Dighe, acque, elettricità: in Malesia il climate change si combatte così
Negli ultimi cinque anni la Malesia ha attraversato un periodo di crescita economica tra le più brillanti del mondo: il PIL nazionale è aumentato ogni anno di oltre il 6%. Lo sviluppo energetico rappresenta un fattore decisivo per questa avanzata nello scenario internazionale delle potenze finanziarie. Il governo sta tentando un percorso di mediazione, se non di integrazione, tra ciò che il World Energy Council (WEC) considera strategie tipiche dei paesi in via di sviluppo e quelli già sviluppati.
Il mercato della distribuzione e dell’erogazione finale dell’energia nel Paese è ancora sottoposto al monopolio della TNB, società quotata ma controllata dal Khazanah Nasional Berhad, il fondo sovrano del Governo malese. La produzione di corrente elettrica, e tutte le attività connesse alla sua commercializzazione, sono infatti vincolate alla rete di vendita finale di un unico soggetto. Tuttavia, il Primo ministro Najib Razak difende il ruolo della TNB, evidenziando la sua funzione di equilibrio dei prezzi in un contesto sociale del Paese. Gas ed elettricità vengono erogati con una politica di sussidi e di sconti per larga parte della popolazione, con uno sforzo di investimento che pesa per l’equivalente di 3,6 miliardi di dollari all’anno sui conti pubblici.
Ma la crescita della domanda interna rende sempre più complessa la praticabilità di questa strategia. Nel gennaio 2014 si è registrato l’unico aumento dei prezzi per il consumatore finale dal 2011: la bolletta è rincarata del 15%, suscitando malumori in tutte le fasce della popolazione. Le stime del governo prospettano un incremento costante della domanda del 3% di anno in anno, con un percorso che condurrà la Malesia a raggiungere la media OCSE pro capite nel 2030. Nella stessa data si prevede, per i consumi, il sorpasso del settore commerciale su quello industriale (che ancora nel 1990 rappresentava quasi il 50% della richiesta complessiva). Il WEC ha tributato un alto riconoscimento a questo impegno per l’accesso all’energia, riconoscendo allo stato asiatico un posto nella graduatoria per energy equity che lo consegna al 21° posto globale (l’Italia si trova al 48°), e al 28° per il parametro della sicurezza (l’Italia è al 70°).
L’80% della produzione energetica malese dipende da centrali termiche a gas o a carbone. L’aumento della domanda espone il Paese alle dinamiche finanziarie dei rapporti con le nazioni esportatrici di materia prima, che sono tipiche delle aree più sviluppate del mondo. In questo caso il principale interlocutore è l’Indonesia, e ogni fluttuazione della regolamentazione imposta da Jakarta alla fornitura di carbone equivale ad un rischio non aggirabile per il funzionamento della filiera energetica. Per questa ragione negli ultimi anni è stata avviata una sperimentazione di trasformazione radicale nelle dinamiche produttive nelle aree di Sabah e Sarawak, caratterizzate da una popolazione numericamente ristretta e dispersa in piccole comunità.
Il Sarawak Corridor of Renewable Energy (“SCORE”) è un piano di rafforzamento massivo della capacità generativa, fondato sulla costruzione di sei centrali idroelettriche con una potenza complessiva di oltre 6mila MW. Il loro costo di realizzazione iniziale è rilevante, ma può essere compensato dalla longevità degli impianti (circa un secolo) e dall’economicità della gestione a regime, visto che non è richiesto nessun tipo di carburante.
Tra i progetti più significativi nella zona peninsulare c’è quello di Ulu Jelai, al cui sviluppo collaborano le maestranze dell’azienda italiana leader nel settore, Salini Impregilo. Il piano di lavori prevede uno sbarramento di 80 metri sul fiume Bertam, costruito con la tecnologia del calcestruzzo rullato compattato (RCC): una delle più innovative per la fabbricazione delle dighe. La produzione dell’energia sarà affidata ad una centrale in caverna, con due turbine Francis che saranno in grado di generare una potenza installata di 382 Megawatt. Il progetto richiede la predisposizione di 26 chilometri di tunnel idraulici, di cui 15 eseguiti tramite scavo meccanizzato.
L’orientamento verso le energie rinnovabili contribuirà a frenare la scalata della Malesia nella classifica delle nazioni per emissioni di CO2. Tra il 1990 e il 2011 – ultima rilevazione pubblicata dalla Banca Mondiale – il dato assoluto si è quasi quintuplicato, passando da 56mila tonnellate a 225mila, collocando il Paese al 25° posto nella graduatoria mondiale. Una lista a premio invertito, dove tutti vorrebbero apparire nelle caselle più in basso. Perciò, Ulu Jelai è un tassello della nuova strategia della Malesia per assicurare al suo sviluppo energetico un ranking di sostenibilità ecologica solido quanto quelli già conquistati dall’equità e dalla sicurezza.
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