“Troppe persone in Italia non comprendono la gravità dell’invasione in atto da parte dei clandestini. Vogliono tutti venire qui, e smettiamola con la bugia che poi se ne vanno nel Nord Europa. Si fidi, io lo so!”. Tony Chike Iwobi, 59enne nigeriano è il nuovo responsabile immigrazione della Lega Nord. A volerlo a tutti i costi è stato Matteo Salvini. Lo ha strappato al torpore dell’assessorato ai servizi sociali di Spirano, nella Bergamasca, in pochi minuti, qualche tweet e due mail. Alla faccia del partito e delle lunghe riunioni di vertice. Il segretario provinciale di Bergamo, tale Daniele Belotti, di antica fede bossiana oltre che atalantina, fa spallucce e timbra la pratica. Intanto Tony, bergamasco da ventuno anni, ha infilato la maglia “Stop invasione” ed è salito sul palco della manifestazione anti-immigrati del 18 ottobre a Milano. Da protagonista. Spiazzando anche Umberto Bossi, a cui è stato concesso (l’unico della vecchia guardia) qualche minuto di comizio. E basta. Perché adesso in casa Lega si fa e si disfa come dice Matteo Salvini, che ha avviato da tempo la “rottamazione morbida”. E che per cambiare pelle al partito e inventargli una vocazione nazionale, dedicandolo al core business della lotta all’immigrazione, è disposto a tutto. Anche a mettere un nero a capo del dipartimento più delicato del partito. Allearsi con le destre più xenofobe del Paese e d’Europa, aprire sezioni del carroccio anche nel Mezzogiorno. Una strategia che fa rabbrividire ciò che resta dell’entourage del Senatur . “C’è un terreno che la crisi di Forza Italia ha aperto a destra. Una spianata in cui è doveroso infilarsi e chissà se la Lega cambierà per davvero e diventerà qualcos’altro. Qualcosa in grado di governare tutto il paese”. Chissà. Se lo chiedono in tanti ai piani alti del Pirellone di Milano. C’è fermento negli uffici dei consiglieri regionali lombardi che Salvini, negli ultimi tempi, pare frequenti più del quartier generale di via Bellerio e anche più di Palazzo Lombardia, a poche strade di distanza, dove regna (a tempo determinato) il governatore Maroni.
Si chiamerà Lega dei Popoli e delle identità, il partito che Salvini ha in mente. Superando la Lega Nord. Un taglio netto, che faccia dimenticare il passato, gli slogan del repertorio secessionista, i riti pagani e gli altri folklori. Non c’è più spazio per queste cose e nemmeno per le persone che le inventarono. Ora la Lega riparte con altri miti, altre parole d’ordine: stop invasione e no euro. E con altri uomini. Pochi ma fidati. Un nuovo “cerchio magico” attorno al capo, che tutto sa, tutto controlla e non lascia nulla al caso. Il progetto di costruire un nuovo soggetto di destra è prioritario. Nel corteo del 18 ottobre c’erano tantissimi ex elettori di Berlusconi e della destra nazionale. Salvini li vuole. Per prima cosa ha affidato al senatore Raffaele Volpi, 54 anni da Brescia, ma originario di Pavia, la missione di aprire sezioni della Lega al sud. A partire da Roma, dove sembra che i collegamenti con la destra siano assidui e dove si parla di un imminente passaggio di due consiglieri comunali di Fratelli d’Italia nella Lega Nord. Del resto, sono i sondaggi e lo spazio politico evidente ad indicare la via. La Lega viaggia attorno all’8% in crescita costante. Ma è il suo leader, il più apprezzato tra quelli del centrodestra, il secondo per gradimento in termini assoluti dopo il suo omonimo toscano, a far cambiare molte priorità a molte persone. Alla causa serve un po’ di tutto. Anche l’aiuto di un soggetto problematico come Mario Borghezio. L’avevano messo a cercar voti per le europee nel collegio del centro Italia. Missione compiuta: ora siede un’altra volta a Strasburgo. Con la sua associazione “Patrie” sta allacciando rapporti di ferro con molti esponenti romani di Casa Pound. Gli stessi saliti a Milano a rafforzare le fila dei manifestanti del 18 ottobre. Ma il boccone più prelibato è rappresentato da un bel pezzo del corpaccione elettorale di Forza Italia, disposto a cambiare preferenza. Un bottino stimato attorno ad un dieci per cento, già pronto all’uso, che sommato ai voti potenziali del carroccio, permetterebbe a Salvini di iniziare il decollo.
Il leader lo sa e per questo non si risparmia mai. Il lavoro è h24, meticoloso e senza lasciare nulla al caso. Esce dalla sua casa di Milano alle prime luci dell’alba e vola in su e in giù per l’Europa fino a tarda notte. Non gradisce la scorta che gli è stata assegnata e che spesso tiene a debita distanza. Ci tiene a farsi vedere sempre sobriamente vestito. Immancabili jeans e Adidas ai piedi. A volte le clark lo fanno assomigliare a uno di sinistra e del resto, tra i coetanei milanesi, in tanti lo ricordano, ventenne, bazzicare il Leoncavallo e i concerti dei cantautori. Oggi sono diventate proverbiali le felpe con la scritta Milano ed altre invenzioni di marketing politico. Banditi i completi di grisaglia o gli spezzati. Il casual è d’ordinanza anche tra i suoi fedelissimi. Immancabile il tablet nelle mani, da cui non si stacca mai, per rispondere di persona ai tweet. Predilige facebook e riconosce la televisione popolare come essenziale. Un salto a Telelombardia la mattina presto, nel talk delle ore 7, condotto dalla regina del tubo catodico locale, Giorgia Colombo, lo fa almeno una volta la settimana. E lì sono fiumi di telefonate di apprezzamento delle casalinghe di mezza Lombardia. “Matteo sei un mito”. “Matteo sei bello”, “Sei l’unico”. Salvini frequenta tutti i salotti televisivi, di destra e di sinistra. Anche dove risulta meno simpatico. Si muove senza segretaria e senza addetto stampa. La sua apparente semplicità seduce moltissimi leghisti, a partire dai nuovi capibastone, fino agli uomini del suo “cerchio magico”.
Massimiliano Romeo, 43 anni da Monza, è il capogruppo della Lega in Regione Lombardia. “Eravamo insieme nei giovani Padani con Salvini”, sorride. Fare da guascone, si sposta da solo e sempre in vespino. Veste casual e muove pedine dai piani alti del Pirellone, ma senza far rumore e per ordine diretto del capo. “E’ una Lega che ha cambiato trazione”, dice. Una lega in motorino, si direbbe. Sotto il palazzone del potere, fino a due anni fa, vedevi code di auto blu in attesa dei big padani. Adesso il vuoto. “Abbiamo messo a dieta il partito”, ammette. Dieta forzata, perché le casse leghiste non se la passano bene. Nel bilancio del 2013 c’è un disavanzo di 14 milioni di euro. Sette milioni sono andati via per le campagne elettorali. Troppo poche le entrate: 6 milioni e mezzo di rimborsi elettorali che non ci saranno più e 3 milioni e ottocentomila euro di contributi degli eletti. Langue il tesseramento, fermo a 674mila euro di utile. La Lega si salva per via del suo patrimonio, fermo a 21 milioni di euro. La Pontida Fin Srl custodisce le proprietà immobiliari del movimento, stimate in 7 milioni e la Fin Group cerca di movimentare le attività commerciali e colmare le perdite, contenute ma costanti, del sistema partito. Troppo poco per Matteo e per il suo salto nel palcoscenico nazionale. Soprattutto ora che la Lega a Roma è all’opposizione e ha perso molte poltrone nelle partecipate che contano. Si cerca altrove. E pare che qualcuno si stia facendo avanti. Sono ad esempio molto buoni i rapporti di Salvini con il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti. Peraltro, in una pagina facebook (naturalmente non gestita da Caprotti) che propone da un paio d’anni il fondatore di Esselunga come senatore a vita, campeggiano spesso e volentieri gli status di Salvini e le sue battaglie anti-immigrati. “I partiti soffrono. Oggi sono più bravi i singoli deputati ad ottenere la fiducia degli imprenditori e a farsi finanziare”, dice Romeo. “Anche perché la Lega è sempre stata aiutata da piccoli artigiani, che ora sono tutti in difficoltà”.
A farsi largo anche nel cerchio magico, nonostante qualche mal di pancia, c’è Angelo Ciocca, nemmeno 40 anni da San Genesio e Uniti (tremila anime nel pavese). Eletto la prima volta consigliere regionale nel 2010, rastrellò 18 mila preferenze. Un ras della bassa, con agganci tra i costruttori pavesi e liguri. Molto amico di Alberto Righini, presidente di Ance a Pavia e del capo dell’ordine degli ingegneri, Augusto Allegrini. Vanta amicizie anche tra i costruttori genovesi guidati da Federico Garaventa. Legami che ha intessuto durante la campagna delle elezioni europee. Elegantissimo e un po’ vanitoso, Ciocca ama stupire. Lo scorso anno organizzò una partita di calcetto al suo paese tra i consiglieri leghisti in Regione e quelli della Lista Maroni. Per l’occasione fece trovare ai colleghi un campo da gioco completamente nuovo.
Ora corre per diventare assessore alla Casa al Pirellone, nel previsto e difficile rimpasto della giunta Maroni. Primo dei non eletti alle Europee di quest’anno, Ciocca potrebbe fare al caso di Salvini che lo vuole su quella poltrona. Da assessore alla Casa, prenderebbe la patata bollente di Aler tra le mani, per trasformarla in una gallina dalle uova d’oro, in termini elettorali, per il leader. È anche sul degrado delle case popolari che Salvini darà battaglia per diventare sindaco di Milano nel 2016. “Una città importante come Milano e un sindaco come Salvini, darebbero alla Lega un ruolo di primo piano a livello nazionale”, assicura Ciocca. Ed infatti pare che Salvini a fare il sindaco ci stia pensando per davvero. Nell’immediato, insidiare Renzi è cosa ardua. E allora Milano potrebbe essere la prova generale di ciò che verrà dopo. Il trampolino di lancio da cui manovrare le sorti del nuovo centrodestra.
Nell’intelaiatura salviniana, Gianmarco Centinaio è un pezzo che conta. Classe ’71, leghista della prima ora, è il capo dei senatori del carroccio. Mite e gentile, è uno che non molla. Ed è uno degli uomini che stanno spostando il baricentro leghista da Varese a Pavia. Città di cui è stato vicesindaco . “La nuova Lega è meno territoriale e più politica. Si rivolge a tutti gli italiani alle prese con il dramma dell’immigrazione clandestina che produce insicurezza. Gli italiani che vorrebbero un Paese più attento ai loro bisogni”. Afferma Centinaio, che aggiunge: “Salvini è di Milano. Naturale che guardi con maggiore attenzione ai problemi delle grandi città”. Centinaio è sempre in movimento. A lui il compito di serrare le fila della pattuglia dei fedelissimi a Roma. Come Nicola Molteni, deputato di Cantù, 38 anni e Paolo Grimoldi, 39 anni di Monza. Con loro si aggiungono spesso e volentieri negli incontri milanesi, altri esponenti locali, come i consiglieri comunali Igor Iezzi, Alessandro Morelli e il combattivo Stefano Bolognini, ex assessore provinciale a Milano. C’è anche un ristorante di riferimento per il cerchio magico. Si tratta del Suri di zona Washington, raffinato ostricaro, gestito da Gianmarco Senna consigliere di Zona del Carroccio.
Matteo può fare massimo affidamento sugli amici, pochi ma solidi. Sono i nemici che iniziano ad essere tanti. A cominciare da quelli dell’ala veneta del movimento. Dente avvelenatissimo per Flavio Tosi, vera spina nel fianco per Salvini e soci. Roberto Maroni, dicono i bene informati, avrebbe preferito un periodo di coabitazione in via Bellerio tra i due rivali. Con una preferenza per il sindaco di Verona, considerato più stabile di Matteo e in grado di sfondare nelle preferenze degli italiani. Per questo il governatore lombardo potrebbe pagarla cara. Quelli del cerchio magico assicurano appoggio incondizionato a Maroni, ma si starebbe lavorando per una sua liquidazione morbida, senza fretta. Anche Luca Zaia medita sgambetti. La rielezione di primavera in Veneto è data per scontata, ma il presidente, ancora giovane, prepara la discesa in campo a livello nazionale, usando l’arma degli indipendentisti della sua terra, molto indisciplinati anche rispetto a Salvini. E c’è una lunga lista di rottamati pronti a consumare vendetta. Tutta l’ala varesotta del movimento, a cominciare dal sindaco Valerio Fontana, fino all’ex presidente della provincia, Dario Galli. L’assessore regionale Gianni Fava, di fede “tosiana”, l’ex assessore Andrea Gibelli, l’ex segretario nazionale Giancarlo Giorgetti e, non ultimo, l’ex presidente del consiglio regionale, Davide Boni. Acerrimo nemico di Matteo Salvini, Boni sta cercando di correre per la poltrona di segretario a Milano. Potrebbe spuntarla anche grazie all’intervento di mediazione di Roberto Calderoli, che ha buone entrature presso il cerchio magico.
Piccole-grandi schermaglia, insomma, tra i vecchi e i rottamatori, ormai un classsico della politica italiana. Salvini le tiene a basa, per adesso, ed è convinto di avere dalla sua i numeri, nel partito e soprattutto nel paese, per andare avanti per la propria strada. Prossima tappa: Milano 2016. E gufi e rosiconi, come si dice di questi tempi, se ne faranno una ragione.
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Matteo Salvini vuole conquistare l’elettorato scontento di Forza Italia per combattere l’avanzata di Matteo Renzi. I due politici italiani sono alla rincorsa dei consensi elettorali, relativi a quella porzione della popolazione italiana ancora indecisa o fortemente scettica. Sono due strategie differenti che entusiasmano la società.