Calcio

Un piccolo borghese tra gli hooligan del Celtic ad Amsterdam

21 Febbraio 2015

È  nei corpi di Polizia in fondo che si vede la saldezza, l’efficienza, l’organizzazione intera di uno Stato. Qui di seguito narro la mia esperienza di un viaggio in Olanda due anni fa durante l’invasione degli hooligan del Celtic di Glasgow. Nessuna comparazione né diretta o indiretta con quel che è successo a Roma in questi giorni allorché sono stati dei terribili  hooligan olandesi a far scempio della Città Eterna. Probabilmente questi del Feyenoord sono  più feroci degli scozzesi del Celtic. Ho visto solo in tivù la conferenza stampa del Questore di Roma, e poi ho letto questo pezzo esilarante di Flavia Perina su Facebook: “Titolo: I vuscer der questore. Testo: ‘Sti tifosi nun stavano manco tutti insieme, stavano tutti sparpagliati a macchia de’ leopardo. Nun c’erano i vùscer, come se dice… (Voce dal fondo: Vaucher). E comunque, noi ce occupamo de ordine pubblico, la mondezza e le fontane rotte so’ n’antra cosa. La conferenza stampa in diretta su Rep.it, un pezzo d’arte”.

Null’altro da aggiungere. Quella intervista è pura commedia all’italiana. Cioè roba intimamente nostra.

Segue il mio resoconto olandese.

Non appena sbarcati all’aeroporto di Schiphol una strana ed estenuante lentezza nel  deflusso di uscita dei passeggeri ci mette di malumore contro la nazione che ci accoglie. Incolonnati lungo un corridoio stretto e poi una scala altrettanto asfittica  di cui non si vede la fine, l’attesa ci snerva e ci  indispettisce. Poi giunti in cima, la sorpresa. È un controllo di polizia, ma sembra una retata. Dei poliziotti olandesi in divisa, dei marcantoni biondi armati di sfollagente, pistola in fondina, manette, attrezzi del mestiere che pendono dal cinturone, hanno prescelto il volo italiano da Malpensa per un controllo di routine. Il  corridoio stretto e le scale adesso trovano una spiegazione: eravamo  stati convogliati senza possibilità di fuga in bocca  verso i nostri controllori. Manifestazione di efficienza,  correttezza e fermezza. Un agente messo alla porta in cima alla scala smista i passeggeri agli altri agenti che in circolo uno alla volta riscontrano  la regolarità dei documenti (Schengen, libera circolazione!) . Quand’è il mio turno esibisco la carta di identità all’agente, e, sorpresa!, vedo apparire nelle sue mani da prestidigiatore una lente da orafo, quella cilindrica che si mette tra sopracciglia e zigomo. Con questa ispeziona accuratamente  la filigrana del documento allo scopo  di accertarne l’autenticità.

Il mio animo di piccolo borghese che ambisce alla legge e all’ordine gongola. Per me legge&ordine  in un Paese disordinato come l’Italia è un programma di estrema sinistra.  La mia tensione  verso l’ordine è infatti altrettanto intensa e pulsionale di quella dei No-Tutto  verso il disordine. Si tratta di “controllo del territorio”, di manifestazione di forza statale, l’unica che ha il monopolio della forza.  E poi, il signor Micawber che borbotta  in me, l’uomo medio acculturato, quell’ometto buffo  che declama   versi anche in fondo  alla sciagura, mi suggerisce il pensiero colto: “Eh già, siamo nella terra che le ha inventate le lenti, dopotutto. Il grande filosofo Spinoza, ebreo sefardita rifugiatosi nella tollerante Olanda del ‘600 (salvo  poi litigare con tutti: ebrei, cattolici, calvinisti)  si guadagnava da vivere  proprio molando le lenti”.  L’agente finisce il suo controllo del documento e asciutto me lo porge senza un sorriso: “Have a nice day” e fa plonk sul mio pensiero filosofico. Avanti il prossimo.

Giunti in centro città non facciamo che notare nugoli di poliziotti in ogni dove. Qui si esagera mi dico. Penso alla “Ronda notturna”di Rembrandt che so essere custodita al museo nazionale: faccio accostamenti eleganti e chic. Ma sono solo sciocchi. L’uomo medio che c’è in me ha un limite che l’uomo medio italiano “sportivo” non gli perdonerà facilmente: non conosce assolutamente il calendario di calcio delle coppe europee (e a dire il vero neanche il calendario del campionato italiano). E infatti poco dopo vedo torme  di hooligan a strisce bianche e verdi da veri galeotti del tifo: sono i supporter del Celtic, mi dicono, in trasferta per una partita di calcio contro l’Aiax di Amsterdam di cui io non sapevo assolutamente nulla. Li vedo ondeggiare, maschi e rudi, con le magliette leggerine nelle brume novembrine e urlare con il braccio teso all’unisono verso i poliziotti che, seri, li guatano sornioni a distanza. “Voi fate il vostro gioco che noi facciamo il nostro – sembrano dire – ma il primo che sgarra in gattabuia”. Si vedono agli angoli delle vie i “cellulari” con i lampeggianti accesi, pronti alla bisogna.

Siamo in un locale al chiuso dove consumiamo il nostro pasto di turisti. I tifosi sono in ogni dove, riempiono l’aria di urla e di cori: nel mio mosaicismo intellettuale che tende alla preservazione dell’ordine, ma che non è indifferente al ribellismo energico dei sanculotti a strisce bianche e verdi, un moto di simpatia è tutto per questi ragazzacci: dentro l’uomo d’ordine rumoreggia un anarchico represso evidentemente. Ad un certo punto innescano un coro dolcissimo, una ballata popolare, dove riscontro i ritmi e le melodie del far west che i loro avi colonizzarono, un batter di piedi cadenzato e coinvolgente di violini che stressano le corde in un ritmo saccadé coinvolgente. Verrebbe voglia di unirsi a loro e fare qualche boccaccia agli agenti. Mi scappa qualche V in segno di vittoria: sì sono con loro, con la loro rabbia mista ad allegria di scozzesi di origine irlandese, di minoranza cattolica e indipendentista. Se scoppiasse qualche tafferuglio mi unirei a loro, forse.

Eppure qualcosa non mi sfugge tra quelle che noi pomposamente chiamiamo le forze dell’ordine. Vi vedo qualche pancetta e qualche pelo grigio. Sì e proprio così: qui i poliziotti non si imboscano. Ricordo di aver visto venire nel mio ufficio che dirigevo coppie di giovanissimi agenti a spingere un foglietto di richieste di informazioni quando bastava una lettera o, nel mondo del silicio a loro del tutto sconosciuto, una semplice e-mail. Ma loro preferivano venire in coppia, da imboscati totali qual erano, mentre al servizio di OP (ordine pubblico) mandavano in ordine: le burbette, i non raccomandati dai politici, dai parenti potenti e talvolta dallo stesso sindacato di polizia se erano loro iscritti, i senza famiglia, i malacarne dei senza protezione a prendere le botte dai figli della borghesia ennuyée. Schema Pasolini, lo so, ma è ancora così.

Quando si viaggia si diventa antropologi improvvisati, chiamiamo “pittoresco” ciò che non è che il quotidiano degli altri e non si smette di confrontare un “noi “ e un “loro” con gli strumenti dell’osservazione partecipata. Alla fine della serata tutto si conclude in bellezza. I poliziotti nei vicoli coi lampeggianti ciondolano, gli hooligan dei Celtic spengono gli ultimi cori, per terra un tappeto di lattine, come nel centro di Roma due giorni fa,  che qualche ora dopo vengono rimosse dal servizio straordinario notturno di nettezza urbana dotato di piccoli automezzi  in grado di manovrare con scioltezza nei vicoli dell’Amsterdam vecchia nei pressi della stazione centrale.

Quando ci ritiriamo in albergo ad ora della notte inoltrata l’ordine pubblico regna sovrano. L’invasione c’è stata. Amsterdam intatta.

 

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