La vendetta di B.: noi pensiamo al puttaniere, lui si compra la cultura
L’uomo che mai lesse un libro («non avevo tempo», cit.) ora va all’attacco di tutti i libri d’Italia, impilando i suoi sopra quelli di Rcs e così arrivare al quaranta per cento del mercato e finalmente urlare a tutti gli Asor Rosa che schiumano rabbia: « La cultura c’est moi!». A seguire, almeno un centinaio di suicidi motivati, tra quelli che hanno sempre considerato il signor B. un autentico bru-bru, quelli che “mai scrivere per la Mondadori di Berlusconi”, quelli che “adesso il Pensiero Unico”, come se invece in Italia ce ne fossero così tanti, di pensieri. Insomma, si direbbe che siamo proprio alla conclusione di un ventennio incomparabile, il cui capitolo finale ci racconta di una vendetta dalla grana molto sottile, la più inimmaginabile delle vendette: escluso dalla porta, cacciato per somma indegnità dal suo Paese che lui aveva contribuito a rendere se stesso ancor più della Democrazia Cristiana, Silvio Berlusconi si (ri)compra l’anima buona di un’Italia malsana, lasciando la «bad» agli instancabili commentatori di Repubblica&Affini: voi continuate pure a “paginare” sulle Olgettine, roba buona per casalinghe inquiete, che nel frattempo io mi balocco con le profondità letterarie. Tiè.
In una condizione diversa, per età, consapevolezza politica, salute, interessi personali, un tempo il buon padre che è stato avrebbe gentilmente accompagnato alla porta la figliola Marina che gli proponeva un affare totalmente fuori di testa, come quello di comprare i libri Rcs: «E poi cosa ne facciamo?», le avrebbe risposto con raro senso delle cose. Oggi che invece accetta di correre il rischio di un poderoso errore industriale, come portarsi a casa a botte di centinaia di milioni una casa editrice che, da qui a non molto, gli avrebbe mosso la supplica di un aiuto caritatevole, il tema è decisamente altro dai soldi da spendere, dalla finanza, dalle strategie di mercato.
Questa piuttosto è la sua grande rivincita, Berlusconi costringe gli inserti culturali a occuparsi di lui, lui che per anni aveva stazionato nella cronacaccia, quella nera e poi quella cochon e che nei giorni in cui un pubblico ministero francese racconta che su Strauss Kahn non c’è trippa, viene ancora inseguito dalle gazzette nostrane che vogliono sapere come paga e quanto paga le sue ganze. E così, mentre con l’occhio sano indaghiamo la sua vita dal buco della serratura, l’amico B. ci spalanca la porta della nostra intimità letteraria. E in fondo, quest’ultimo, incredibile, passaggio altro non è che il compiersi definitivo di un contrappasso doloroso, iniziato con quella guerra di Segrate che portò il Cav. a sfregiare il tabernacolo degli illuminati, impadronendosi di Einaudi, vero gioiello di famiglia, autentico sinodo intellettuale.
Questa storia – proviamo a disegnare il futuro – non finirà bene. Non ve sono i presupposti industriali – non ci sarebbe fusione ma solo acquisizione per cui editorialmente è a zero carbonella – ma temiamo non ci siano neppure le condizioni sociali. Il Paese non è pronto a sopportare (di nuovo!) gli alti lai di tutti i Vito Mancuso della scrittura impegnata, né noi poveri lettori siamo disponibili a rimenare la minestra dell’antiberlusconismo di ritorno. Finirà come deve: se il Caimano si compra davvero tutta Rcs Libri rimettendoci un sacco di soldi, poi venderà tutto a qualche squalo del mondo garantendosi un’onesta pensione. «Perché io non ho mai letto un libro, non avevo tempo». (Cit.)
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