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Brera design days. Il design lo venderemo all’ikea
Il 2 ottobre ho assistito alla tavola rotonda “Il prodotto on e off line. Come venderemo il design” della Brera Design Days.
La discussione è stata noiosa se non fosse stato per due interventi di persone del pubblico.
Eppure la qualità dei discussant era buona e promettente: Giorgio Grando, responsabile ricerca e sviluppo di ABS Group srl., Stefano Giovannoni, designer e fondatore di Qeeboo, un’azienda di design che vende direttamente on line, e Margot Zanni, fondatrice di Dalani, l’ecommerce leader nell’arredamento, Chiara Alessi, moderatrice.
Il primo intervento di una persona del pubblico, e da quanto ho potuto capire nota a molti e forse uno degli organizzatori della design week, chiedeva quale futuro vedevano i discussant per la centinaia di showroom nella zona intorno al luogo dell’incontro e per quella centinaio di negozi multimarca che costeggiano le strade a nord di Milano.
Quella era la domanda che doveva essere posta all’inizio, che avrebbe dovuto guidare l’intera discussione e che invece non è stata formulata e tanto meno aveva trovato risposta fino a quel punto.
Invece, durante la discussione, i tre ospiti hanno parlato di distribuzione fisica e dei suoi limiti, ma allo stesso tempo l’hanno difesa come un tassello fondamentale nel processo di acquisto. Gli argomenti sono stati i soliti che si sentono quando si parla di questo:
“I negozi sono un fattore di socialità”, “Bisogna pensare all’integrazione tra on e offline” “certe cose le si compra solo dopo averle toccate e provate” “Anche Amazon sta aprendo negozi”
E’ vero che i negozi sono un importante luogo di socialità, ma è altrettanto vero che tenere aperto un negozio costa. Costa l’affitto, il personale, le utenze etc. In qualche modo questi costi bisogna sostenerli.
Le tecnologie per riconoscere e interagire con i clienti, dai famigerati beacon agli specchi intelligenti che fanno un video a 360° degli abiti che proviamo, fino al personale preparato e pronto a prendersi cura dei clienti li rende ancora più costosi.
Pertanto l’integrazione tra canale fisico e quello digitale può renderne alcuni molto competitivi ma molti altri non avranno i numeri per rimanere aperti.
Quando poi sento parlare del bisogno di toccare e provare qualcosa prima di comprarla, mi ricordo delle discussioni di 15 anni fa, mi occupavo di retail e ecommerce allora, in cui si affermava che le persone avrebbero comprato on line prodotti di informatica e di elettronica e mai un paio di scarpe o una camicia.
Oggi Yoox e Zalando e le principali catene di abbigliamento vendono con successo merci che secondo quelle teorie le persone non dovrebbero comprare.
Giovannoni, forse per consolare la platea, ha ricordato che anche gli esperti non sanno qual è il futuro del retail: il fondatore di Yoox dice che l’ecommerce raggiungerà al massimo il 20% al contrario l’ad di Amazon dice che l’ecommerce stravolgerà il retail.
Credere che una quota dell’ecommerce del 20% sia poco significa ignorare come funziona e si sostiene un negozio o una catena di negozi.
Il 20% di vendite che transitano dall’ecommerce non significa il 20% di negozi in meno, che sarebbe comunque un’enormità, significa piuttosto che i negozi devono cambiare radicalmente il proprio modello di business, perché quel 20% si concentra molto spesso su sottocategorie di beni ad alto margine che sono fondamentali per l’equilibrio economico. Per valutare l’influenza dell’ecommerce, dovete immaginare un sasso, non importa quanto è piccolo, ciò che conta è l’altezza da cui precipita e quella dell’ecommerce è molto elevata.
Il secondo intervento è stato quello di un architetto, ha sollevato un altro tema, quello dei tempi di consegna.
Ha raccontato che suo problema maggiore è che i tempi di consegna per molti oggetti di arredamento, soprattutto quelli di grandi dimensioni, sono molto lunghi, anche 60 o 90 giorni. Talmente lunghi che talvolta si trova costretto a comprare prodotti Ikea, perché tutti li conoscono e soprattutto sono immediatamente disponibili.
La domanda è stata considerata quasi come fuori tema. In fondo, hanno pensato e lasciato intendere dal palco, se le consegne sono dilatate è colpa del Produttore ma non del retailer.
Proprio questo modo di affrontare i temi, per compartimenti stagni, non giova alla crescita e all’evoluzione: per un cliente è irrilevante di chi sia la responsabilità, se deve aspettare quasi meglio l’Ikea.
Eppoi se i tempi di consegna sono lunghi la distinzione fra un negozi e uno showroom è una distinzione senza senso.
Forse il futuro dei negozi passa non solo dall’integrazione fra dimensione fisica e dimensione digitale ma dall’efficienza logistica, dalla capacità di rispondere rapidamente alle esigenze dei clienti, dall’integrazione fra negozio e produzione: un po’ meno shop e un po’ più store.
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