Governo

Turismo, a volte ritornano, Jannotti Pecci tenta endorsement a Lega e M5S

16 Maggio 2018

Stupefacente. È l’aggettivo che ha prevalso tra gli addetti ai lavori nel commentare l’attacco da parte di Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federterme, nei confronti del ministro uscente Dario Franceschini. Reo, secondo Pecci, di “non aver dato al turismo il ruolo strategico che gli compete” e di aver avuto “una visione ancillare del turismo, pronto a soggiacere alle politiche culturali”. Un attacco a testa bassa letto dall’ambiente come un tentativo con cui l’imprenditore campano punta ad accreditare sé ed il suo gruppo, a partire dal suo storico collega di cordata Massimo Ostillo, agli occhi della nuova maggioranza.

Jannotti Pecci, poi, se la prende con l’apparato del ministero. “Un approccio (quello ancillare di Franceschini, ndr) amplificato – scrive Pecci – da una burocrazia ministeriale incapace di affrontare con il giusto dinamismo un settore in espansione”. Di cui il dirigente di Fedeterme salva solo “l’intelligente lavoro svolto dal dirigente esterno responsabile del settore ministeriale (Francesco Palumbo, ndr), con un’originale ed attento metodo di programmazione partecipata”.

Pecci, nella sua bordata contro la “burocrazia cattiva” della Direzione generale turismo sembra non conoscere alcuni aspetti e passaggi fondamentali, forse omessi da chi gli ha tratteggiato il quadro. La Direzione del turismo, dove operano professionalità di  valore, è proprio a causa della scellerata gestione da parte del compagno di strada Palumbo che non è stata in grado di lavorare come avrebbe potuto: la Direzione, in questi anni, è stata infatti progressivamente svuotata ed esautorata da attività proprie a causa dei milionari appalti di attività a soggetti esterni: Invitalia ed Ales su tutti. Ed è pure noto il fatto che la stessa Direzione è stata privata di ingenti risorse – anche in questo caso svariati milioni di euro – dirottate su iniziative di dubbio valore strategico come la Scuola sul turismo.

L’esponente di Federterme parla inoltre di “responsabilità politiche incontrovertibili del Ministro uscente, anche guardando alle vicende dell’Enit […]” di cui sottolinea innumerevoli errori e constata il fatto che sia rimasto del tutto estraneo “all’attività di programmazione del turismo, dando ragione a chi ne richiede da anni la cancellazione, per l’assoluta inconcludenza ed inefficienza dimostrata”. Anche in questo caso, Pecci pare non sapere come nell’attuale deriva di Enit ci siano responsabilità pesanti da parte del Mibact – e dunque di Palumbo – , per il fatto precipuo che la Direzione generale Turismo avrebbe dovuto svolgere fino in fondo la propria attività di vigilanza sull’ente di promozione del turismo.

Appare davvero strano, insomma, che Pecci ignori palesi pecche della gestione della Direzione targata Francesco Palumbo. Uomo con simpatie centriste, già dirigente cultura alla Regione Puglia cooptato da Massimo Ostillo al tempo in cui era Assessore, rottamato con l’elezione di Michele Emiliano, poi parcheggiato dalla politica, per un mesetto, a Roma Capitale, Palumbo – lo ricordiamo – arriva ai piani alti del Mibact grazie alla benedizione della potente Michela De Biase, seconda moglie di Dario Franceschini. Palumbo è dunque espressione del Partito Democratico. Che però, sembra l’abbia ormai abbandonato al proprio destino. Con la conseguenza che il dirigente generale busserebbe da settimane alla porta della Lega ed a quella dei cinquestelle, nel disperato tentativo di saltare sul carro dei vincitori alle elezioni del 4 marzo scorso e di salvare così il proprio contratto da oltre 150mila euro lordi all’anno, retribuzione di risultato esclusa.

Ma torniamo a Jannotti Pecci, imprenditore che può vantare un cospicuo elenco di aziende nel cui Cda ha sieduto e siede. Ebbene, il nome di Jannotti Pecci, che proprio recentemente è stato escluso dal rinnovo del Cda di Bper,  sarà per sempre legato al caso Promuovitalia, la società in house del Mibact messa definitivamente in liquidazione con il decreto Art Bonus varato da Dario Franceschini nel 2014, ma entrata in crisi e travolta pure da scandali sull’uso improprio delle risorse europee destinate alla formazione l’anno precedente. Ossia nel periodo in cui Costanzo Jannotti Pecci ne era presidente, affiancato come vice dall’eterno amico Massimo Ostillo, già parlamentare della Margherita poi transitato alla corte di Mastella come portavoce ed ex assessore regionale in Puglia, poi impallinato da Vendola.

Il caos in Promuovitalia, come abbiamo scritto più volte in passato, esplode nella fase in cui la controllata del Mibact è teatro di una feroce battaglia interna tra un pezzo del management ed una parte del Cda. Siamo nel 2013, è entrata in vigore la legge 135/2012 sulla spending review e anche Promuovitalia deve procedere alla nomina di un amministratore unico, ma soprattutto procedere ad una riorganizzazione del perimetro di azione della società. In questo contesto si formano, dentro la società, due fronti con opposte visioni sul futuro della società: da una parte Costanzo Jannotti Pecci, il suo vice Massimo Ostillio ed un gruppo di dirigenti e funzionari. Dall’altra parte il socio Enit, i due componenti dell’ultimo CdA cooptati da Mibact e Mise, oltre ad un pezzo del management e soprattutto al direttore generale Francesco Montera. Che, al culmine dello scontro, viene licenziato il 15 ottobre 2013 per giusta causa. Montera lascia una società in cui lavoravano circa 130 addetti, con circa 10 milioni di liquidità ed una trentina di milioni di commesse. La situazione precipita ben presto e l’allarme, ignorato dall’allora ministro Massimo Bray, è lanciato attraverso una nota riservata al capo di Gabinetto da parte di Nicola Favia, rappresentate del ministero nel CdA di Promuovitalia fino a marzo del 2014. Che parla di una «società balcanizzata con disastrosi effetti sulla sua operatività, di fatto ormai paralizzata» , di «clima interno alla società di terrore», di «ripercussioni negative su tutte le commesse in essere». Poi Favia rivolge un’accusa pesante a Costanzo Jannotti Pecci: «il presidente reputa di usare il CdA come mero strumento per ratificare ora per allora il suo operato, senza alcuna possibilità di controllo».

Dario Franceschini, giunto al Mibact nel 2014 con la “staffetta” tra Enrico Letta e Matteo Renzi, prende atto che non c’è nulla da fare per salvare dal disastro Promuovitalia, che viene così messa in liquidazione: al caos generatosi non si può più porre rimedio. Da quel momento, per Promuovitalia è tutta una discesa verso gli inferi. Dalla liquidazione si passa alla richiesta di concordato preventivo ed il 30 giugno del 2015 il Tribunale di Roma emette la sentenza di fallimento. Sulla quale, però, pende ancora, una decisione definitiva da parte delle giustizia in merito al ricorso che il Mise ha fatto contro il fallimento stessi. Con la clamorosa prospettiva, qualora il ricorso del Mise fosse accolto dalla Cassazione, di riaprire il caso. Quello che appare certo, è invece il fatto che per Jannotti Pecci le porte girevoli della politica difficilmente di riapriranno. Basta guardare cosa ha detto di lui nel febbraio scorso Gian Marco Centinaio, in pole per la poltrona di ministro del Turismo: “è tempo che a occuparsi di turismo siano persone nuove, persone che non abbiano ricoperto in passato alcun incarico nei consigli di amministrazione dei vari enti o agenzie che avrebbero dovuto presidiare allo sviluppo di questo settore e che, soprattutto, non lo abbiano fatto, come Costanzo Jannotti Pecci, mentre erano anche, e ancora oggi sono, proprietari e/o gestori di aziende che in quel settore costruivano e costruiscono il proprio business”.

@albcrepaldi

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