Africa

Africa e cibo, l’identità passa anche dai fornelli

9 Giugno 2021

In altre occasioni abbiamo legato l’identità africana alla musica, al cinema oppure all’arte. C’è però un altro elemento, della stessa importanza dei precedenti, a definire la identità di un popolo o, come in questo caso, di ampie porzioni di un continente, suddiviso in state e nazioni da generali (europei) seduti a una scrivania di fronte a una cartina, senza alcun interesse o conoscenza delle caratteristiche delle zone di cui si stavano delimitando i territori. Tale elemento è il cibo.

Foto di Toa Heftiba su Unsplash

Attenzione alle generalizzazioni

L’Africa è immensa. Poiché le prossime righe corrono il rischio di generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio – pardon, di tutta la farina un sacco, date le circostanze – specifichiamo fin da subito come ogni qualvolta si parlerà di cibo africano ne intenderemo la sua intera vastità. Il cibo e lo stare a tavola africani non sono solo figli del colonialismo; il continente nero è infatti stato influenzato a lungo dal Medio Oriente – e lo è ancora – e dalla cultura di popolazioni nomadi come ad esempio i Berberi.

Accomunare la dieta di ogni Paese africano sarebbe come dire che in Italia mangiamo esattamente come in Finlandia, dato che siamo tutti europei. Questo sarebbe chiaramente un errore marchiano nel quale non possiamo incorrere. D’altra parte, però, vi sono anche numerose somiglianze a livello regionale e macro-regionale. Per semplicità di lettura, useremo il termine cibo africano ogni qual volta avremo necessità di riferirci in maniera collettiva, insiemistica, all’argomento di cui si tratta in questo articolo.

Tante somiglianze

Tra le caratteristiche che i piatti della cucina africana hanno in comune vi è, per la maggior parte dei casi, il fatto che siano poveri in grassi. Naturalmente, come abbiamo spiegato nel paragrafo precedente, vi sono anche eccezioni e differenze: una, ad esempio, è il caso della cucina delle isole Seychelles. L’arcipelago, sogno di molti turisti, attinge alla tradizione creola, così come a quella francese e indiana, per presentare piatti molto variegati e spesso davvero ricchi in termini di grassi.

Riso, pesce, crostacei, verdure, tuberi e frutta esotica arricchiscono le tavole imbandite negli hotel delle catene alberghiere di lusso sull’arcipelago delle Seychelles così come le capanne dei pescatori dell’Africa orientale. In Egitto, ove è naturalmente molto forte l’impatto mediorientale, dal momento che ci troviamo prossimi a questo sfortunato quadrante, impazzano piatti a base di fave e legumi tra cui i noti anche da noi falafel e – meno – ful medamas.  Anche lo Zanzibar ha una tradizione culinaria unica nella sua diversità: qui si sono succeduti domini portoghesi, arabi, inglesi, cinesi e indiani e ognuno ha, a suo modo, lasciato la propria impronta nelle cucine. Tra le specialità isolane, particolarmente goloso è il riso pilau, pietanza gustosa e profumata con cocco, noci e spezie.

Se ci spostiamo in Eritrea troviamo lo zighinì, un piatto unico – come lo sono la maggior parte delle tipicità africane – servito su crespelle che prendono il nome di enjera, ove viene posto spezzatino piccante di manzo o pollo, verdura cotta, legumi e insalata fresca. In Senegal il pesce viene preferito alla carne anche nel Thiebou Dien, piatto di riso bianco o rosso cotto nello stesso sugo che ha accompagnato precedentemente la preparazione di pesce con aglio, cipolla, concentrato di pomodoro, spezie piccanti e verdure.

La cucina libanese, che molto ha a che fare con quella africana pur non essendo il Libano uno stato del continente nero, è piuttosto nota anche in Italia – a Roma troviamo diversi ristoranti che servono specialità libanesi – contiene numerosi piatti a base di verdura, frutta, cereali, legumi e nocciole, assolutamente mediorientale dunque. La specialità è il mezze, il quale non è un vero e proprio piatto bensì un tagliere, un insieme di assaggi che rimanda alle tapas spagnole o agli antipasti greci. Conosciuto dappertutto è, ovviamente, il cous cous marocchino, diffusissimo anche in Europa e non più soltanto nelle comunità nordafricane. Si tratta di una specialità di origini berbere, costituite da granelli di semola di frumento cotti al vapore e conditi con vari ingredienti. I marocchini sono poi golosi di hariri (o harira), una zuppa di pomodori, cipolle, zafferano e coriandolo che viene arricchita con ceci lenticchie, fagioli ed erbe aromatiche.

In Africa occidentale e Mali si utilizza molto la carne piccante. Da queste parti esiste la patata igname, tipica proprio del Mali, consumata sotto stufato con carne o da sola. È solitamente preparata tramite cottura a fuoco lento con mais, pomodori pelati, origano, sale, peperoncino, aglio e olio di arachidi.

Non dimentichiamoci poi dei dolci. Gli africani sono maestri nell’utilizzare le – tante – specie di frutta indigena del loro continente come base di dessert deliziosi. Banane, goyaba, cocco e datteri, tutte queste specie diventano dolcissimi ingredienti. Citiamo l’ananas gratiné, ovvero la polpa del frutto mischiata con albume montato, zucchero e aromi che viene gratinata in forno. In Madagascar si preparano le galettes de manioc au rum, ovvero frittelle preparate con manioca tagliata, zucchero, burro, vaniglia e rum e poi dorate in padella.

Se volessimo però trovare un minimo comune multiplo per la cucina africana, esso sarebbe sicuramente il riso.

Jollof, il panafricanismo in un piatto

Il riso jollof – conosciuto anche come benachin – è una popolare ricetta della macro-area subsahariana. Si reputa che debba il suo nome al gruppo etnico wolof, presente in Senegal e Gambia. La paternità del piatto resta ad ogni modo contesa anche con Nigeria e Ghana. Gli ingredienti principali sono naturalmente riso (africano o basmati), pomodoro, concentrato di pomodoro, cipolla, peperoni rossi, aglio, erbe aromatiche e spezie a piacimento, che possono essere noce moscata, zenzero, cumino o peperoncino, impiegate solitamente senza troppa parsimonia. In fin dei conti, uno dei tratti principali della cucina continentale è proprio il suo amore per le spezie.  Sono proprio queste a determinare il particolare colore del piatto, spesso vicino all’arancione sebbene molto dipenda da chi lo prepara. Prima di servirlo vengono sovente aggiunti piselli, carni di pollo o manzo e pesce.

Il riso jollof è un vero e proprio caleidoscopio di sapori, una sintesi dell’Africa in uno dei suoi principali piatti unici. Le sue versioni locali, le sue varianti regionali danno vita a una armonia di sapori e ai profumi del Paese che lo celebra. Gli ingredienti si cuociono tutti assieme, in una pentola ampia, dai bordi alti, molto caratteristica. Con il suo gusto dolce e sottilmente piccante, il riso jollof è un piatto sacro, come tale è l’identità propria degli orgogliosi Paesi africani che lo propongono. Lo scambio culturale avvenuto senza sosta nelle regioni – più che negli Stati artificiali, creati dagli europei colonizzatori – africane, ha fatto sì che il piatto viaggiasse e si diffondesse in gran parte del continente. Per tal motivo la sua diffusione è stata a macchia d’olio e oggi è probabilmente il piatto che meglio rappresenti il continente nero.

L’Africa a tavola

Foto di The Creative Exchange su Unsplash

I popoli africani – o il popolo, se seguiamo la dottrina panafricana per la quale, di fatto, l’Africa è un solo Paese con poche tipicità locali a differenziare le persone e moltissimi elementi che le accomunino – danno molta importanza al cibo, ben più di quella che gli riserviamo in Europa. Nelle famiglie il momento del pasto assieme, indipendentemente dall’occasione o dalla ricorrenza, assume un significato molto importante. Condividere il cibo non è soltanto il principale momento di comunione della giornata, bensì anche un’occasione per riaffermare i valori della tradizione, molto importanti a queste latitudini. Prova di ciò è il fatto che spesso vediamo nuclei familiari o gruppi di amici riuniti attorno allo stesso piatto, da cui tutti si cibano; ciò avviene tanto nella provincia più rurale quanto nei quartieri eleganti delle città più europee e moderne come, ad esempio, Johannesburg. Per lo stesso motivo spesso non si usano posate ma ci si serve frequentemente direttamente con le mani.

Difficilmente in Africa troviamo pietanze considerate  lussuose o più chic rispetto ad altre. Una simile considerazione cozzerebbe con l’alto valore culturale che viene dato al proprio nutrimento e quello della propria famiglia, un momento che è quasi spirituale, potremmo dire, e dunque non viene valutato tramite canoni materialistici. Ciò naturalmente non toglie che il sistema economico segua le stesse regole anche in Africa, dunque alcuni ingredienti sono più cari di altri. Carne di agnello, frutti di mare, il rinomato persico del Nilo e carni esotiche come kudu, facocero, impala, ippopotamo o struzzo finiscono per essere spesso considerati dei lussi, in alcune zone del continente, per via del loro prezzo di costo.

In termini calorici, la piramide alimentare africana non risulta troppo distante da quelle occidentali, eppure è molto più sana. Dolci raffinati, zuccheri e bevande gassate non sono diffuse come nei Paesi più sviluppati – sebbene si diffondano senza freni dove le condizioni di vita stanno migliorando, in fin dei conti anche questo è un segno del progresso – e, in generale, il cosiddetto cibo spazzatura è ben poco diffuso. Rispetto alle cucine europee è inoltre davvero ridotto il consumo di olio e/o burro.

Dalle parti del continente vero mangiare significa davvero celebrare la vita attraverso uno dei momenti che ci mantiene vivi. Tanto la preparazione del cibo quanto, come si è detto, il suo consumo, rappresentano una sorta di rito. La cucina attinge dalla terra, dalle origini e da tradizioni e abitudini che cambiano di Paese in Paese pur restando sostanzialmente abbastanza simili tra loro. L’identità africana passa anche dal cibo, da quello che avviene sopra, sotto e attorno al desco imbandito.

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