione antiterrorismo “Usalama Watch”, dal 2 aprile effettua retate ed arresti indiscriminati (650) nel quartiere Eastleigh di Nairobi, chiamato “Little Mogadishu”, ed in altre aree connotate da una forza presenza di popolazione somala, favorendo la propaganda jihadista[163].

L’enorme gabbia in cui la Polizia keniota rinchiude gli arrestati dell’operazione “Usalama Watch”, il 2 aprile 2014[164]
Grande scalpore, in questo senso, suscita l’omicidio, consumatosi a Mombasa il 1° aprile 2014, di Abubaker Shariff Ahmed, conosciuto come Makaburi, un leader religioso indicato dalle Nazioni Unite come reclutatore di giovani musulmani per al-Shabaab;[165] due anni prima, nell’agosto 2012, un altro leader religioso di Mombasa, Aboud Rogo Mohammed, anch’egli accusato di essere sostenitore di al-Shabaab, viene ucciso in strada[166]. Nell’ottobre del 2013 Ibrahim “Rogo” Omar, il successore di Aboud Rogo Mohammed, viene crivellato di colpi a bordo della propria auto[167]. La conseguenza di questi delitti della polizia keniana[168] è il massacro avvenuto il 15 giugno 2014 nel villaggio costiero di Mpeketoni, nel corso del quale un commando di al-Shabaab uccide in tre ore circa 50 abitanti[169].

La struttura interna di al-Shabaab

Pirati di al-Shabaab appena fermati dalla Marina francese[170]
Nel 2014 AMISOM può contare in Somalia su oltre 22’000 soldati[171], ed il capo di Al-Shabaab, Ahmed Abdi Godane, ucciso nel corso di un attacco aereo statunitense il 1° settembre 2014, è la vittima più famosa dell’impegno militare internazionale[172]. Muore così l’uomo che ha trasformato la milizia in una struttura piramidale rigida ed efficiente, che Harun Maruf e Dan Joseph hanno potuto ricostruire grazie ad interviste dirette ad ex-membri dell’organizzazione, dandone conto nel volume “Inside Al-Shabaab – The Secret History of Al-Qaeda’s Most Powerful Ally”.

Alla testa di al-Shabaab si trovano la Shura (organo consultivo, composto da 38/40 membri) e il Tanfid (con potere decisionale, composto dai più influenti membri dei clan, delle milizie e religiosi). Le decisioni del Tanfid vengono comunicate ai maktab (una sorta di agenzie governative), il cui numero è variabile, ma che certamente include: Da’wa (predicazione), Zakat (tassazione), Wilayat (amministrazione regionale), Amniyat (sicurezza), Jabhat (esercito), Garsoor (sentenza e giustizia), più altri di minore rilevanza. I leader dei maktab vengono sostituiti con frequenza, per evitare che possano acquisire eccessivo potere[173].

Un ruolo centrale spetta al maktab Da’wa, istituito per mantenere la concezione dell’Islam dei leader: riforma le moschee, biblioteche ed altre istituzioni pubbliche, rigettando ogni riferimento al sufismo e ponendosi a capo dell’organizzazione delle funzioni religiose e del sistema scolastico – la scuola viene utilizzata come veicolo di indottrinamento, e le regioni di Bay e Bakool, in cui al-Shabaab ha scuole e campi d’addestramento, forniscono il maggior numero di affiliati[174].

Le donne devono indossare lo hijab o il burqa, i capelli degli uomini non devono superare una certa lunghezza, è vietato fumare, guardare film, ascoltare musica occidentale e masticare khat (una droga diffusa in Somalia). A far rispettare queste ed altre norme, come ad esempio far chiudere i negozi subito prima delle funzioni religiose (a cui è obbligatorio partecipare), ci pensa Hisbah, la polizia di al-Shabaab, i cui membri sono vestiti in uniforme ed equipaggiati come molti altri corpi facenti analoghe funzioni. I crimini, vengono giudicati dal Garsoor, l’organo giudiziario, generalmente senza dare all’imputato la possibilità di difendersi[175].

La struttura di controllo religioso, civile e militare richiede un ingente e continuo esborso di denaro; a questo proposito il ruolo del maktab Zakat è fondamentale. In ogni regione sotto il controllo di al-Shabaab, i governanti (waali) si servono di Zakat per amministrare il sistema di tassazione; su ogni attività economica vengono applicate imposte, i cui proventi sono in larghissima parte utilizzati per finanziare le operazioni militari. Le maggiori entrate provengono dalle accise sul transito dei camion (il prezzo da pagare giunge fino a 1.200 dollari a veicolo, per un singolo passaggio) e dai pagamenti in bestiame ricevuti dai proprietari di grandi mandrie e pascoli; gli animali vengono rivenduti nei mercati, generando alti profitti[176].

L’Amniyat, organo di sicurezza e spionaggio di al-Shabaab[177]
Introiti consistenti vengono ad al-Shabaab anche dalla relazione con la pirateria somala, fenomeno generato dal malcontento dei pescatori del Puntland per la spietata concorrenza dei pescherecci stranieri che divengono oggetto di sistematici attacchi, con gli equipaggi presi in ostaggio e rilasciati dopo il pagamento di un riscatto[178]. Tra il 2005 ed il 2011 si verificano circa 1100 attacchi, di cui più di 200 vanno a buon fine[179]. Al declino dell’attività piratesca dal 2013 contribuiscono diversi fattori, fra cui la presenza sulle navi di guardie di sicurezza private e la massiccia presenza nell’area di forze navali internazionali[180], oltre alla conquista da parte delle truppe AMISOM di numerosi porti strategici, precedentemente nelle mani di al-Shabaab, riducendo di fatto la possibilità di approdi sicuri ai dirottatori[181].

Fra il 2008 ed il 2010 i pirati negoziano con al-Shabaab per avere accesso ai porti controllati dall’organizzazione, che in cambio riceve parte dei proventi del riscatto (da 100’000 a 200’000 dollari ad operazione)[182], e la pirateria, tra il 2005 ed il 2012, genera circa 400 milioni di dollari[183], riciclati con il traffico d’armi e di khat, soprattutto con il Kenya[184]. Al-Shabaab, dal canto suo, amministra i proventi delle esportazioni di carbone verso Dubai, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e l’Iran[185], oltre che incassare il sostegno i paesi “amici” come l’Eritrea[186].

Ciò che permette ad al-Shabaab di controllare il territorio è l’apparato militare. Gli aspiranti miliziani vengono inviati nei campi di addestramento, dove gli insegnanti sono esperti di al-Qaeda. Al termine del durissimo addestramento, i nuovi affiliati vengono divisi tra lo Jabhat e l’Amniyat. I soldati di Jabhat combattono sul campo contro TFG ed AMISOM. I migliori elementi entrano nell’Amniyat, che si occupa di organizzare attacchi suicidi ed attentati ed assolve a funzioni di spionaggio[187].

Amniyat è divisa in tre unità: Jugta Ulus, specializzata nell’utilizzo di missili, bazooka e mitragliatrici pesanti; Mukhabarad, che è l’unità di spionaggio; la terza branca è la Mutafajirad ed è specializzata in missioni suicide[188]. Amniyat è il fulcro attorno al quale ruotano l’identità, la credibilità e l’autorevolezza di al-Shabaab come gruppo terroristico: lo studioso Mohamed Mubarak, oltre a parlare dell’importante ruolo delle donne in questo apparato, afferma che i membri delle varie unità di Amniyat non si conoscono fra loro e non conoscono l’attività degli altri; i volti di tutti sono sempre coperti, in modo che l’identità di ciascuno sia nota solo al proprio leader[189].

I membri di al-Shabaab conoscono l’identità del nuovo emiro meno di una settimana dopo la morte di Godane. Il 6 settembre viene infatti annunciato Ahmed Diriye, meglio conosciuto come Ahmed Omar Abu Ubaidah; membro del clan Dir, come il predecessore, Abu Ubaidah è in al-Shabaab dal 2006, ed è uno dei membri più influenti di Amniyat[190]. Sotto la sua guida al-Shabaab prosegue la campagna di jihadismo di al-Qaeda[191]. Nel 2015, però, fa il proprio ingresso sulla scena un nuovo attore, destinato a portare nuovo scompiglio tra le fila dell’organizzazione: l’ISIS.

Nel corso dell’anno, i rivali di al-Qaeda pubblicano on-line una serie di video che invitano al-Shabaab a battersi per Abubakr al Baghdadi. Il primo a rispondere è il gruppo del Puntland di Abdul Qadir Mumin, considerato il capo dell’ISIS in Somalia dal 2016[192]. La sua defezione assume un forte significato simbolico: la fuoriuscita di Mumin è il sintomo dello scontento serpeggiante in al-Shabaab per il dispotismo di Abu Ubaidah[193], un inflessibile guerriero takfiri come il suo predecessore[194]. Nel dicembre del 2014 Zakariya Ismail Ahmed Hersi, capo dell’intelligence di al-Shabaab, si arrende al governo somalo, accusando Abu Ubaidah di eccessiva ferocia[195].

Il terrore continua

3 aprile 2015: i terroristi di al-Shabaab massacrano 148 studenti e professori al Garissa University College[196]
La catena di attentati in Somalia ed in Kenya continua, con un gran numero di civili fra le vittime (più di 3000 dal 2015 ad oggi)[197]; del 2015 è la strage al Garissa University College (Garissa, Kenya) del 3 aprile, in cui perdono la vita 148 persone, in maggioranza studenti, freddati dagli assalitori dopo che ne viene accertata la fede cristiana[198]. Il 14 ottobre 2017 due camion bomba vengono fatti esplodere nell’ Hodan District, zona nord occidentale di Mogadiscio: anche a causa dell’esplosione di un’autocisterna nei paraggi dei veicoli bomba, muoiono almeno 587 persone[199].

Gli Stati Uniti designano al-Shabaab come organizzazione terroristica nel 2008: da allora al 24 agosto 2021 sono stati lanciati 254 attacchi in territorio somalo (la maggior parte dei quali durante la presidenza Trump), uccidendo 1800 persone (inclusi anche membri dell’ISIS e di al-Qaeda), tra cui due emiri: Ayro e Godane[200]. La situazione non è mutata: al-Shabaab resiste alle defezioni e all’ostilità della gente (che l’aveva sostenuta al tempo della invasione etiope del 2006 e fino al 2008[201]), colpisce costantemente le truppe AMISOM[202] e il Somali National Army (SNA)[203], estendendo il proprio raggio d’azione anche alla regione autonoma del Puntland, nel nordest del paese[204], dove la situazione diviene più turbolenta anche in seguito della comparsa dell’ISIS e della successiva separazione del gruppo di Mumin[205].

Dopo anni di debolezza e sfiducia, il Federal Government of Somalia (FGS) – che sostituisce il Transitional Federal Government (TFG) nel 2012 – ha compiuto innegabili progressi[206]; la sua capacità di penetrazione nel paese rimane però limitata anche a causa dei rapporti tesi con i governi regionali[207], in particolar modo con le istituzioni dello Jubaland che portano, nel febbraio del 2020, allo scontro tra le milizie fedeli al ministro della sicurezza della regione e l’esercito federale[208].

Kismayo è dello Jubaland la città più importante, per il numero dei suoi abitanti e per quel grande porto costruito dagli Stati Uniti nel 1964[209] che tanto è prezioso per chi governa la regione, come al-Shabaab fino al 2012. I suoi abitanti vivono da allora quasi in pace. Poi arriva il 13 luglio 2019, con l’attacco all’Asasey Hotel[210], come un tremendo monito a tutti coloro che sperano di poter tornare ad una vita normale: al-Shabaab è meno forte, forse, ma è viva, presente e sempre molto pericolosa.

Nel 2018 il Governo Federale Somalo e l’AMISOM siglano un’intesa per il graduale ritiro delle truppe, ma non si sa quando e se avverrà, perché il contingente internazionale è ancora decisivo nel contrasto ad al-Shabaab[211]; gli Stati Uniti completano il ritiro delle proprie truppe dalla Somalia nel gennaio 2021 (vengono dislocate in altre basi dell’area[212]), in un momento in cui la situazione è gravemente instabile, perfino a Mogadiscio[213]. La presa del potere da parte dei Talebani in Afghanistan, celebrata da al-Qaeda[214], potrebbe spingere al-Shabaab a tentare, in Somalia, un’impresa simile[215], che senza truppe straniere potrebbe riuscire.

La strategia di pace americana fallisce: tra il 2001 ed il 2011 si commette l‘errore di lanciare una campagna militare contro l’unica forza in grado di restituire alla Somalia una certa stabilità (l’Unione delle Corti Islamiche); a quel punto gli USA sostengono l’intervento etiope, il paese precipita nel caos, dando legittimazione ad al-Shabaab. L’errore successivo è appoggiare il TFG, sospettato di essere colluso con AIAI: il fatto che gli USA lavorino costantemente a fianco dell’Etiopia, a causa delle ambizioni egemoniche di Addis Abeba e del comportamento delle truppe etiopi in Somalia, getta il discredito sul governo, condannandolo alla perpetua debolezza[216].

I proventi di al-Shabaab

I mercati nei quali al-Shabaab percepisce una percentuale per ogni singola transazione[217]
Per comprendere meglio come possa al-Shabaab sostenere la mole di investimenti necessaria al mantenimento della propria struttura, alla pianificazione delle operazioni militari e terroristiche, all’approvvigionamento di armi e munizioni e allo sviluppo di nuovi campi di addestramento, può essere utile fornire qualche dato in merito alle entrate del gruppo: il Monitoring Group on Somalia and Eritrea del Consiglio di Sicurezza dell’ONU stima che esso sia riuscito ad incamerare fra i 70 ed i 100 milioni di dollari l’anno fino al 2011[218], derivanti in larga parte dall’esportazione del carbone dai porti e dalla tassazione imposta alle compagnie di trasporto dello stesso carbone e dello zucchero[219].

Con la perdita di molti porti strategici e il bando imposto dall’ONU alle esportazioni somale di carbone, al-Shabaab riduce il proprio volume d’affari, che si attesta intorno ai 38-56 milioni di dollari l’anno (proventi del commercio e tassazione sui porti del carbone) nel 2014[220], e reagisce con il “Charcoal Ban”, che mette in pericolo i commercianti e trasportatori di carbone, imprigionati ed attaccati militarmente[221].

Un altro ostacolo all’attività carbonifera del gruppo viene dalla messa al bando delle importazioni illegali di carbone dalla Somalia da parte degli Emirati Arabi Uniti, che nel 2016 ne riduce ulteriormente il traffico[222]. La tassazione sulle importazioni e le esportazioni dello zucchero subisce un aumento in relazione alla diminuzione degli introiti derivanti dalle attività legate al carbone: per ogni camion che transita nei propri territori, al-Shabaab riceve, nel 2016, 1500 dollari (contro i 1000 dell’anno precedente), rendendo al gruppo un guadagno stimato fra i 12 ei 18 milioni di dollari l’anno[223].

L’articolato sistema di tassazione delle attività commerciali e degli individui, regolato dal maktab Zakat, frutta ad al-Shabaab, nel 2011, 90 milioni di dollari per i soli mercati cittadini di Mogadiscio, Baraka e Suuq Baad[224]; negli anni seguenti le imposte sull’agricoltura rimangono una fonte importante di reddito[225], mentre dal 2016 crescono le tasse gravanti sulle popolazioni locali, a fronte di una generale diminuzione della qualità dei servizi offerti alle comunità[226]. Organizzazioni di assistenza umanitaria pagano anch’esse una tassa per avere il permesso di operare nelle regioni controllate da al-Shabaab[227], come accade anche in occasione della carestia che colpisce il paese nel 2011[228].

Diverse attività commerciali e turistiche vengono taglieggiate dall’organizzazione che “protegge” in cambio di un pagamento fisso[229]; anche le rimesse dei cittadini somali residenti all’estero, una delle principali fonti di sostentamento per buona parte della popolazione, sono oggetto delle attenzioni di al-Shabaab, che trattiene una percentuale non precisata del miliardo di dollari l’anno che entra in territorio somalo[230]. L’Eritrea ha sostenuto al-Shabaab con circa 50’000 dollari al mese dal 2006 al 2008 circa[231], prima di ridurre l’invio di denaro nel 2012[232]. Nel 2009 anche il Qatar è stato accusato di aver inviato fondi all’organizzazione[233].

La crescente attività di al-Shabaab nel Puntland potrebbe avere come obiettivo, oltre a quello di combattere l’ISIS, anche di intensificare i rapporti con al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP), gruppo attivo principalmente nello Yemen ed in Arabia Saudita, e partecipare dei suoi utili finanziari[234]. La più grande compagnia telefonica somala, Hormuud Telecom, viene ritenuta fra i maggiori finanziatori di al-Shabaab[235]: la compagnia viene anche utilizzata dall’organizzazione per pagare gli stipendi ai propri affiliati[236]. Sarebbero attualmente in crescita le capacità del gruppo di utilizzare istituti bancari locali (Salaam Somali Bank) per riciclare all’estero il denaro, specie nel settore immobiliare[237]. Dal 2009, Al Shabaab ha un proprio ufficio comunicazione, al-Kataib Media Foundation, che crea e diffonde materiale di propaganda[238].

L’impegno della Turchia e le prospettive per la Somalia

Il presidente turco Erdogan passa in rivista le truppe del governo somalo[239]
È chiaro il fatto che la Somalia non può trovare la pace fin quando ci sarà una guerra tra fondamentalisti islamici, truppe occidentali e clan tribali. Ma i clan tribali, da soli, non sono in grado di trovare un accordo tra loro e coordinare gli sforzi per rimettere in piedi la nazione. Per questo motivo, fino ad oggi, esistono solo tre possibili alleati del governo di Mogadiscio in grado di affrontare il problema: la Russia, la Cina e la Turchia. Ed è soprattutto questo terzo paese a mettere in campo tutta la sua forza per annettere la Somalia nella sua sfera di influenza.

Recep Tayyip Erdogan mette piede in suolo somalo nell’agosto 2011, quando nel paese si registra una terribile siccità, che si aggiunge alla carestia nell’aggravare la disastrosa situazione umanitaria. Oltre a contribuire al sostentamento della popolazione attraverso l’invio di aiuti umanitari, la Turchia dà vita ad un piano di investimenti infrastrutturali[240]. Ankara mette in piedi la più imponente campagna di aiuti nella storia turca, riuscendo a raccogliere 300 milioni di dollari, a cui si aggiungono altri 350 milioni donati dai membri dell’Organisation of Islamic Cooperation (OIC), sollecitati dalla Turchia nel corso di un’assemblea straordinaria da lei stessa convocata[241]. Grazie a questi aiuti il governo invia operatori umanitari, medici e funzionari per installare ospedali da campo e distribuire cibo e medicinali alla popolazione – e poco dopo la Turkish Airlines è la prima compagnia aerea a ripristinare collegamenti aerei con la Somalia dopo oltre vent’anni[242].

L’impegno turco prosegue con la costruzione di strade[243], scuole[244], ospedali[245] e istituzioni statali, come la sede del parlamento somalo[246]. Erdogan ha utilizzato la statale Maarif Foundation per aprire in diversi paesi del mondo, fra cui la Somalia, scuole vicine alla Fratellanza Musulmana[247]. Molte di queste scuole soppiantano quelle aperte nei decenni precedenti da Fethullah Gülen[248]. Gülen ed Erdogan, alleati dal 2002, sono entrati in aperto conflitto dopo lo scandalo sulla corruzione in Turchia esploso nel 2013[249]. Gülen, dal 1999 in esilio negli stati Uniti, fonda oltre cento scuole in Turchia e centri di istruzione privati in 110 paesi del mondo attraverso il suo movimento Hizmet / Ceemat[250]. Nel 2016 il governo Erdogan mette al bando il movimento di Gülen, ribattezzandolo come gruppo terroristico ed assegnandogli il nome di Fethullahist Terrorist Organisation (FETO)[251].

In risposta al grande impegno profuso nel paese, all’inizio del 2020 il governo somalo invita la Turchia a procedere con le trivellazioni al largo delle coste somale in cerca di petrolio[252], nell’ambito di una legge del 2019 sullo sfruttamento dei giacimenti promulgata da Mogadiscio per attrarre investimenti esteri nella fase esplorativa[253]. Il sito da esplorare si estende su un’area di circa 100’000 chilometri quadrati contesa fra Kenya e Somalia, ragion per cui l’invito del governo somale alle trivellazioni estere potrebbe inasprire le relazioni fra i due paesi[254].

Il volume di scambi commerciali fra i due paesi è in crescita, passando dai 144 milioni di dollari del 2017 ai 206 milioni del 2019[255]. A Mogadiscio apre nel 2017 la più grande base ed accademia militare dell’esercito turco in territorio straniero, chiamata Camp TURKSOM, nella quale vengono addestrati fino a 1.000 soldati somali contemporaneamente[256]; a causa del ruolo assunto nella crescita delle forze armate somale, la base è oggetto di attacchi da parte di al-Shabaab[257].

Il Ministero degli esteri turco svolge dal 2013 un costante lavoro di mediazione fra il governo federale somalo e l’amministrazione del Somaliland[258]: gli Emirati Arabi Uniti, in risposta alla crescente influenza turca nell’area, hanno deciso di investire nello strategico porto di Berbera, nel Somaliland, un importante avamposto sul mar Rosso molto vicino allo Yemen[259]. Altri rivali della Turchia reagiscono: il principe saudita Mohamed Bin Salman dichiara nel 2018 che la Turchia tenta di costruire un nuovo califfato Ottomano, segnale di come le relazioni con i paesi del Golfo siano problematiche dopo il colpo di Stato in Egitto ai danni del presidente Mohamad Morsi, membro della Fratellanza Musulmana, appoggiato quindi da Erdogan[260]. Le relazioni si complicano nel 2017, quando la Turchia sostiene il Qatar nella crisi con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’Egitto[261]. Gli interessi di Ankara e Doha convergono sulla Somalia, dove nel 2020 i due paesi intraprendono una campagna di reclutamento mercenari da utilizzare nel conflitto libico al fianco del Government of National Accord[262].

Tutti questi passi sono un presupposto necessario per trasporre il confronto militare ad un altro livello, ovvero quello economico. Nel momento in cui Berbera Port diventerà una vera alternativa allo scalo egiziano di Port Said e la Cina avrà completato la strada camionale che unisce questi porti alla Repubblica Democratica del Congo ed all’Angola, ci sarà un interesse comune dei paesi musulmani a fare in modo che al-Shabaab divenga solo un brutto ricordo, e che i clan abbiano scelte più interessanti su cui dividersi. È una soluzione pragmatica, certo. Come tutte quelle che possono davvero funzionare.

 

[1] https://www.lemonde.fr/international/article/2018/06/15/somalie-madobe-le-chef-djihadiste-devenu-frequentable_5315671_3210.html
[2] Jamal Osman, “Somalia: ‘My Bloody Country’” – BBC Africa Eye full documentary: https://www.youtube.com/watch?v=YH6f0azpOrg
[3] https://www.ilmattino.it/primopiano/esteri/silvia_romano_rapita_terroristi_amniyat-4717847.html?fbclid=IwAR3bKlxG6gqhfB0JMlpfFARPsoyB7fGO1l4UjP0OBPkZ31-5LwDPtNJH6uo
[4] http://www.peaceau.org/uploads/amisom-press-release-30-09-2012.pdf
[5] Jamal Osman, “Somalia: ‘My Bloody Country’” – BBC Africa Eye full documentary: https://www.youtube.com/watch?v=YH6f0azpOrg
[6] https://www.huffpost.com/entry/somalia-hotel-siege_n_5d29b2f0e4b0bd7d1e1cc673
[8] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 59
[9] https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/islamic-courts-union#text_block_19602
[10] https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/islamic-courts-union#text_block_19602
[11] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 53
[12] International Crisis Group, “Can the Somali Crisis Be Contained?”, in Africa Report 116 (10 August 2006), pp. 9-10
[13] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 53
[14] https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/islamic-courts-union#text_block_19602
[15] https://www.hrw.org/reports/1993/WR93/Afw-08.htm
[16] https://reliefweb.int/report/somalia/somalis-bury-aideed-scourge-us-army
[17] Bjørn Møller “The Somali conflict: the role of external actors” DIIS Report 2009:03, pp. 11-12
[18] Mark Bradbury e Sally Healy “A brief story of the Somali conflict”, in Accord, an international review of peace intiatives – Issue 21 – 2010, p. 10
[19] “The United Nations and Somalia 1992-96”, The United Nations Blue Books Series, Volume VIII – Department of Public Information United Nations, New York – 1996, p. 30
[20] Stig J. Hansen “Warlord and Peace Strategies: The Case of Somalia”, in The Journal of Conflict Studies – Fall 2003, pp. 62 e 65
[21] Stig J. Hansen “Warlord and Peace Strategies: The Case of Somalia”, in The Journal of Conflict Studies – Fall 2003, p. 67
[22] Stig J. Hansen “Warlord and Peace Strategies: The Case of Somalia”, in The Journal of Conflict Studies – Fall 2003, p. 67
[23] https://www.wikiwand.com/en/United_Nations_Operation_in_Somalia_II
[24] The United Nations and Somalia 1992-96”, The United Nations Blue Books Series, Volume VIII – Department of Public Information United Nations, New York – 1996, p. 68
[25] Stig J. Hansen “Warlord and Peace Strategies: The Case of Somalia”, in The Journal of Conflict Studies – Fall 2003, p. 66
[26] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 58
[27] Robrecht Deforche, “Stabilization and Common Identity: Reflections on the Islamic Courts and Al-Itihaad”, in Bildhaan: An International Journal of Somali Studies – Volume 13 – 2013, p. 108
[28] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p. 152
[29] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p. 152 ; https://rpl.hds.harvard.edu/faq/islamic-courts-union
[30] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p. 152 ; Roland Marchal, “Harakat al-Shabaab al Mujaheddin in Somalia”, CNRS SciencesPo Paris, March 2011, p. 15
[31] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p. 153 ; https://www.egic.info/islamist-contagion-in-somalia
[32] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 22
[33] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p. 153
[34] Cedric Barnes e Harun Hassan, “The Rise and Fall of Mogadishu’s Islamic Courts”, in Journal of Eastern Africa Studies – vol. 1 – July 2007, p.153
[35] Robrecht Deforche, “Stabilization and Common Identity: Reflections on the Islamic Courts and Al-Itihaad”, in Bildhaan: An International Journal of Somali Studies – Volume 13 – 2013, p. 109
[36] Robrecht Deforche, “Stabilization and Common Identity: Reflections on the Islamic Courts and Al-Itihaad”, in Bildhaan: An International Journal of Somali Studies – Volume 13 – 2013, p. 109
[37] Robrecht Deforche, “Stabilization and Common Identity: Reflections on theIslamic Courts and Al-Itihaad”, in Bildhaan: An International Journal of Somali Studies – Volume 13 – 2013, p. 110
[38] Robrecht Deforche, “Stabilization and Common Identity: Reflections on theIslamic Courts and Al-Itihaad”, in Bildhaan: An International Journal of Somali Studies – Volume 13 – 2013, p. 113
[39] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 38
[40] https://www.jpost.com/israel-news/israel-interested-in-accepting-guantanamo-bay-terrorist-for-prosecution-474931
[41] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 28-29
[42] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 59
[43] https://www.nytimes.com/2011/06/12/world/africa/12somalia.html
[44] https://www.corriere.it/esteri/11_giugno_11/alberizzi-fasul-comoriano-ucciso_3b5096d6-945e-11e0-9db6-651cd37b13cb.shtml
[45] https://www.govinfo.gov/content/pkg/BILLS-110hconres441ih/html/BILLS-110hconres441ih.htm
[46] https://www.timesofisrael.com/us-wants-israel-to-try-gitmo-prisoner-for-2002-kenya-bombing-report/
[47]https://www.govinfo.gov/content/pkg/BILLS-108hres76ih/html/BILLS-108hres76ih.htm
[48] https://www.un.org/press/en/2012/sc10755.doc.htm
[49] https://www.reuters.com/article/us-somalia-alqaeda/somalia-says-killed-top-african-al-qaeda-operative-idUSTRE75A10H20110611
[50] https://www.un.org/press/en/2012/sc10755.doc.htm
[51] https://ctc.usma.edu/wp-content/uploads/2011/06/Fazul.pdf
[52] https://www.bbc.com/news/world-africa-13738393 ; https://ctc.usma.edu/wp-content/uploads/2011/06/Fazul.pdf
[53] https://issafrica.org/iss-today/killing-of-fazul-abdullah-mohammed-in-somalia-a-blow-to-al-shabaab
[54] https://sunatimes.com/articles/6264/85-of-the-capital-of-IBS-Bank-of-Somalia-belongs-to-Al-Shabab
[55] https://sunatimes.com/articles/6264/85-of-the-capital-of-IBS-Bank-of-Somalia-belongs-to-Al-Shabab
[56] https://sunatimes.com/articles/6264/85-of-the-capital-of-IBS-Bank-of-Somalia-belongs-to-Al-Shabab
[57] https://ctc.usma.edu/wp-content/uploads/2011/06/Abu_Talha_al.pdf
[58] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 42
[59] https://jamestown.org/brief/briefs-214/
[60] https://www.wikiwand.com/en/2007_in_Somalia
[61] https://jamestown.org/brief/briefs-214/
[62] http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/8256024.stm
[63] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 89
[64] https://www.reuters.com/article/us-somalia-conflict-idUSLE02100020090915
[65] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 11-14
[66] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 11-14
[67] David H. Shinn “Al-Qaeda in East Africa and the Horn”, in “The Journal of Conflict Studies – Summer 2007”, p. 48
[68] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 11-14
[69] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 11-14
[70] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 15
[71] https://journals.lib.unb.ca/index.php/jcs/article/view/219/377
[72] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 15
[73] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 18-19
[74] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, p. 19
[75] https://www.trtworld.com/magazine/socialist-somalia-the-legacy-of-barre-s-military-regime-30735
[76] Mapping Militant Organizations. “Al Ittihad Al Islamiya.” Stanford University. Last modified February 2019. https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/al-ittihad-al-islamiya
[77] Mapping Militant Organizations. “Al Ittihad Al Islamiya.” Stanford University. Last modified February 2019. https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/al-ittihad-al-islamiya
[78] Mapping Militant Organizations. “Al Ittihad Al Islamiya.” Stanford University. Last modified February 2019. https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/al-ittihad-al-islamiya
[79] Blake Edward Barkley, “Manipulating State Failure: Al-Shabaab’s Consolidation of Power in Somalia”, University of Calgary, September 2015, pp. 21-23
[80] https://www.dw.com/en/somalia-former-al-shabab-militants-share-their-story/a-40848898
[81] https://web.archive.org/web/20100715062221/https://www.monitor.co.ug/News/National/-/688334/956212/-/x22qke/-/ ; http://edition.cnn.com/2010/WORLD/africa/07/12/uganda.bombings/?hpt=T1 ; https://web.archive.org/web/20100715054623/http://www.newvision.co.ug/D/8/12/725545
[82] https://web.archive.org/web/20100715062221/https://www.monitor.co.ug/News/National/-/688334/956212/-/x22qke/-/ ; http://edition.cnn.com/2010/WORLD/africa/07/12/uganda.bombings/?hpt=T1 ; https://web.archive.org/web/20100715054623/http://www.newvision.co.ug/D/8/12/725545
[83] https://www.theguardian.com/world/2010/jul/12/uganda-kampala-bombs-explosions-attacks
[84] “African Politics, African Peace – AMISOM Short Mission Brief”, World Peace Foundation – Tufts University, July 2017, pp.5-6
[85] http://country.eiu.com/article.aspx?articleid=1862623570&Country=Ethiopia&topic=Politics&subtopic_9
[86] https://amisom-au.org/mission-profile/military-component/
[87] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 53-54
[88] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 52-53
[89] Napoleon A. Bamfo, “Ethiopia’s invasion of Somalia in 2006: Motives and lessons learned”, in African Journal of Political Science and International Relations Vol. 4(2), February 2010, pp. 62-63
[90] https://www.cbsnews.com/news/us-strikes-in-somalia-reportedly-kill-31/ ; https://www.thenation.com/article/archive/blowback-somalia/
[91] Napoleon A. Bamfo, “Ethiopia’s invasion of Somalia in 2006: Motives and lessons learned”, in African Journal of Political Science and International Relations Vol. 4(2), February 2010, p. 63
[92] Mohamed Haji Ingiriis (2018) From Al-Itihaad to Al-Shabaab: how the Ethiopian intervention and the ‘War on Terror’ exacerbated the conflict in Somalia, Third World Quarterly, 39:11, 2033-2052, DOI: 10.1080/01436597.2018.1479186
[93] https://www.aljazeera.com/news/2009/5/30/profile-sharif-ahmed
[94] https://www.peaceagreements.org/view/825
[95] Mapping Militant Organizations. “Hizbul Islam.” Stanford University. Last modified February 2019. https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/hizbul-islam
[96] Aisha Ahmad (2016) Going Global: Islamist Competition in Contemporary Civil Wars, Security Studies, 25:2, 353-384, DOI: 10.1080/09636412.2016.1171971 , p. 367
[97] https://www.ict.org.il/Article/1071/Jihadi%20Arena%20Report%20Somalia%20-%20Development%20of%20Radical%20Islamism%20and%20Current%20Implications#gsc.tab=0
[98] https://www.ict.org.il/Article/1071/Jihadi%20Arena%20Report%20Somalia%20-%20Development%20of%20Radical%20Islamism%20and%20Current%20Implications#gsc.tab=0
[99] https://www.nytimes.com/2008/05/02/world/africa/02somalia.html
[100] Aisha Ahmad (2016) Going Global: Islamist Competition in Contemporary Civil Wars, Security Studies, 25:2, 353-384, DOI: 10.1080/09636412.2016.1171971 , p. 369
[101] Aisha Ahmad (2016) Going Global: Islamist Competition in Contemporary Civil Wars, Security Studies, 25:2, 353-384, DOI: 10.1080/09636412.2016.1171971 , p. 369
[102] https://www.criticalthreats.org/analysis/profile-sheikh-hassan-dahir-aweys
[103] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, pp. 212-213
[104] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, pp. 212-213
[105] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, pp. 212-213
[106] https://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/Somalia%205%20July%20IGAD%20communique.pdf
[107] https://www.repubblica.it/esteri/2010/07/12/news/uganda_attentati-5526975/
[108] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, p. 213
[109] https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/legacy_files/files/publication/140221_Bryden_ReinventionOfAlShabaab_Web.pdf
[110] https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/legacy_files/files/publication/140221_Bryden_ReinventionOfAlShabaab_Web.pdf
[111] https://www.somtribune.com/2015/04/11/somalia-places-bounty-on-al-shabaab-leaders/
[112] https://web.archive.org/web/20170203085034/https://www.state.gov/j/ct/rls/other/des/266532.htm
[113] https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/legacy_files/files/publication/140221_Bryden_ReinventionOfAlShabaab_Web.pdf
[114] https://www.criticalthreats.org/analysis/profile-ahmed-abdi-godane-mukhtar-abu-zubair
[115] https://theglobalobservatory.org/2014/06/is-al-shabaab-resurgent-or-weakening-a-tale-of-two-narratives/
[116] https://www.scoopnest.com/user/KTNKenya/689704307952881664-factors-working-against-kdfs-operation-linda-nchi-in-somalia
[117] Nyagudi Musandu Nyagudi, review of the book “Operation Linda Nchi” – Kenya’s Military Experience in Somalia by KDF/MoD Kenya, January 2015
[118] “The Kenyan Military intervention in Somalia”, International Crisis, Group, Africa Report N°184 – 15 February 2012, p. 1
[119] Vikram Kolmannskog, “Gaps in Geneva, gaps on the ground: case studies of Somalis displaced to Kenya and Egypt during the 2011 drought”, Policy Development and Evaluation Service | UNHCR, Norwegian Refugee Council, December 2012, p. 2
[120] “The Kenyan Military intervention in Somalia”, International Crisis, Group, Africa Report N°184 – 15 February 2012, p. 3
[121] https://www.theguardian.com/world/2011/oct/04/kenya-kidnap-attacks-tourism-hit
[122] https://www.bbc.com/news/world-africa-23359943
[123] “Communiqué of the 41st Extra-ordinary Session of the IGAD Council of Ministers”, IGAD, Addis Abeba, 21 October 2011
[124] https://www.bbc.com/news/world-africa-15725632
[125] https://english.alarabiya.net/articles/2011%2F11%2F16%2F177485
[126] https://cisac.fsi.stanford.edu/mappingmilitants/profiles/ras-kamboni-movement#_edn7
[127] https://www.csmonitor.com/World/Africa/2013/0708/Is-Kenya-birthing-a-new-country-named-Jubaland
[128] https://www.refworld.org/docid/4eaaa819c.html
[129] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, pp. 215-216
[130] https://www.criticalthreats.org/analysis/timeline-operation-linda-nchi#MonthTwo
[131] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2060 (2012): Somalia”, United Nations Security Council, July 2013, p. 27
[132] https://www.bbc.com/news/world-africa-19769058
[133] https://www.theguardian.com/world/2012/sep/28/kenyan-soldiers-capture-kismayo-somalia
[134] https://www.trtworld.com/magazine/what-robow-s-arrest-means-for-somalia-and-al-shabab-23957
[135] https://edition.cnn.com/2013/06/29/world/africa/somalia-militant-killed/index.html
[136] https://www.nytimes.com/2017/08/13/world/africa/al-shabab-abu-mansoor-mukhtar-robow-somalia.html
[137] Luca Puddu, “Corno d’Africa e Africa Meridionale”, Osservatorio Strategico 2017 – n. III, p. 43
[138] https://www.reuters.com/article/us-somalia-security/former-senior-al-shabaab-leader-says-militants-should-leave-group-idUSKCN1AV14S
[139] https://www.reuters.com/article/us-somalia-politics-arrest-idUSKBN1OC1D8
[140] https://www.garoweonline.com/en/news/somalia/ex-al-shabaab-deputy-mukhtar-robow-goes-to-hunger-strike-in-mogadishu
[141] http://www.bar-kulan.com/2013/06/26/himan-and-heb-held-a-key-al-shabaab-figure/
[142] https://www.thestar.com/news/world/2017/03/10/my-meeting-with-a-forgotten-terrorist-in-somalia.html
[143] https://abcnews.go.com/Blotter/omar-hammami-american-rapping-jihadist-killed-somalia/story?id=20234254
[144] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 77-80
[145] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, p. 217
[146] https://www.voanews.com/a/africa_al-shabab-attacks-killed-4000-past-decade-says-data-gathering-group/6182660.html
[147] https://www.voanews.com/a/al-shabab-takes-somali-island/2514466.html
[148] https://www.bbc.com/news/world-africa-29282045
[149] https://www.timesofisrael.com/kenya-hits-somali-al-shabab-camp-after-mall-attack/
[150] https://www.bbc.com/news/world-africa-37759749
[151] https://www.nytimes.com/2015/04/03/world/africa/garissa-university-college-shooting-in-kenya.html
[152] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[153] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/05/09/silvia-romano-liberata-cronologia-del-rapimento-dal-sequestro-in-kenya-nel-2018-alla-pista-islamista-di-al-shabaab/5796860/ ; Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[154] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[155] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[156] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[157] https://www.pri.org/stories/2019-01-25/group-behind-nairobi-s-recent-terror-attack-recruits-young-people-many-faiths
[158] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[159] Brendon J. Cannon e Dominic Ruto Pkalya, “Al-Shabaab. Anatomia dell’organizzazione terroristica che ha rapito Silvia Romano”, Rubbettino Editore – 2020, pp. 8-12
[160] https://www.theguardian.com/world/2014/mar/23/kenyan-church-attack-four-worshippers-dead-gunmen
[161] https://www.bbc.com/news/world-africa-26827636
[162] https://www.bbc.com/news/world-africa-27134695
[163] https://academic.oup.com/afraf/article/114/454/1/2195212?login=true
[164] https://thenewinquiry.com/blog/kenyan-somali-somali-in-kenya-kenya-in-somalia-kasaraniconcentrationcamp/
[165] https://www.reuters.com/article/us-kenya-islamist-idUSBREA301MN20140401 ; https://www.bbc.com/news/world-24263357
[166] https://www.bbc.com/news/world-africa-19390888
[167] https://www.bbc.com/news/world-africa-24395723
[168] https://www.reuters.com/article/us-kenya-islamist-idUSBREA301MN20140401
[169] David M. Anderson, “Why Mpeketoni matters: al-Shabaab and violence in Kenya”, Norwegian Peacebuilding Resource Centre, Policy Brief, September 2014, p. 1 https://www.files.ethz.ch/isn/183993/cc2dacde481e24ca3ca5eaf60e974ee9.pdf
[170] https://www.france24.com/en/20141204-eu-strasbourg-court-orders-france-pay-somali-pirates-thousands-compensation
[171] https://amisom-au.org/2014/01/ethiopian-troops-formally-join-amisom-peacekeepers-in-somalia/
[172] https://www.bbc.com/news/world-africa-29034409
[173] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-94
[174] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-94
[175] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-94
[176] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-94
[177] https://intelligencebriefs.com/al-shabaabs-amniyat-head-of-operations-in-mogadishu-muse-moallim-muawiye-resigns-nisa-reports/
[178] https://www.france24.com/en/20180511-video-revisited-puntland-somalia-piracy-pirateland-hijacking-coastguards-fishermen-shabaab
[179] https://www.worldbank.org/en/events/2017/01/26/pirates-of-somalia-crime-and-deterrence-on-the-high-seas#1
[180] http://www.safeseas.net/the-decline-of-somali-piracy-towards-long-term-solutions/
[181] http://www.seychellesnewsagency.com/articles/300/Why+piracy+in+Somalia+has+declined
[182] “The Pirates of Somalia – Ending the Threat, Rebuilding a Nation”, The World Bank | Regional Vice-Presidency for Africa, 2013, p. 74 https://documents1.worldbank.org/curated/en/182671468307148284/pdf/76713-REPLACEMENT-pirates-of-somalia-pub-11-2-15.pdf
[183] https://www.worldbank.org/en/topic/financialsector/publication/pirate-trails-tracking-the-illicit-financial-flows-from-piracy-off-the-horn-of-africa
[184] https://www.unodc.org/unodc/en/frontpage/2013/November/pirate-trails-tracks-dirty-money-resulting-from-piracy-off-the-horn-of-africa.html
[185] UN Monitoring Group on Somalia and Eritrea, Letter dated 2 October 2018, p. 6
[186] https://www.reuters.com/article/uk-eritrea-somalia-un-idUKBRE86F0AI20120716
[187] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-91
[188] Harun Maruf e Dan Joseph, “Inside Al-Shabaab”, Indiana University Press – 2018, pp. 84-91
[189] https://www.bbc.com/news/world-africa-48390166?fbclid=IwAR0jdrRAJKBWAyiee9QDGJJXmpvZMFJGmRIOmpB6wexDSPscUs2a5g9nd-U
[190] https://www.counterextremism.com/extremists/ahmed-umar-abu-ubaidah
[191] https://rewardsforjustice.net/english/abu_ubaidah.html
[192] https://www.repubblica.it/esteri/2018/11/21/news/lo_scontro_tra_al_shabaab_e_isis-somalia_per_l_egemonia_della_jihad_nel_corno_d_africa-212219571/
[193] https://edition.cnn.com/2015/10/22/africa/al-shabaab-faction-isis/
[194] https://www.criticalthreats.org/analysis/profile-ahmad-umar-abu-ubaidah
[195] https://www.yahoo.com/news/somali-ex-shebab-chief-tells-others-surrender-153515732.html?ref=gs&guccounter=1
[196] https://orato.world/2021/06/23/a-miraculous-escape-from-the-jaws-of-terrorists/
[197] https://www.voanews.com/a/africa_al-shabab-attacks-killed-4000-past-decade-says-data-gathering-group/6182660.html
[198] https://www.bbc.com/news/world-africa-48621924
[199] https://hiiraan.com/news4/2018/Mar/157047/committee_587_dead_in_oct_14_terror_attack.aspx
[200] https://www.newamerica.org/international-security/reports/americas-counterterrorism-wars/the-war-in-somalia/
[201] John Edward Maszka, “A Strategic Analysis of Al Shabaab”, Bournemouth University, February 2017, p. 246
[202] https://www.garda.com/fr/crisis24/alertes-de-securite/335881/somalia-al-shabaab-militants-attack-amisom-base-in-barawe-lower-shabelle-region-april-24 ; https://www.reuters.com/article/us-somalia-security-idUSKCN1H815F ; https://www.humanitarianresponse.info/ru/operations/ethiopia/article/somalia-islamist-militants-attack-base-ethiopia-troops-reuters
[203] http://www.xinhuanet.com/english/africa/2021-06/10/c_1310000737.htm ; https://www.voanews.com/a/africa_al-shabab-attacks-military-bases-southern-somalia/6204105.html ; https://www.reuters.com/world/africa/al-shabaab-attacks-somali-military-base-captures-central-town-2021-08-24/ ; https://www.dailysabah.com/world/africa/somalias-army-retakes-key-town-from-al-shabab-terrorists ; https://www.aljazeera.com/news/2020/10/15/at-least-13-somali-soldiers-killed-after-al-shabaab-clash
[204] https://www.reuters.com/world/africa/somalias-puntland-sends-troops-fight-al-shabaab-neighbouring-state-2021-09-03/ ; https://www.notiziegeopolitiche.net/somalia-continuano-gli-attentati-di-al-shabaab-per-destabilizzare-il-puntland/
[205] https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2018/01_2018_ITA/PUDDU_IS_OS_01_2018.pdf
[206] “Somalia Conflict Insight”, Institute for Peace & Security Studies | Addis Abeba University, Peace and Security Report, vol.1, December 2019, p. 2
[207] https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/somalia
[208] https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/somalia
[209] https://www.nytimes.com/1984/09/20/world/us-will-spend-38.6-million-to-refurbish-port-in-somalia.html
[210] Jamal Osman, “Somalia: ‘My Bloody Country’” – BBC Africa Eye full documentary: https://www.youtube.com/watch?v=YH6f0azpOrg-
[211] https://rusi.org/explore-our-research/publications/commentary/african-union-intervention-force-will-stay-somalia-whose-troops
[212] https://www.africom.mil/pressrelease/33358/statement-from-africom-commander-us-army-gen-stephen-townsend-on-the-activation-of-joint-t
[213] https://www.militarytimes.com/news/your-military/2021/01/17/us-military-says-troop-withdrawal-from-somalia-is-complete/
[214] https://foreignpolicy.com/2021/09/13/taliban-victory-afghanistan-al-qaeda-victory-911/
[215] https://www.voanews.com/a/africa_security-experts-warn-al-shabab-may-try-emulate-taliban-somalia/6209638.html
[216] https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/endless-us-war-terror-somalia-30359
[217] https://www.visitmogadishu.com/dt_places/bakara-market-largest-market-in-east-africa/
[218] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 1916 (2010)”, UNSC, 2011, p. 12 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2011/433
[219] Yaya J. Fanusie and Alex Entz , “Al-Shabaab Financial Assesment”, Center on Sanctions & Illicit Finance | Foundation for Defense of Democracires, Terror Finance Briefing Book, June 2017, p. 7
[220] Christian Nellemann, Rune Henriksen, Patricia Raxter, Neville Ash, and Elizabeth Mrema, “The Environmental Crime Crisis – Threats to Sustainable Development from Illegal Exploitation and Trade in Wildlife and Forest Resources,” United Nations Environment Programme, 2014, p. 8; https://www.cbd.int/financial/monterreytradetech/unep-illegaltrade.pdf
[221] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia”, UNSC, 2016, p. 40-41 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[222] Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia”, UNSC, 2016, p. 5 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[223] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia,” UNSC, 2016, pp. 26-27 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[224] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 1916 (2010),” UNSC, 2011, p. 28 https://programs.fas.org/ssp/asmp/issueareas/manpads/S2011433.pdf
[225] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia,” UNSC, 2016, p. 11 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[226] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia,” UNSC, 2016, p. 70 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[227] https://www.refworld.org/pdfid/5346922f4.pdf
[228] https://www.bbc.com/news/world-africa-25295821
[229] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2182 (2014): Somalia” UNSC, 2015, p. 29 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2015/801&referer=/english/&Lang=E ; “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia,” UNSC, 2016, p. 70 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[230] Seth G. Jones, Andrew Liepman and Nathan Chandler, “Counterterrorism and Counterinsurgency in Somalia: Assessing the Campaign Against Al Shabaab”, Rand Corporation, 2016, p. 14
[231] “Report of the Monitoring Group on Somalia pursuant to Security Council resolution 1853 (2008)”, UNSC, 2010, p. 23 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2010/91
[232] https://www.aljazeera.com/news/2012/7/17/eritrea-reduces-support-for-al-shabab
[233] https://wikileaks.org/plusd/cables/09TRIPOLI561_a.html
[234] https://jamestown.org/program/al-shabaab-somalias-al-qaeda-affiliate-wants-puntland/
[235] https://intelligencebriefs.com/somalia-largest-mobile-network-company-hormuud-telecom-linked-among-top-shabaab-financiers/
[236] “Report of the Monitoring Group on Somalia and Eritrea pursuant to Security Council resolution 2244 (2015): Somalia,” UNSC, 2016, p. 70 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2016/919
[237] https://www.nytimes.com/2020/10/11/world/africa/feared-shabab-exploit-somali-banking-and-invest-in-real-estate-un-says.html
[238] Yaya J. Fanusie and Alex Entz , “Al-Shabaab Financial Assesment”, Center on Sanctions & Illicit Finance | Foundation for Defense of Democracires, Terror Finance Briefing Book, June 2017, p. 12
[239] https://www.aa.com.tr/en/africa/erdogan-visit-played-pivotal-tole-for-somalia/816590
[240] https://www.aa.com.tr/en/asia-pacific/opinion-turkey-s-growing-smart-power-in-somalia/2340384
[241] https://www.trtworld.com/magazine/a-decade-of-turkey-s-rise-in-somalia-49451
[242] https://www.trtworld.com/magazine/a-decade-of-turkey-s-rise-in-somalia-49451
[243] https://allafrica.com/stories/201310040131.html ; https://www.aa.com.tr/en/africa/somalia-promises-to-secure-turkish-nationals-safety/1709362 ; https://eeradicalization.com/turkish-ambitions-in-somalia/
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[250] https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/16/golpe-in-turchia-chi-e-fetullah-gulen-limam-che-secondo-erdogan-e-stato-la-mente-del-colpo-di-stato/2910018/
[251] https://www.reuters.com/article/us-turkey-gulen/turkey-officially-designates-gulen-religious-group-as-terrorists-idUSKCN0YM167
[252] https://venturesafrica.com/the-somalia-government-has-invited-turkey-to-explore-for-oil-offshore/
[253] https://www.reuters.com/article/somalia-oil/somalian-parliament-approves-new-petroleum-law-minister-idUSL8N29B3Y8
[254] https://uwidata.com/8052-turkeys-focus-on-africa-energy-security-political-influence-and-economic-growth/
[255] https://www.middleeastmonitor.com/20200121-somalia-gives-turkey-carte-blanche-for-oil-exploration/
[256] https://www.reuters.com/article/us-somalia-turkey-military-idUSKCN1C50JH
[257] https://www.nytimes.com/2021/06/15/world/africa/somalia-shabab-attack-turkey.html
[258] https://www.mfa.gov.tr/relations-between-turkey-and-somalia.en.mfa
[259] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/somalia-and-beyond-turkey-horn-africa-26379
[260] https://ahvalnews.com/saudi-turkey/erdogan-trying-build-new-ottoman-caliphate-saudi-crown-prince
[261] https://www.aljazeera.com/news/2017/11/14/how-turkey-stood-by-qatar-amid-the-gulf-crisis
[262] https://english.alarabiya.net/News/north-africa/2020/07/25/Turkey-Qatar-recruit-thousands-of-Somali-mercenaries-to-fight-in-Libya-Report

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