Turismo

Tante parole per non trovare un futuro per il turismo (e l’Italia)

21 Novembre 2014

Siamo scesi al 18° posto, nel Country Brand Index 2014-2015, il rapporto mondiale sui brand-Paese realizzato da FutureBrand. A pochi mesi dall’avvio di Expo 2015 la classifica dell’Italia registra un calo ulteriore,  con tre posizioni in meno rispetto all’edizione precedente e l’uscita dell’Italia dalla Top 10, evidenziando una debolezza come sistema-paese che denuncia una serie di problemi. Si dirà che gli indici sintetici non danno mai l’immagine esatta di un’economia, che troppi fattori vengono misurati in modo complessivo e non si considerano altri elementi ma, il Country Brand Index, come altri indicatori, definisce un set di variabili che, nel loro insieme, identificano i punti di forza e i punti di  debolezza del sistema Paese nella sua interezza.

Interessante, per capire la tendenza del turismo, inteso come settore industriale, capace di creare reddito e occupazione, leggere, a questo proposito, l’analisi che Roberta Milano, compie in relazione al CBI: “l’immagine dell’Italia che il CBI ci rimanda è quella di un Paese con forti e molteplici attrattive culturali, artistiche, naturali, gastronomiche, ma con poca attenzione all’ambiente, infrastrutture scarse, poco appealing in termini di sicurezza, salute, istruzione, tolleranza, libertà politica e standard di vita. Un Paese poco appetibile dagli investitori e non particolarmente smart per quanto riguarda la tecnologia evoluta.”

Quindi il punto da chiarire è proprio questo: senza elementi che rendono competitiva una nazione, sotto il profilo del mercato turistico internazionale, c’è ben poco da fare. Ambiente, qualità delle reti di trasporto, sistemi urbani e centri storici sono, in effetti, altrettanti punti-chiave sui quali si gioca una buona parte della capacità di attrarre turismo, generando interesse e offrendo una molteplicità di experience sulle quali creare offerte, diversificate e destagionalizzate.

Manca, e non da poco tempo, l’idea di cosa sia il turismo e di dove sta andando: la competizione con le altre destinazioni non può essere basata solo sul patrimonio esistente, fatto di un’immagine storica dove ricchezza culturale, paesaggio e ambiente sono lo sfondo sul quale l’offerta turistica è rimasta pressoché immutata. Manca la capacità di investire, con coraggio e lungimiranza, nell’innovazione dei sistemi e sulla qualità complessiva dell’Italia: il discorso in Italia c’è sempre il sole e si mangia bene, circondati da monumenti e bellezze naturali non sta più in piedi se, al tempo stesso, la reputazione soffre di strutture ricettive non adeguate, di centri storici abbandonati, parchi naturali poco visibili, reti di trasporto inefficienti. Tanti slogan e tanti luoghi comuni che, da anni, sono stati coniati per definire il mercato del turismo italiano: un giacimento, un tesoro di bellezza, storia, cultura, il posto più bello al Mondo, … .

Eppure va considerato quanto, in realtà, non si sia fatto per far diventare il turismo un vero e proprio settore industriale, capace di produrre reddito e occupazione: il clamore dei crolli di Pompei è ancora recente per non poter analizzare l’assenza di una politica, di una strategia nazionale per promuovere e far crescere un settore economico fondamentale. Non si riesce a comprendere che il turismo può essere una leva di sviluppo se il sistema territoriale funziona, se vi sono le infrastrutture adeguate, se c’è formazione per gli operatori, se il patrimonio ambientale, storico, culturale sono tutelati e gestiti, se il paesaggio e la qualità rurale sono salvaguardati. Tutto è lasciato al caso: il sistema dei trasporti è un rebus ed è praticamente impossibile muoversi facendo affidamento ai soli mezzi di trasporto collettivi. Il treno riserva gioie e dolori con l’alta velocità che serve soltanto una parte dell’Italia e il resto abbandonato tra treni lenti, sporchi e non connessi. Che dire dello stato di conservazione dell’ambiente e della biodiversità? La spending review ha comportato il taglio, quasi totale, dei fondi destinati alla gestione delle aree naturali protette, considerate un peso inutile, un elemento ininfluente nel promuovere l’immagine di qualità del territorio.

È come se si fosse rimasti ostaggio dell’idea che “con la cultura non si mangia”: il turismo continua  a essere promosso come qualcosa di statico, rallentando l’utilizzo delle nuove tecnologie e la capacità di creare interesse attraverso le community che ruotano attorno ai fenomeni turistici. Instagram e le community di igers sono visti come degli appassionati che fanno foto con gli smartphone per condividerli con gli amici, senza considerare il potenziale impatto che un’immagine e un hastag possono avere in termini di contatto con il mercato. Contest, experience tour, possono essere altrettanti strumenti per intervenire su un settore che si basa, essenzialmente, sull’emozione che un luogo può trasmettere ma, su quello, occorre saper agire anche in termini di efficienza e qualità.

Si continua a investire troppo in fiere e depliant e poco nell’azione di promozione di un prodotto turistico che non può restare sugli scaffali degli stand: il turismo cambia e con esso il modo di far conoscere le destinazioni e comunicarne la forza attrattiva. Eppure le esperienze, positive e di successo, attorno a queste modalità capaci di scardinare un meccanismo diventato obsoleto in poco tempo ci sono: alcune regioni, parchi e città hanno intuito che il cambiamento in atto ha necessità di risposte che non sono più la semplice pagina web tradotta in inglese.

Questo dovrebbe essere un settore strategico, dove al taglio delle risorse dovrebbe corrispondere, viceversa, la capacità di investire, considerando la forza di creare opportunità che vanno a vantaggio dell’economia nazionale: questo è l’unico punto da tenere ben fermo, per comprendere la differenza tra costi e investimenti. Il resto sono parole che oggi non sono più sufficienti a far muovere il turismo.  

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