Enti locali
Uccisa nella culla la sanità metropolitana per effetto della legge calderoli
In copertina la Città Metropolitana Milanese.
Inizia con grande entusiasmo la raccolta delle firme contro l’autonomia mortificata dalla Legge Calderoli. Si può firmare anche online mediante lo SPID e in meno di due giorni si è arrivati a quota 100.000, il 20% delle 500.000 richieste.
Proponiamo in questa sede un altro tassello a supporto della giusta abrogazione: La sanità territoriale o metropolitana sarà la prima vittima della Calderoli, mentre in punta di diritto andrebbe applicato pienamente l’art 114 Cost, proprio quello che ci salverebbe dalle liste d’attesa.
a cura di Aldo Ferrara, Franco D’Alfonso, Domenico D’Amato e Michele Arras [1][2]
Con l’applicazione della Legge 86/24 [Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. (24G00104) ](GU n. 150 del 28-06-2024) si crea una condizione di disparità tra gli organi amministrativi dettati dall’art.114 della Costituzione. Un ulteriore decapitazione delle prerogative della Città Metropolitana ma anche la premessa per ulteriori conflitti di competenze. Con la legge 86/24 nota come Calderoli, un altro attore è privo di copione nella scena della concorrenza legislativa: la nascente Città metropolitana le cui competenze rischiano di essere mortificate.
Già la modifica della Costituzione con l’introduzione delle Città metropolitane quali soggetti giuridici dell’Amministrazione, pone interrogativi circa le attribuzioni di poteri, i loro limiti e i possibili conflitti di competenze. L’articolo in questione, il 114, è il primo articolo del Titolo V sull’articolazione repubblicana (Regioni, Province, Comuni) esordisce al primo comma “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dallo Stato”. Subito appare evidente che lo Stato è un istituto giuridico ben diverso dalla sua forma. Inoltre il Costituente o il legislatore che ne indossa le vesti tende a rendere un’articolazione proiettata verso la periferia in modo inclusivo e partecipativo.
Oggi ci si domanda in quale modo la decentralizzazione della prevenzione e cura possa coniugarsi anche con la responsabilizzazione diretta del settore ospedaliero-assistenziale da parte delle Regioni, quello che in origine fu definito federalismo sanitario, nell’ambito del quale va incluso il parametro delle povertà (sia quella assoluta in cui il soggetto non può soddisfare i bisogni primari, sia quella relativa laddove vi sia un reddito familiare al di sotto del 50% della media). Ciò in pratica si può sintetizzare con la formula della tassazione regionale sulla Salute in funzione delle proprie necessità per conglobare risorse commisurate ai redditi della singola regione. [3] [4]
Come si vede, la concessione legislativa, vestita di costituzionalità può rivelarsi la “trappola dell’art.117” perché costituisce un legame costituzionale con cui lo Stato mantiene la sua supremazia legislativa sulle Regioni, bloccando una piena autonomia che non sia confinata nel puro percorso amministrativo, nel quale peraltro finisce per emergere il conflitto di competenze. Ma il T.U sugli EELL contribuisce a fare chiarezza normativa. In caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, in questa veste, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 833/1978 e dell’art. 117 Cost., del D.Lgs. n. 112/1998, e soprattutto dell’art 50 comma 5 del TU, [5] il Sindaco può anche emanare ordinanze urgenti, con efficacia estesa al territorio comunale in conformità alla riforma costituzionale del Titolo V. Lo si è visto in tempo di Covid quando nessun sindaco ha osato interpretare a proprio favore la normativa che gli conferisce piena potestà sulla salute municipale e operatività tramite le strutture sanitarie comunali. La imperfetta riforma costituzionale del 2001 (L.Cost. 3/2001) non ha prodotto i vantaggi auspicati.
Sulle tematiche ambientali poi, all’epoca, regnava la confusione sovrana. Quanto all’effettivo “governo” della “materia ambientale”, la riforma del Titolo V della Costituzione (ad opera della legge cost. n. 3 del 2001) ha sancito il passaggio da un sistema basato sui principi dell’accentramento, ma con possibilità di delega alle Regioni, e di corrispondenza tra funzioni legislative ed amministrative, ad una ripartizione delle competenze legislative, accompagnata da una certa flessibilità nel conferimento di funzioni amministrative. Più nello specifico, il dettato costituzionale vigente annovera la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” tra le materie di potestà esclusiva dello Stato (art. 117, 2° comma, lett. s) Cost.), mentre la tutela della salute, nonché il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali sono allocate tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, 3° comma, Cost.) nelle quali spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, la c.d. normativa quadro e alle Regioni porre le norme più di dettaglio specifico. Peraltro, è inevitabile che le “materie” riservate allo Stato si intersechino con quelle ripartite tra lo Stato stesso e le Regioni. Ne fanno parte l’alimentazione, la protezione civile, la ricerca scientifica e tecnologica, la produzione, trasporto e distribuzione di energia. In una visione ampia sono includibili molte materie di potestà residuale spettante alle Regioni, non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, come agricoltura, foreste, acque, definibili come Beni Comuni. Se mai si dovesse riformare il Codice Civile che li statuisce sin dal 1942, essi dovrebbero essere esclusi dalla potestà demaniale e rientrare nei Beni Comuni Puri ovvero nella categoria Beni Pubblici affiancando nella prerogativa del cittadino i Beni Pubblici sociali (ospedali, gestione dell’acqua etc).
Ulteriore occasione persa è stata quella che ha riformato, riducendone pesantemente le competenze, il ruolo delle Province e delle Città Metropolitane. Dopo la riferita riforma del Titolo V” (Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), con il c.d. “Decreto Salva Italia” (L. 214/2011), si proponeva un primo intervento di riordino delle Province, e successivamente con la Legge 135/2012 (cd. Spending review, si prevedeva il riordino delle Province (art. 17), l’istituzione delle Città metropolitane (art. 18) e la definizione delle modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali (art. 19).
Dopo sentenza n. 220 del 3/7/2013, della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della L. 214/11 e della L. 135/12., nel 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “DDL Delrio”, che in tema di Città metropolitana richiama in larga misura l’ordinamento previsto dall’art. 18 della L. 135/12. Successivamente, il 7 aprile 2014, con L. n° 56 il parlamento emana le “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni”. Tale passaggio di fatto formalizza il profondo processo di riordino dell’assetto delle autonomie locali del nostro Paese. Le Città metropolitane (14 in tutto, 10 istituite a cui si aggiunge Roma Capitale d’Italia e le altre delle due Regioni insulari a Statuto speciale), a distanza di 13 anni (L. costituzionale 3/2001 che ha modificato l’art. 114 della Costituzione), divengono realtà, ma purtroppo realtà semivuote rispetto alle competenze e prive di autonomia finanziaria, addirittura Enti di secondo livello in quanto privi di autonoma elezione degli organi di gestione
Per la “Delrio”, le Città metropolitane sono Enti territoriali di area vasta, con finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della Città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti il proprio livello, comprese quelle a livello europeo, ossia quelle con le città e le aree metropolitane europee; in pratica contenitori di poca o nulla competenza. Mentre il complesso sistema di gestione della salute pubblica avrebbe richiesto attori e convergenze sussidiarie più ampie e diffuse tra le istituzioni dello Stato.
Nel corso di questi anni, comunque, si è dunque creata una generale consapevolezza sui valori di salute e ambiente, che ha indotto la giurisprudenza costituzionale a sviluppare un percorso di continuità, quasi inducendo e talora guidando il legislatore a promuovere iniziative legislative quali il Testo unico dell’ambiente (recato dal d. lgs. n. 152 del 2006), con il dichiarato “primario” obiettivo di “promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” (art. 2). Su questo punto si individua una precisazione connessione l’art 191 del TFUE che ci viene in soccorso perché lega in modo indissolubile e ineludibile il problema del peggioramento della salute collettiva con l’ambiente. (Cfr Cap. 45 I° Tomo del Trattato di Medicina d’Ambiente, pagg. 693-716, a cura di M. Ascione). Nella necessaria tutela delle esigenze unitarie sul settore, alle Regioni, è consentito legiferare nell’ambito dei propri diritti purché ciò non comporti disparità non ammissibili di trattamento non solo tra individui ma anche tra le stesse regioni (v. ad es., la sent. n. 225 del 2009). Considerata la norma europea fonte di diritto primario, si instaura una sorta di “piramide” dalla cui cima si discende fino alla normativa regionale. Ne consegue che, nelle materie oggetto di normazione comunitaria, l’attuazione «interna» è affidata alle Regioni, ove sia riconosciuta la loro competenza, nel rispetto delle procedure di leggi e fermo restando il controllo sostitutivo da parte dello Stato. Tuttavia, la non sempre facile interpretazione della concorrenza legislativa Stato-Regioni e lo stesso art.117 della Cost. fanno sì che sussista un difficile rapporto Stato-Regioni che non è esente da critiche ma che costituisce da sempre un terreno di confronto sulla devoluzione amministrativa, in senso federalista, a dir poco incompiuta. Se l’analisi globale del Sistema Sanitario fa innalzare sempre più l’asticella del non-gradimento della popolazione, sono proprio le Regioni a Statuto Speciale a suscitare nella pubblica opinione opinioni non certo favorevoli.
Il problema della concorrenza legislativa pone subito la questione delle responsabilità, sia civili sia penali, e l’eventuale attribuzione di colpa in caso risarcitorio. Lo stesso dicasi per i conflitti di competenze, sia sulle risorse sia sulle attribuzioni di poteri ai fini della salvaguardia dei cittadini (vedi ad esempio l’art 50 Comma 5 del TU Enti Locali che sancisce l’indisponibile potestà del Sindaco in caso di emergenza sanitaria). Occorre dunque ai fini di un corretto ed equilibrato esercizio dei poteri stabilire i confini, i limiti entro cui possono operare i soggetti giuridici declarati (Regioni, Città Metropolitane e Province nel caso di una loro restitutio ad integrum). Poichè il lavoro di modulazione legislativa deve essere inteso in senso dinamico, queste considerazioni ultime devono ritenersi soggette a ulteriori approfondimenti e anche possibili modifiche, in funzione dell’evoluzione applicativa della L 86/24 sull’Autonomia, atta a modificare la Costituzione nei suoi artt. 114, 116,117, sia sulla Legge circa il ruolo del Premier, con la modifica degli art. 59, 88, 92 rispetto l’attuale normativa legislativa vigente.
[1] Franco D’Alfonso, Manager, già Assessore Comune di Milano nella Giunta Pisapia, Pres. Centro Studi “E.Caldara”, Domenico D’Amato, Assessore al Bilancio, Comune di Saronno, già Direttore risorse umane al Comune di Milano, Direttore servizi finanziari Città Metropolitana. Michele Arras, Avvocato , Foro di Milano.
[2] Dal Volume “Diritti Violati. 1-Sussistenza e sanità”. Aracne ED. , 2024
[3] Costanzo P., Ferrara A. Salute e Ambiente, diritti feriti, SEU-Roma, ED. 2020, Cap.1, pag 43
[4] Trattato Italiano di Medicina d’Ambiente, Tomo I, a cura di Aldo Ferrara, Parte Quarta, Normativa e Giurisprudenza della Tutela Ambientale, pagg.661-776, 3 Art 50 comma 5: “…In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche…”.
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