Africa

10 crisi umanitarie dimenticate dai media

14 Febbraio 2020

Mettiamola così: lo scorso anno abbiamo avuto un risveglio per quanto riguarda l’interesse globale per il clima. Si tratta di manifestazioni consapevoli in Europa e in America ma anche enormi ondate di persone che protestano a Khartoum e Santiago per chiedere un cambiamento a chi detiene il potere. Un enorme flusso di informazioni si è mosso sia online che offline e questo nonostante le aspettative di vita medie siano migliorate. Ci sono però dei paesi che soffrono in silenzio, che sono teatro di crisi spesso sottostimate, verso cui è vietato intervenire o che sono compromessi da una situazione di sicurezza e politica alquanto altalenanti.
Non è un caso se, come vedremo successivamente, a produrre povertà, fame e sfollamenti siano stati anche i cambiamenti climatici che arrivano quindi ad avere un effetto ancora maggiore di quello paventato dai movimenti ambientalisti ed hanno anche ripercussioni politiche, diplomatiche oltreché dover ripensare le metodologie di aiuti da poter offrire a livello internazionale.
Quello che si propongono di fare diverse organizzazioni non governative non è solamente portare aiuto ai paesi in difficoltà, ma anche portare informazioni corrette e documentate per raggiungere il maggior pubblico possibile. Le crisi climatiche devono essere affrontate a livello globale ed è utile conoscere meglio cosa accade in tempo reale nei territori maggiormente colpiti da carestie, siccità, guerre, oltreché incentivare i media a fornire maggiori informazioni allargando il discorso pubblico sulle reti sociali per fare luce anche sulle crisi dimenticate. Ecco allora 10 dei paesi le cui critiche condizioni di “salute” sono meno considerate al mondo secondo un reportage dell’organizzazione CARE.

Madagascar

Il Madagascar è uno dei paesi africani conosciuto soprattutto per la sua fauna selvatica e per la biodiversità. Purtroppo è anche tra i paesi più poveri del mondo, con 3/4 della popolazione che vive con meno di 1,90$ al giorno. È anche uno dei paesi più colpiti dalla crisi climatica causata dall’uomo, la sua economia dipende molto dall’agricoltura ed è legata anche ad una elevata esposizione alle calamità naturali, come i cicloni, ma anche siccità e parassiti. Nel 2017 e 2018 ci sono state scarse risorse di riso, mais e manioca e l’aumento dei prezzi ha costretto le famiglie ad indebitarsi e a saltare i pasti. La mancanza di cibo ha anche costretto a lunghi spostamenti e portato le donne alla ricerca di redditi alternativi, facendole diventare vulnerabili agli abusi e allo sfruttamento. I danni alle colture e la carenza alimentare hanno anche portato ad un aumento delle tensioni familiari, il proliferare di matrimoni infantili e violenze domestiche.
Il Madagascar ha il quarto tasso più alto di malnutrizione cronica al mondo, moltissimi bambini non crescono come dovrebbero e ciò compromette il loro sviluppo sia cognitivo che fisico, ma soprattutto li espone al rischio di contrarre malattie. Sono molto carenti sia l’acqua che i servizi igienico-sanitari, anche negli anni in cui non è presente la siccità, l’accesso all’acqua potabile rimane una delle maggiori sfide per tutte quelle persone che vivono nel sud del paese

Bambini in Madagascar

Repubblica Centrafricana

Da quando ha ottenuto l’indipendenza nel 1960, la Repubblica Centrafricana ha goduto di brevi periodi di calma politica. L’ultimo conflitto interno è scoppiato nel 2013 e si è intensificato 4 anni più tardi generando 600mila sfollati e una grande richiesta di aiuti umanitari. L’anno scorso è stato firmato un accordo di pace ma la situazione è rimasta molto tesa e basata sull’incertezza.
Messa in ginocchio dalla guerra, la Repubblica Centrafricana ha visto ridursi al minimo l’approvvigionamento idrico e i servizi igienico sanitari, fermando anche la produzione agricola. Le famiglie non hanno il permesso di piantare e mantenere le proprie colture, non possono cacciare o raccogliere cibo e le rotte commerciali sono state interrotte portando all’aumento dei prezzi e alla carenza di generi di prima necessità. Ad avere la peggio sono ovviamente le donne e i bambini, non è raro che siano le stesse famiglia a spingere i propri membri più giovani alla prostituzione per ottenere denaro.
La pericolosità del paese è però anche per gli operatori umanitari. Ci sono regolari attacchi al personale, saccheggi di strutture e blocchi stradali che, assieme alle pessime condizioni viarie, rallentano le consegne degli aiuti, tanto che molte organizzazioni come Care sono costrette a sostenere i rifugiati e le comunità ospitanti dei vicini Camerun e Ciad garantendo acqua e servizi, servendo vettovagli, articoli sanitari e lavorando per prevenire la violenza sessuale e di genere.

Zambia

Lo Zambia è uno dei paesi che ha sofferto di più gli effetti del cambiamento climatico. La prolungata siccità degli ultimi anni ha portato almeno 2,3milioni di persone alla povertà ma soprattutto alla ricerca di cibo. Si sono verificati eventi meteorologici estremi, si sono diffusi parassiti e anche epidemie, problemi purtroppo comuni a tutte quelle nazioni che non possono contare sullo sbocco sul mare. Si stima che le temperature nella regione stiano aumentando di circa il doppio rispetto al tasso globale e questo, assieme all’assenza di precipitazioni, ha ovviamente influito negativamente sulla produzione agricola, tanto che almeno il 40% dei bambini soffre di malnutrizione. Le famiglie sono costrette a vendere il loro bestiame e altri beni materiali per recuperare cibo, soprattutto mais che è il raccolto principale del paese e sono alla costante ricerca di frutti selvatici per trovare nutrimento. Anche la corsa all’acqua è determinante per la situazione dello Zambia, le donne – che provvedono al benessere della famiglia – spesso partono a notte inoltrata per raggiungere i pozzi trivellati dalle associazioni umanitarie per dare ristoro alla popolazione, lottando, in questo caso, contro gli stessi cambiamenti del clima.

Donne in cammino sulle sponde de lago Kariba, Zambia

Burundi

A caratterizzare la situazione del Burundi vi sono una prolungata insicurezza politica, alti livelli di povertà e preoccupazioni per quanto riguarda i diritti umani. A tormentare il paese vi sono state recenti catastrofi naturali, movimenti della popolazioni, epidemie di malaria e il rischio altissimo di contrarre il virus Ebola. Molte migliaia di burundesi si sono rifugiati in paesi vicini come Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo oppure sono sfollati all’interno del paese stesso. Nonostante ci sia ancora una condizione di povertà diffusa le condizioni alimentari sono leggermente migliorate negli ultimi anni. Le famiglie lottano ancora per la ricerca di cibo e l’accesso all’acqua è limitato, con un alto rischio di malattie trasmissibili. Per la sua situazione politica e morfologica il Burundi ha un tasso di produttività estremamente basso ma soprattutto non ha i mezzi per contrastare siccità, epidemie o alluvioni che colpiscono il paese. Anche in questo caso le condizioni degradanti della quotidianità generano maltrattamenti delle donne e delle ragazze, mentre la maggior parte delle organizzazioni non governative si è mobilitata soprattutto per fornire istruzioni su come alimentarsi, preparare i cibi ed avviare piccole imprese o gruppi di risparmio.

Eritrea

Della situazione in Eritrea si parla pochissimo sui media internazionali, questo è anche dovuto all’isolamento dal mondo esterno che quasi impedisce l’intervento delle organizzazioni umanitarie e dei canali di informazione. Ad avere la peggio sono i bambini che soffrono di malnutrizione soprattutto nell’età che va dagli 0 ai 5 anni. Anche in questo caso possiamo tirare in ballo i cambiamenti climatici, una grave siccità che ha colpito anche gran parte delle comunità nomadi che hanno dovuto far fronte anche a numerose inondazioni.
La produzione alimentare del paese riesce a soddisfare il 60-70% delle esigenze della popolazione, percentuale che scende al 20-30% negli anni più tormentati.
Nonostante si sia posto un fermo alla guerra con l’Etiopia e con la Somalia, restano i residui bellici, come le mine antiuomo, a mettere in pericolo delle persone, ma anche un prolungato obbligo di servizio militare ha spinto molti giovani eritrei a migrare in Africa o verso altri continenti. Nel lungo viaggio verso la salvezza, molti giovani subiscono torture, stupri e rapimenti e lasciano da sole moltissime ragazze madri di tenera età, privandole di una adeguata istruzione e di una vita indipendente.
In Eritrea è molto alto il tasso di mutilazione genitale femminile, sebbene la pratica sia considerata illegale, che provoca un numero molto alto di mortalità. Le notizie che arrivano dal paese però sono sempre molto poche dato che non è permesso alle organizzazioni umanitarie private di operare all’interno del paese ed è severamente vietato l’ingresso di giornalisti, una situazione che allontana ancora più l’Eritrea dal resto dell’Africa e del mondo, lasciandola a soffrire in silenzio.

Corea del Nord

Un altro paese che soffre per l’isolamento politico condotto dal regime attualmente in carica è la Corea del Nord. Anche in questo caso è difficilissimo per i giornalisti riuscire a documentare la situazione drammatica in cui versa la popolazione. I dati ufficiali delle Nazioni Unite stimano che almeno 10,9milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, per esigenze alimentari, sanitarie, idriche e igieniche. La malnutrizione colpisce il 43% dei nord-coreani che non riescono a sopravvivere con la produzione agricola, resa sterile dalla mancanza di attrezzature moderne, colpita da ondate di calore, siccità e inondazioni. Quasi il 40% delle persone non ha accesso ad acqua potabile pulita e il rischio di malattie è molto elevato, con tantissimi decessi infantili dovuti solamente alla diarrea.
I bambini iniziano a soffrire già quando le loro madri sono in periodo di gestazione – moltissime partoriscono in casa e senza l’ausilio di un medico -, e rimangono poi affetti da una malnutrizione cronica. Tutto ciò è aggravato dalla mancanza di strutture sanitarie adeguate, con medicine e attrezzature salvavita. Nonostante sia vicino ad una nazione prospera come la Corea del Sud, il Paese guidato da Kim Jong-un è di fatto uno dei paesi più poveri del pianeta, le organizzazioni umanitarie non riescono ad intervenire, non solo non possono entrare fisicamente in Corea, ma non possono nemmeno finanziare progetti o fare trasferimenti umanitari. I media non sono accolti e non ci sono dati sicuri sulle condizioni di vita che potrebbero essere ancora più disastrose di quelle di cui si è venuti a conoscenza.

Bambino nord-coreano in un campo coltivato danneggiato da tifoni in una fattoria collettiva

Kenya

Il Kenya è una destinazione turistica molto popolare, nota per i paesaggi mozzafiato e la sua fauna selvatica, tuttavia ha subito gravemente l’effetto dei cambiamenti climatici.
Uscito dalla grave siccità del biennio 2016-2017, il paese si trova ancora a lottare con le alte temperature e le scarse precipitazioni che hanno ridotto di molto i raccolti stagionali impoverendo le comunità. Di fatto la condizione nutrizionale del Kenya è molto grave, si stima che almeno 1,1 milione di persone viva senza accesso regolare al cibo e che almeno 500mila bambini siano malnutriti, con una produzione agricola che si è dimezzata negli ultimi anni, a causa delle troppe o delle troppo poche piogge.
Varie comunità sono in continuo conflitto per l’assicurarsi di beni e risorse di prima necessità, vi sono molti matrimoni infantili, mancanza di servizi igienici e difficoltà nel far fronte ai cambiamenti climatici, tutte situazioni che hanno messo in moto le organizzazioni umanitarie per sanare la qualità della vita delle persone ed insegnare loro nuove tecniche di sopravvivenza.

Burkina Faso

Il Burkina Faso è un paese sfibrato da anni di prolungata instabilità politica, un vuoto di potere, una governance debole e la presenza di bande armate; è anche colpito da una diffusa povertà e grandi livelli di disuguaglianza economica.
Come per altre nazioni africane, i cambiamenti climatici hanno influito molto sulla produzione di cibo e sulla crisi alimentare e nutrizionale, soprattutto nell’area del Sahel, che nel 2018 ha avuto un drammatico recesso in termini di qualità della vita, soprattutto a causa della violenza bellica. Gli attacchi armati e le condizioni precarie hanno costretto molti abitanti a sfollare all’interno del paese, abbandonando le proprie case e lasciando deserte anche le scuole che in moltissimi casi non sono più state riaperte, così come le strutture sanitarie.
La mancanza di sicurezza ha fatto sì che gran parte della popolazione più vulnerabile sia a rischio di violenze, aggressioni, stupri che molto spesso non vengono segnalati per paura di ritorsioni. Le organizzazioni umanitarie intervengono procurando acqua, servizi igienici, cibo e strumenti per la produzione di cibo, ma facendo soprattutto da intermediari per limitare ulteriori conflitti o l’aggravarsi di faide interne.

Bambina in un villaggio del Burkina Faso

Etiopia

L’Etiopia ha dovuto affrontare diversi problemi nello scorso anno: una siccità nella zona orientale e sud-orientale del paese, inondazioni, recupero di sfollati interni, e miglioramento delle condizioni di vita nelle comunità rurali che dipendono dall’agricoltura di sussistenza.
Purtroppo la siccità e il degrado del suolo hanno aggravato la situazione di estrema povertà, facendo spesso desistere gli agricoltori dal continuare a coltivare i terreni. Ciò ovviamente ha portato ad alti tassi di malnutrizione per donne, bambini, anziani, condizioni precarie cui le comunità hanno fatto fronte vendendo beni materiali, bestiame e sfollando all’interno del paese tanto che si stima che nel 2019 almeno 2000mila persone abbiano abbandonato la propria casa, diventando vulnerabili a violenze e soprusi. Sono moltissimi i casi in cui ragazze vengono stuprate mentre vanno a prendere l’acqua o sono intente nel raccogliere legna da ardere.
L’Etiopia contribuisce per lo 0,27% alle emissioni globali ma soffre fortemente dell’impatto della crisi climatica causata in altre parti del mondo, anche per questo, le associazioni cooperanti hanno dato vita a numero progetti per aumentare la sicurezza alimentare e garantire l’accesso all’acqua. La sfida è quella di insegnare alla popolazione ad affrontare meglio le implicazioni successive ai cambiamenti climatici e alla carestia.

Bacino del Lago Ciad (Ciad, Camerun, Nigeria)

L’area del Lago Ciad è stata sottoposta a 10 lunghi anni di conflitti, violenze, povertà, fame e sfollamenti, ed una delle zone più povere del pianeta. Solamente in Ciad ci sono almeno 657mila sfollati che hanno bisogno di aiuto, ma sono molti anche i rifugiati che arrivano dalla Repubblica Centrafricana e dal Sudan, paesi con una condizione politica molto instabile, che di certo non crea i presupposti per il rimpatrio. Per questo motivo è molto complicato anche il rapporto tra gli sfollati, i rifugiati e le comunità ospitanti. La situazione nel nord-est della Nigeria è preoccupante ed ha avuto ripercussioni sulla popolazione ma anche per le operazioni umanitarie che hanno visto l’uccisione di almeno 20 operatori volontari.
Purtroppo i cambiamenti climatici hanno ridotto anche la portata del lago Ciad, già compromessa per lo sfruttamento intenso da parte delle popolazioni; un tempo serviva infatti come fonte di vita per la pesca e per l’irrigazione ma al momento non riesce più a soddisfare le esigenze locali. Anche in questo caso dunque possiamo parlare di mancanza di acqua potabile, mancanza di igiene, insorgere di malattie ed epidemie di morbillo, colera, sparite e malaria. Il tasso di mortalità è uno dei più alti del mondo e colpisce anche le donne in maternità, spesso date in sposa ancora minorenni, oppure vendute come schiave e sottoposte a ripetute violenze e disperazione dovute anche ad un conflitto armato che non riesce a fermarsi.

Le condizioni attuali del Lago Ciad

Uno dei compiti dei media è quello di garantire la spiegazione ma anche i collegamenti tra le cause e gli effetti nei vari paesi presi in esame. Non si può parlare di povertà senza parlare anche di violenza di genere, matrimoni precoci, violenze domestiche, così come non si può parlare di cambiamenti climatici senza prendere in esame gli sfollamenti, i conflitti, le malattie e altri tipi di sofferenze. Purtroppo esistono gravi crisi umanitarie che non vengono coperte dai media, che potrebbero invece sviluppare una più grande e partecipata discussione su diversi tipi di piattaforme. Per chi opera nel settore dell’informazione è una responsabilità mettere in chiaro le storie di tutte quelle comunità che sono colpite da conflitti e calamità naturali spesso causate anche da uno sconsiderato utilizzo dell’ambiente da parte di industrie estrattive.

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