Governo
Valtur verso il concordato nonostante l’aiutino di Cassa depositi e prestiti
«Il Gruppo Cassa depositi e prestiti (CDP) prosegue la sua missione di promozione e supporto dello sviluppo del Paese […], approvando tre importanti operazioni per il sostegno del settore turistico». Così esordiva, il 5 giugno dell’anno scorso, la nota stampa di CDP, che annunciava l’acquisto di cinque strutture alberghiere, di cui tre dal gruppo Valtur, finito esattamente un anno prima sotto il controllo della Investindustrial di Andrea Bonomi. «Valtur potrà continuare il proprio impegno nella realizzazione di un polo alberghiero dedicato al turismo di vacanza e a quello congressuale, attraverso una piattaforma operativa tecnologicamente avanzata». La frase, tratta sempre dal comunicato del gruppo presieduto da Claudio Costamagna, era parsa eccessivamente ottimistica a chi come Gli Stati Generali aveva visionato i conti di Valtur. Che, proprio nelle scorse settimane, ha chiesto il ‘concordato prenotativo’, dopo aver chiuso, sotto la gestione Bonomi, due bilanci disastrosi, accumulando complessivamente circa 140 milioni di perdite.
Nel 2016, a fronte di un volume d’affari pari a 76,2 milioni (erano 72,6 nel 2015), i conti chiusi al 31 ottobre avevano evidenziato un disavanzo di 62,3 milioni, contro un utile di 1,6 milioni realizzato nel 2015. Una perdita, questa, definita nella relazione sulla gestione «gravemente negativa». E imputata anche a fattori straordinari, come i «ritardi nella commercializzazione e marketing della stagione estiva 2016», oltre ad «una serie di eventi emersi successivamente al cambio di management», verosimilmente sfuggiti ai radar di Bonomi e dei suoi consulenti al momento delle trattative. Come svalutazioni di attività per quasi 12 milioni, perdite su crediti per 2,5 milioni, accordi tansativi per circa 12 milioni: una catena di fatti, che aveva inciso pesantemente sui risultati di bilancio e che pareva potesse essere la chiave di lettura dell’inattesa cessione dei tre asset a CDP, acquistati da Bonomi pochi mesi prima da Prelios Sgr.
Il bilancio 2017, chiuso sempre ad ottobre, non ha fatto che confermare la crisi di Valtur: 86 milioni il volume di ricavi realizzato (più 7% rispetto all’anno precedente), circa 80 milioni le perdite accumulate, di cui 60 per accantonamenti e interventi straordinari. È in questo contesto, contabilmente assai compromesso, che è andata in scena l’operazione con CDP, definitivamente concretizzatasi a novembre dello scorso anno: tre villaggi – Marina di Ostuni (Brindisi), Marilleva (Trento) e Pila (Aosta) – venduti alla Cassa Depositi e Prestiti per circa 43,5 milioni, con l’impegno di mettere in campo gli investimenti necessari a risanare gli asset immobiliari pari a 32,9 milioni, di cui 26,4 a carico di CDP e i restanti 6,5 di Valtur.
«Un’operazione sostanzialmente neutra per i conti, in quanto le strutture erano state acquistate ad un prezzo analogo un anno prima», ha fatto sapere il fondo diretto da Bonomi. Il tema di particolare interesse, però, non è tanto la mancata plusvalenza per la Investindustrial del finanziere meneghino, ma la congruità del prezzo pagato da CDP per le tre strutture alberghiere in un momento di grande difficoltà per Valtur e soprattutto l’opportunità dell’iniziativa messa in campo dalla Cassa Depositi. Che sul piatto ha messo ben 43,5 milioni di euro, sul presupposto, come esigono le regole statutarie di CDP, che Valtur fosse in grado di finalizzare un progetto di sviluppo turistico, ora più che mai di improbabile realizzazione.
Sembra, per certi aspetti, un film andato in scena alcuni anni fa. Destinatario di un investimento, da parte di CDP, pari a circa 80 milioni di euro, era stata, a cavallo tra il 2014 e il 2015, la Rocco Forte Family Ltd, holding londinese del gruppo alberghiero presente in Italia con tre hotel molto lussuosi. E che al tempo, pur in presenza di un quadro economico-finanziario meno malconcio di quello di Valtur, era fortemente esposta verso una serie di istituti di credito. Anche in quel caso l’operazione, la prima effettuata da CDP nel perimetro dell’industria turistica attraverso l’acquisizione del 23% della società con sede a Londra, fu giustificata con generici richiami alla «disponibilità del gruppo alberghiero londinese a concentrarsi su un piano di sviluppo del mercato italiano». Piano di cui, però, e come abbiamo scritto più volte, si sono perse definitivamente le tracce. Con la conseguenza che l’unico risultato tangibile dell’investimento di CDP vi è stato sui conti di Rocco Forte: gli interessi sugli affidamenti bancari sono diminuiti di svariate milioni di sterline. Segno, questo, che l’iniezione di denaro fresco messa in campo dal gruppo guidato da Costamagna deve aver favorito almeno la rinegoziazione del debito con Bank of Scotland, BPM e Unicredit. Diverso l’esito dell’aiutino di CDP a Valtur, vista la spirale di crisi nella quale pare essere caduto l’ex colosso delle vacanze.
@albcrepaldi
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