Letteratura
Quell’impressione di notte e solitudine e fatalità
Nel 1902 Joseph Conrad (all’anagrafe Józef Teodor Konrad Korzeniowski, 1857-1924), polacco di nascita ma inglese di lingua e di elezione, pubblica in volume Youth and Two other Stories, in cui oltre a Youth e The End of the Tether confluisce Heart of Darkness (Cuore di tenebra), già uscito a puntate a partire dal 1899 sul Blackwood’s Magazine: una rivista ideologicamente piuttosto lontana da Conrad, che è critico nei confronti della cosiddetta missione civilizzatrice dei Paesi colonialisti in terra africana (come altrove).
Questa premessa è d’obbligo perché tutta la narrativa di Conrad è profondamente autobiografica, a maggior ragione quando a prendere le parti dell’autore è un alter ego come Charlie Marlow, che appare in tutti e tre i suddetti racconti pubblicati nel 1902. E in Cuore di tenebra alterità e identificazione coesistono innanzitutto nelle due voci narranti, ben diverse sul piano ideologico: quella di Marlow, appunto, e quella di un anonimo compagno di viaggio a bordo del medesimo battello. Questo espediente consente all’autore quella distanziazione ideologica impostagli da un nutrito manipolo di lettori – quelli orientati a destra, conservatori e imperialisti, del Blackwood’s Magazine – che ben difficilmente avrebbero mandato giù questa sorta di assoluzione con formula dubitativa di Walter Kurtz (e di tutto il mondo politico che egli rappresenta, seppur in veste di scheggia impazzita) se non in un assetto narrativo accortamente decentrato e depistante. In più, Cuore di tenebra racconta una storia con riferimenti precisi a persone vere e a fatti realmente accaduti: lo stesso autore dice che è
un’esperienza spinta un poco (e soltanto assai poco) oltre i reali eventi del caso.
È lo scrittore trinidadiano Vidiadhar Surajprasad Naipaul (Premio Nobel per la letteratura nel 2001) a suggerirci le parole-chiave che ci servono per orientarci, in generale, in tutta la narrativa di Conrad: per lui è
quell’impressione di notte e solitudine e fatalità,
da un lato; ma anche
la passione e l’abisso, la solitudine e la futilità e un mondo fatto di illusioni,
dall’altro.
Soffermandoci su Cuore di tenebra, è come se ci fosse una linea di demarcazione fra dentro e fuori, fra realtà esteriore e dimensione interiore, fra concretezza e mistero, fra certo e possibile, che costituisce il nucleo della dimensione metafisica dell’autore. È lo stesso Marlow a descrivere questo stato di cose quando, parlando di Kurtz ormai morto, dice:
È il suo attimo estremo che mi pare di aver personalmente vissuto. È vero, lui aveva fatto l’ultimo passo, aveva superato la sponda mentre a me era stato concesso di ritirare il piede esitante. E forse in questo sta tutta la differenza: forse tutta la saggezza e tutta la verità e tutta la sincerità sono compresse nell’inapprezzabile momento in cui superiamo la soglia dell’invisibile.
Ma molto prima di questo momento Marlow aveva detto anche:
… No, è impossibile; è impossibile comunicare la sensazione di vita di qualsiasi fase della propria esistenza – ciò che ne costituisce la verità, il significato – l’essenza sottile e penetrante. È impossibile. Noi viviamo, come sogniamo – soli…
Possiamo aggiungere che in Cuore di tenebra ricorrono costantemente figure e immagini del limite, del confine e della separazione, peraltro non sempre caratterizzate da nettezza e recisione ma non di rado sfumate, sfrangiate, evanescenti. Inoltre, come se non bastasse, spesso le parole usate per descrivere una realtà così sfuggente ed impalpabile si dimostrano insufficienti a restituirne la fisicità e la corporeità ed è come se ci girassero intorno, al punto che il lettore si sente colto sovente da un senso di frustrazione e di inanità; come se nella estenuante lentezza con cui il battello a vapore del protagonista si muove verso l’interno del Congo si disvelasse, con insopportabile progressione, l’impossibilità di venirne a capo sul piano conoscitivo, di capire cioè come stavano (o stanno) realmente le cose: dentro e fuori di noi, appunto.
Esemplare, in questo senso, la descrizione iniziale di Marlow da parte dell’anonimo narratore:
Era l’unico di noi che ancora seguisse il mare. Il peggio che si potesse dire di lui era che non rappresentava affatto la sua categoria. Era un uomo di mare, ma anche un vagabondo, mentre per la maggior parte gli uomini di mare conducono una vita, per così dire, sedentaria. Hanno una mentalità domestica e non abbandonano mai la loro casa: la nave, né la loro patria: il mare. […] I racconti degli uomini di mare hanno una semplicità immediata il cui significato sta in un guscio di noce. Marlow, però, non era il tipico uomo di mare (a parte la sua propensione a tessere racconti) e per lui il significato di un episodio non stava nell’interno come un gheriglio, ma dall’esterno avviluppava il racconto, e questo lo svelava soltanto come la luminescenza rivela la foschia, a somiglianza di quegli aloni indistinti che talvolta lo spettrale chiaro di luna rende visibili.
Cuore di tenebra è un racconto inquietante come pochi altri, che ci avvince e ci avviluppa come un’idra e che ci costringe a rimettere in discussione i fondamenti stessi del nostro vivere, lasciandoci comunque inappagati. Il viaggio fluviale nel Congo e il successivo ritorno a casa di Marlow non hanno niente di mitico né di ricompositivo: e giunti alla fine del racconto ci accorgiamo che il cuore di tenebra, in questo libro, non consiste in una ma in tante cose, alcune fuori di noi e altre ben asserragliate dentro di noi; ma tutte, parimenti, paurose; o, per dirla con Marlow, “troppo tenebrose”.
Scriveva Conrad:
Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?
Ma Cuore di tenebra, in definitiva, che cos’è? Un racconto psicologico che tenta di scandagliare l’inesprimibile? Un racconto sulla insufficienza e sulla vanità delle “parole che vengono meno”? A proposito di Marlow, lo studioso Daniele Borgogni scrive:
La reticenza diventa così la cifra fondamentale del suo narrare e la dislocazione del senso del suo discorso rivela il crollo delle illusioni personali, la destrutturazione dell’io, le false certezze su cui è costruita la civiltà, l’incomprensibilità del cuore umano. Così, mentre parla, Marlow è a sua volta parlato dall’ambiguità del linguaggio e più aumentano le informazioni più elusiva risulta la decodificazione: fatti e conoscenza sono ormai disgiunti, specchio della consunzione che il linguaggio ha raggiunto.
E ancora:
La splendida eloquenza di Kurtz (…) non porta al progresso ma alla sovrapposizione di verità e menzogna, utopia e catastrofe, riscoperta del sé profondo e perdita assoluta della propria personalità.
Mettendo mano a questo splendido, difficile e complesso racconto di Conrad, Good Mood ha realizzato sicuramente uno dei titoli più persuasivi ed emozionanti del suo catalogo di narrativa in audiolibro.
Non si tratta di una versione integrale, ma l’adattamento testuale operato da Paola Ergi è un esempio notevole di come si possa ridurre un testo con adesione e rispetto, senza togliergli nulla in forza evocativa e potenza rappresentativa; inoltre, confrontando l’originale con la sua riduzione, si possono persino trovare passi che hanno tratto ampio giovamento dall’apporto creativo di questa esperta sceneggiatrice.
L’ambientazione sonora di Dario Barollo cattura l’ascoltatore fin dai primi istanti, catapultandolo in una dimensione acustica che oscilla fra realismo e lirismo, in costante compenetrazione reciproca (anche sul piano psicologico) e con un’attenzione ai dettagli e ai particolari acustici significativi che non perde mai tensione. La scena iniziale ambientata sulla foce del Tamigi, presso Gravesend nel Kent, ne è un esempio luminoso. Si sta approssimando la sera e il battello, dove si trovano Marlow, l’anonimo narratore e altri compagni di viaggio, ha appena gettato l’ancora aspettando il riflusso della corrente; tutto è come sospeso nell’attesa e lo stesso clima ritornerà alla fine del racconto, con la riproposizione – alcune ore più tardi (tenuto conto del tempo materiale della narrazione di Marlow) – del medesimo paesaggio sonoro. Per unità di luogo e contiguità di tempo, Barollo sceglie la stessa musica sia per l’inizio che la fine del racconto – una musica in cui si trovano disseminati gabbiani che stridono, sirene che gemono, onde che sciabordano, campane che rintoccano e perfino gomene tese che sfregano cigolando contro il legno degli alberi – per sottolineare questo lento eppur sgravato approssimarsi alla partenza di tanti uomini “votati al mare”. E questa musica, innervata dalla presenza di un sitar, parte quasi senza impulso ritmico per poi individuare, con delicatezza, una percussività africana a fior di labbra: e in questa veste sonora si cela, probabilmente, il rapporto dialettico fra dominatori e sottomessi che è il fulcro di tutta la storia.
Più in là, il personaggio della fidanzata di Kurtz viene contrappuntato da una ricorsiva citazione dell’aria iniziale di Lucia Regnava nel silenzio alta la notte bruna… da Lucia di Lammermoor (1835) di Gaetano Donizetti e Salvatore Cammarano, dove la protagonista dell’opera teatrale rievoca il suo amore per Edgardo: una scelta musicale quanto mai indovinata, dato che alla follia e alla morte di Kurtz viene così a sovrapporsi l’imminente follia e morte di Lucia, anche se – a differenza di questa – nel racconto di Conrad la fidanzata sopravviverà alla morte di Kurtz.
Infine, ad un certo momento appare anche il celebre Adagietto dalla Quinta Sinfonia in do diesis minore (1901-1902) di Gustav Mahler, già usato come colonna sonora nel film Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti: a parte il fatto che la sua composizione risale praticamente agli stessi anni di Cuore di tenebra, è comunque curioso notare che Mahler scrisse questo pezzo riprendendo un suo lied basato su una poesia (Ich bin der Welt abhanden gekommen) di Friedrich Rückert, che sembra ritrarre Kurtz in maniera sorprendentemente fedele:
Sono perduto ormai al mondo, / col quale prima molto tempo avevo sprecato; / da tanto non ha più sentito parlare di me, / crederà forse che io sia morto! // E nemmeno me ne importa niente / se il mondo mi considera morto. / E non ho proprio nulla da obiettare / perché davvero sono morto al mondo. // Sono morto al tumulto del mondo / e in una zona tranquilla riposo! / Io vivo solo nel mio cielo, / nel mio amore, nel mio canto. [traduzione dal tedesco di Giacomo Cacciapaglia]
Ottime le caratterizzazioni di tutti gli interpreti vocali: Giancarlo De Angeli è una Voce narrante nel contempo solenne e compita, eppure solcata da roride increspature; Marco Troiano è un Marlow disincantato, disilluso, sincero e riflessivo, in continua ricerca di un punto cui sottomettersi; Alberto Mancioppi (già Dracula nell’omonimo audiolibro Good Mood tratto dal romanzo di Bram Stoker) riesce a restituire a Kurtz una umanità disancorata con un timbro roco, dolorosamente ripiegato su sé stesso; Ruggero Andreozzi interpreta il Giovane russo vestito da Arlecchino irretito da Kurtz fino alla più untuosa piaggeria, sfoderando le medesime risorse con cui, più di recente, ha dato mirabilmente voce all’Ufficiale di Nella colonia penale di Franz Kafka in un’altra realizzazione Good Mood; la Giovane fidanzata di Kurtz, infine, prende vita nella voce di Tania De Domenico con tutta l’autenticità che nasce dall’amore, dalla fedeltà e dalla devozione spinti oltre ogni limite, eppure tessuti con fili di seta.
Joseph Conrad, Cuore di tenebra
Interpreti: Marco Troiano (Marlow), Giancarlo De Angeli (Voce narrante), Alberto Mancioppi (Kurtz), Ruggero Andreozzi (Giovane russo), Tania De Domenico (Giovane fidanzata di Kurtz)
Audio editing e sound design: Dario Barollo
Adattamento e coordinamento di produzione: Paola Ergi
Good Mood, Padova 2011 – www.goodmood.it
Download file .mp3 (disponibile anche in eBook)
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