Esteri

Addio Mare Nostrum, da oggi il Mediterraneo è più largo e pericoloso

1 Novembre 2014

OPERAZIONE TRITON –  Il nome evoca un dio marino dalle sembianze per metà umane e per metà pisciformi: è  Triton, ed è stata definita la più grande operazione marina condotta dall’agenzia per il controllo dei confini esterni dell’UE (Frontex). Partirà ufficialmente il 1 Novembre, e rappresenta la risposta dell’Europa alle ripetute richieste d’aiuto dell’Italia di fronte alle ondate migratorie che hanno messo a dura prova il sistema di soccorso del nostro Paese che da un anno va avanti attraverso l’operazione Mare Nostrum. Ma a differenza di quest’ultima, Triton non sarà un’operazione di salvataggio e soccorso, bensì soltanto di controllo delle frontiere europee. La nuova missione non opererà in acque internazionali ma entro il limite delle 30 miglia dalle coste italiane; niente a che vedere dunque con la portata di Mare Nostrum, i cui soccorsi sono arrivati vicino alle coste libiche ed hanno consentito, nell’ultimo anno, di salvare oltre centomila vite umane. Il costo di Triton si aggira intorno ai tre milioni al mese (un terzo della cifra Mare Nostrum)  e, fino a febbraio 2015, avrà a disposizione  due aerei, un elicottero, due motonavi, due imbarcazioni leggere, diversi team di esperti dell’agenzia per “intervistare” i migranti ed acquisire elementi informativi da sviluppare su l piano investigativo. Anche con l’avvento di Triton, l’Italia continuerà ad essere responsabile delle operazioni di ricerca e salvataggio nella sua area, anche se, lo scorso il 16 Ottobre il Ministro dell’Interno Alfano ha annunciato l’imminente chiusura di Mare Nostrum. I naufraghi soccorsi o intercettati in mare – è bene precisarlo – continueranno ad essere  sbarcati nel nostro paese, sia per  rispetto alle norme del diritto internazionale, sia perché gli stati membri hanno dato il loro contributo a questa operazione congiunta soltanto a patto che rimanga all’Italia l’onere dell’accoglienza.

L’EUROPA PARLA CHIARO – Il commissario UE agli Affari Interni Cecilia Malmstrom ha più volte dichiarato che l’operazione Tritone sarà un sostegno aggiuntivo agli sforzi italiani, ma non ha la pretesa di sostituirsi a Mare Nostrum, né tantomeno di sollevare l’Italia dai suoi compiti. “Sono 29 i Paesi, tra Stati membri ed extra Ue, che hanno messo a disposizione risorse per l’operazione Triton”, ha fatto sapere la Malmstrom.  Anche Gil Arias Fernandez, direttore esecutivo di Frontex, ha voluto ribadire che “le agenzie dell’Ue non possono sostituire gli stati membri nella responsabilità di controllare le loro frontiere”, ma solo offrire supporto. Meno mezzi, meno risorse ed un’aria di intervento ridotta (le coste della Sicilia, Calabria e Puglia): riuscirà, Triton, che non farà le veci dell’operazione Mare Nostrum, a fornire una risposta adeguata al flusso migratorio senza precedenti che si è riversato negli ultimi mesi nel Mediterraneo?

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I NUMERI DI MARE NOSTRUM –  Partita il 18 Ottobre 2013, all’indomani dei naufragi a largo di Lampedusa che hanno causato 366 vittime, Mare Nostrum è un’operazione umanitaria disposta dal Governo Italiano che mira a salvaguardare le vite umane attraverso il pattugliamento aereo-marittimo dello Stretto di Sicilia.  Nel suo primo anno di attività le navi della Marina Italiana hanno salvato 150 mila persone (di cui 9 mila minori), fermato ed assicurato alla giustizia 351 trafficanti di esseri umani e sequestrato 9 navi “madri”, cioè quelle che trasportano i migranti a una certa distanza dalle coste per poi abbandonarli. L’area dell’operazione (all’incirca 70 mila kmq) è stata pattugliata grazie all’impiego complessivo di 32 unità navali (cinque al giorno), relativi assetti aerei e  due sommergibili (che hanno documentato in maniera occulta le attività criminali). Per tutto questo sono stati impiegati, ogni giorno, all’incirca 900 militari.  Mare Nostrum costa all’Italia all’incirca 9 milioni al mese, una cifra che ha fatto inorridire e gridare allo scandalo varie correnti politiche del Belpaese, puntando il dito contro un’Europa che guarda senza agire.

DIFFICOLTA’ E MANCANZE – L’eccezionale flusso migratorio del 2014 ha messo in discussione non tanto l’efficacia dell’operazione umanitaria italiana quanto, piuttosto, il sistema d’asilo dell’UE. Sempre più necessaria è apparsa, infatti, una rivisitazione del  regolamento di Dublino,  che prevede l’obbligo dei migranti di chiedere asilo nel Paese di approdo. Come si legge nel rapporto “Vite alla deriva” di Amnesty International, questo regolamento infatti “pone un onere iniquo a carico dei paesi impegnati nelle operazioni di soccorso, che devono poi provvedere alle necessità di lungo termine delle persone soccorse. La mancanza di una responsabilità condivisa tra i paesi dell’Unione europea sta dissuadendo gli stati dell’Europa meridionale – specialmente Malta – dal trasferire rifugiati e migranti nei loro porti”.  E se fino ad oggi l’Italia, è riuscita a tamponare il problema dello sbarco, permettendo a tutte le persone soccorse di esser trasferite sul suolo italiano, l’imminente chiusura dell’operazione Mare Nostrum rischia di scatenare dispute sugli obblighi di ricerca e soccorso in mare mettendo a rischio tante vite umane.

LE LACUNE DEL SISTEMA DI RICERCA E SOCCORSO – L’alto numero di migranti che nel 2014 ha tentato la traversata del Mediterraneo ha messo a dura prova il sistema SAR (Search and Rescue) che  regola le operazioni di ricerca e di soccorso in mare, accentuandone i limiti e le criticità.  In primo luogo va rivista l’interpretazione del concetto di difficoltà in mare, quella cioè che fa scattare l’obbligo di legge a prestare assistenza: mentre per l’Italia la mancata idoneità alla navigazione di un battello implica già di per se una situazione di difficoltà, e conseguente intervento, Malta al contrario agisce soltanto in presenza di una richiesta d’aiuto e quando l’imbarcazione è sul punto di affondare.  Un altro problema riguarda l’individuazione di porti sicuri: l’Italia ritiene che rifugiati e migranti non possano essere trasferiti in un luogo dove i loro diritti umani sarebbero a rischio, mentre le autorità maltesi considerano come luogo sicuro qualsiasi paese in grado di soddisfare le loro necessità primarie, indipendentemente dal fatto che le persone soccorse necessitino di eventuale protezione internazionale. La mancata convergenza di vedute tra  Italia e Malta, che già in passato ha determinato situazioni di stallo e ritardi, è destinata ad affiorare ancor di più nell’ambito di Triton, rischiando di rendere le operazioni di soccorso lente e macchinose.

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LA CORSA VERSO IL NORD –  Lungi dall’essere un punto di arrivo, per la maggior parte dei migranti l’Italia è soltanto un lembo di terra che li separa dalla loro meta finale: il Nord Europa. Più volte il Governo italiano, per bocca del Ministro Alfano, ha fatto presente che “il nostro paese è stato lasciato solo a presidiare una frontiera che in decine di migliaia vogliono attraversare per raggiungere l’Europa”. Svezia, Norvegia e Germania in primis sono le destinazioni finali di  queste ondate migratorie: persone che attraversano tre continenti pur di mettersi in salvo fuggendo da guerre e situazioni di pericolo. I dati del 2013 sulla prima richiesta d’asilo parlano chiaro: su 326 mila e 500 richieste in totali, 76 mila sono state presentate in Germania, 61 mila in Francia, 45 in Svezia, 23 mila in Italia. Nessuna “invasione barbarica” in arrivo dunque nel nostro Paese, visto che il numero di richiedenti raggiunge a malapena il 3%  del totale.  Ma per non rischiare di rimanere intrappolati nei tempi biblici della burocrazia italiana, i migranti, appena approdano sulle coste sicule, hanno un nuovo pericolo da scongiurare: la rilevazione delle impronte digitali. Una pratica, quest’ultima, che li obbligherebbe, di fatto, a presentare domanda di asilo in Italia. E’ così, dopo esser scampati alle insidie del mare, i naufraghi cercano escamotage per non venire fotosegnalati al momento delle sbarco. La situazione caotica  in cui versano i nostri centri  di primo soccorso gioca in loro favore, in quanto non consente un rigido controllo degli arrivi. I migranti lasciano in fretta il Sud Italia, raggiungono Milano in treno o in bus ed è da qui che cercano un modo per proseguire nel Nord Europa, spesso con taxi improvvisati che offrono viaggi da mille euro a persona.

L’ANNUNCIO DI  ALFANO – “E’ la più grande e partecipata operazione europea nello scenario del Mediterraneo messa in campo per contrastare l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani”: con queste parole il Ministro degli Interni Angelino Alfano ha presentato l’operazione Triton nel corso di un’audizione della scorsa settimana davanti al Comitato Schengen, annunciando anche la chiusura di Mare Nostrum. Dopo aver “evitato che il Mediterraneo si trasformasse in un immenso cimitero”, l’operazione Mare Nostrum, voluta e finanziata soltanto dal Governo Italiano,  si avvia dunque alla conclusione (atteso un Consiglio dei Ministri per decidere la chiusura). L’Italia continuerà a dare il suo contributo mettendo a disposizione un aereo, un pattugliatore d’altura e due pattugliatori costieri. Inoltre,  “saranno mantenuti gli screening sanitari sui migranti al momento dello sbarco a terra e prima dello smistamento nei vari centri”, ha assicurato il titolare del Viminale.

ALLARME ONG – Ma cambiare cappello ed egida  all’operazione può rappresentare davvero una soluzione agli sbarchi? Scetticismo e forte preoccupazione arriva dal mondo del No profit. “La proposta di sostituire Mare Nostrum potrebbe avere conseguenze catastrofiche e mortali nel Mediterraneo”, ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International. “Triton è un’operazione di frontiera e non ha un mandato di ricerca e salvataggio. Opererà solo vicino alle acque italiane, e non oltre, dove è più necessario”, si legge in una nota diramata da Amnesty International. Dello stesso avviso anche il Centro Astalli di Roma, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, che chiede al governo italiano di non porre fine all’operazione Mare Nostrum: “Sarebbe un arretramento sul piano dei diritti. Per motivi economici si accetta il rischio di perdere vite umane in mare”, ha affermato padre Camillo Ripamonti, presidente del centro, che incalza: “Chiediamo che sia garantito l’accesso sicuro in Europa per quanti fuggono da guerre e persecuzioni”.

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 BASTA FRONTIERE, SI’ AI CORRIDOI UMANI  –  Per fronteggiare l’emergenza sbarchi e porre un freno alle “traversate della morte”, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e altre organizzazioni umanitarie chiedono  la messa in atto di relazioni fra Stati che offrano, ai richiedenti, la possibilità di presentare domanda di asilo nei paesi di origine o nei paesi di transito,  “in  modo che le persone non siano più costrette a prendere la decisione rischiosissima di attraversare il Mar Mediterraneo”, ha dichiarato Carlotta Sami, portavoce UNHCR. Il punto è che, ad oggi, la fortezza Europa è sempre più impenetrabile, via mare o via terra.   Il Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur), infatti, fornisce sofisticati sistemi di sorveglianza e supporto economico ai paesi membri che si trovano ai confini esterni dell’Europa, per impedire l’ingresso ai migranti irregolari, indipendentemente dai motivi del loro viaggio. In Bulgaria, ad esempio, telecamere e sensori sono posizionati in 58 km lungo il confine con la Turchia, e sono in grado di rilevare qualsiasi oggetti in movimento sul territorio turco entro 15 km dal confine. L’obiettivo dell’Ue e degli stati membri è creare una zona cuscinetto con i paesi vicini che consenta di bloccare l’immigrazione irregolare verso il vecchio continente.   Per il periodo 2011-2020 il costo stimato di Eurosur è di 338 milioni di euro.

PARTENARIATI UE-AFRICA: LO SFORZO DELL’ITALIA –  Anziché insistere sulla protezione delle frontiere esterne,  in molti auspicano per l’Europa il ritorno al concetto di Mediterraneo allargato, che veda il rilancio dello sviluppo economico nella costa nord dell’Africa, requisito indispensabile per consentire di ritrovare condizioni sostenibili di stabilità e pace ai paesi della sponda sud del Mediterraneo. Un modo, questo, per andare oltre la mera politica dell’emergenza, e porre le basi di un nuovo capitolo aperto all’inclusione e non all’esclusione. Ed è questa la direzione verso cui – seppur in modo flebile – sta lavorando l’Italia. Lo testimoniano i partenariati per la mobilità già conclusi con la Tunisia (marzo 2014), il Marocco (giugno 2013); lo testimonia la scommessa di investimenti sull’Africa del premier Renzi sancita dal viaggio dello scorso luglio e la firma di accordi importanti in Monzambico e in Congo, “per fare dell’Africa un luogo di sviluppo e non soltanto di cooperazione”.  E lo testimonia la quarta conferenza ministeriale euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo nell’ambito del processo di Rabat prevista a Roma il 26 e 27 Novembre.  Ed è qui che – forse – potrebbe esserci l’auspicata spinta che finora neppure il semestre europeo sotto la presidenza italiana è riuscito a dare.

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