Governo
Promuovi Italia: storia di un disastro, anche politico, annunciato
Sono trascorsi tre anni dal varo del decreto Art Bonus, con cui il ministro Dario Franceschini si proponeva di rivoluzionare il settore del turismo. L’attesa rivoluzione non c’è stata. Mentre si è rivelata un disastro la riorganizzazione degli enti deputati a declinare le politiche nazionali sul settore. Enit, trasformato in ente pubblico economico dopo un lungo commissariamento, è infatti allo sbando e per questo oggetto di continue interrogazioni parlamentari. E su Promuovi Italia, pilotata verso il fallimento due anni fa, da mesi si consuma un surreale conflitto tra il Ministero della cultura e dei turismo (Mibact) e quello dello sviluppo economico (Mise). Oggetto del contendere: l’annullamento della sentenza di fallimento e il recupero di un credito milionario che il Mise vantava nei confronti della società controllata da Enit, prima che venisse messa in liquidazione dal Mibact.
La Suprema Corte, proprio nelle prossime settimane, dovrebbe pronunciarsi sul secondo ricorso che il Ministero retto da Carlo Calenda ha presentato a novembre dell’anno scorso contro la sentenza della Corte d’Appello, che ha ritenuto legittimo il pronunciamento del Tribunale di Roma con cui Promuovi Italia venne dichiarata fallita.
LO SCONTRO GIUDIZIARIO TRA MISE E MIBACT
Lo scontro giudiziario tra i due Ministeri ruota, in particolare, attorno alla qualifica giuridica di Promuovi Italia: secondo il Mise andrebbe ascritta al novero delle società in house, con la conseguenza di rendere inapplicabile la legge fallimentaree. La natura di società in house, stando alle argomentazioni sviluppate nei ricorsi del Mise, sarebbe confermata dal fatto che Promuovi Italia non ha mai ricevuto commesse da soggetti privati, «avendo operato», si legge negli atti predisposti dall’Avvocatura dello Stato per conto del Mise, «esclusivamente con soggetti pubblici e, in maniera assolutamente preponderante, con il Dipartimento per la Competitività e lo Sviluppo del Turismo, oggi Direzione Generale Turismo del Ministero dei Beni Culturali e il turismo, e il Ministero delle Attività Produttive, oggi Ministero dello sviluppo economico».
Sono sempre gli atti di opposizione al fallimento a spiegare come «la circostanza che la società non abbia operato con un’unica amministrazione centrale o che non lo abbia fatto con il suo socio Enit, non risulta rilevante per escludere il requisito funzionale del rapporto in house», perché, «alla luce della documentazione esaminata, appare evidente come l’intera attività di Promuovi Italia si sia tradotta nell’espletamento delle commesse di cui è stata di volta in volta incaricata dall’Amministrazione di riferimento».
Ma, al di là dei profili giuridici della disputa tra Mise e Mibact, in ballo ci sono questioni di natura economica: «il Ministero dello Sviluppo risulta titolare di un ingente credito […] che è stato calcolato – seppur in via di necessaria approssimazione – in complessivi 13.969.747 euro» si legge nei ricorsi del Mise. La maggior dei crediti, come è noto, riguarda ‘Lavoro e Sviluppo’, il progetto gestito per anni da un dirigente di Promuovitalia, finito nell’occhio del ciclone perché affittava gli appartamenti della madre, per giunta benché già deceduta, ai tirocinanti coinvolti nel progetto stesso.
L’INIZIO DELLA FINE DI PROMUOVITALIA
Il caso esplode nella fase in cui Promuovi Italia è teatro di una feroce battaglia interna tra un pezzo del management ed una parte del Cda. Siamo nel 2013, è entrata in vigore la legge 135/2012 sulla spending review e anche Promuovi Italia deve procedere alla nomina di un amministratore unico, ma soprattutto procedere ad una riorganizzazione del perimetro di azione della società. In questo contesto si formano, dentro Promuovi Italia, due fronti con opposte visioni sul futuro della società: da una parte Costanzo Jannotti Pecci – presidente del Cda in quota Confindustria – , il suo vice Massimo Ostillio – già parlamentare della Margherita poi transitato alla corte di Mastella ed ex assessore regionale in Puglia, poi impallinato da Vendola – ed un gruppo di dirigenti e funzionari. Dall’altra parte il socio Enit, i due componenti dell’ultimo CdA cooptati da Mibact e Mise, oltre ad un pezzo del management e soprattutto al direttore generale Francesco Montera. Che, al culmine dello scontro, viene licenziato il 15 ottobre 2013 per giusta causa, accusato di aver mandato un appunto riservato al Ministero – allora retto da Massino Bray – col quale denunciava il progressivo degrado dell’azienda.
L’ALLARME DEL RAPPRESENTANTE DEL MIBACT NEL CDA
È illuminante, rispetto al clima aziendale, nonché al progressivo calo di operatività, il contenuto di un’altra nota riservata al capo di gabinetto del Mibact da parte di Nicola Favia. Quest’ultimo è il rappresentate del ministero nel CdA di Promuovitalia fino a marzo del 2014, momento in cui Favia rimette il proprio mandato per impossibilità di esercitarlo. Ebbene nella missiva il rappresentante del Mibact parla di una «società balcanizzata con disastrosi effetti sulla sua operatività, di fatto ormai paralizzata» , di «clima interno alla società di terrore», di «ripercussioni negative su tutte le commesse in essere». Poi Favia rivolge un’accusa pesante a Costanzo Jannotti Pecci: «il presidente reputa di usare il CdA come mero strumento per ratificare ora per allora il suo operato, senza alcuna possibilità di controllo».
IL DIRIGENTE CHE AFFITTAVA LE CASE DELLA MADRE AI TIROCINANTI
La lettura della documentazione riservata offre poi ulteriori elementi, utili ad inquadrare il caos dentro Promuovi Italia. Favia denuncia la «mancata formalizzazione del procedimento disciplinare verso un dirigente […] che ha procurato danno alla società nell’assegnazione a se stesso di alcuni appalti».
La vicenda a cui fa riferimento Favia è quella che coinvolge Antonino Bussandri, dirigente accusato dall’ex dg di Promuovi Italia di aver «autorizzato e proposto in più riprese la formalizzazione di contratti di affitto sottoscritti dalla Società con la sig.ra Cristina Moschini (madre di Bussandri, ndr), a partire dal 4 luglio 2006 per un valore di oltre 300mila euro nell’ambito di programmi formativi affidati alla sua responsabilità». Montera, l’11 luglio 2013, proporrà il licenziamento di Bussandri, ma Pecci e Ostillio salveranno il dirigente che tornerà tranquillamente ad occuparsi dei medesimi progetti formativi. Progetti gestiti da Promuovi Italia attraverso decine di milioni di euro messi a disposizione dall’Unione Europea per formare figure utili al rilancio del turismo. Ma in realtà, come ha raccontato Repubblica in una inchiesta, anche per formazione fantasma e falsi tirocini a ultra sessantenni.
LE DENUNCE ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA
A precedenti commesse ed a fatti relativi alla gestione aziendale si riferisce poi una lettera di Favia dell’8 novembre 2013. «I fatti esposti», scrive l’8 novembre 2013 al ministro Bray, «sono peraltro di tale gravità e con possibile rilevanza penale da consigliare l’invio della relazione alla Procura della Repubblica». Passano poco meno di tre mesi ed un ampio fascicolo, che contiene anche la relazione di Favia, viene inviato alla Procura della Repubblica ed alla Procura della Corte dei Conti. Le due missive, che evidenziano come «sembrerebbero emergere aspetti che potrebbero formare oggetti dell’attività di competenza di codesta Procura», sono siglate da Roberto Rocca, dirigente generale del settore turismo presso il Mibact, messo dalla gestione Franceschini in un angolo.
A Rocca subentra, nell’autunno del 2015, Francesco Palumbo, uomo con simpatie centriste, già dirigente alla Regione Puglia, rottamato con l’elezione di Michele Emiliano, poi parcheggiato per un mesetto a Roma Capitale, prima di approdare alla direzione generale Turismo del Ministero dei Beni Cuturali.
DECRETO ART BONUS METTE IN LIQUIDAZIONE PROMUOVITALIA
Palumbo arriva al Mibact a poche settimane dall’entrata in vigore del Decreto Art Bonus, che prevede la messa in liquidazione di Promuovi Italia. E dunque la presa d’atto che al caos generatosi non si può più porre rimedio. Il percorso di liquidazione viene affidato alle cure di Antonio Venturini, commercialista ravennate targato Pd, voluto dal ministro Dario Franceschini. Venturini ha sulle sue spalle una missione impossibile: riordinare e blindare i conti aziendali, che sono ormai fuori controllo.
Eppure la società, fino a pochi mesi prima del varo del decreto Art Bonus navigava in buone acque: aveva liquidità per circa 10 milioni di euro, un portafoglio commesse pari a 25 milioni e crediti nei confronti di Mise e Mibact per poco più di 6 milioni di euro.
Al liquidatore di Promuovi Italia, come era prevedibile, non riesce il compito di ricostruire un quadro di commesse, trasferimenti di denaro e rendiconti utili a fare definitivamente luce sui conti e dunque a dare una chiave di lettura univoca della disfatta finanziaria. Tant’è che i numeri ufficiali si fermano al 2012.
Il 20 maggio 2015 la società, in uno scarno comunicato sul proprio sito web, annuncia di aver chiesto ai giudici un concordato preventivo. Scelta, questa, motivata dal fatto che Promuovi Italia ormai «versa in stato di insolvenza […] con un patrimonio netto negativo di euro 19.130.353». Dipendenti e fornitori, che attendono di essere pagati da mesi, vengono così scoraggiati dall’adire le vie legali per ottenere le proprie spettanze. Il 30 giugno il Tribunale di Roma emette la sentenza di fallimento. Sulla quale, nelle prossime settimane, si pronuncerà definitivamente la Corte di Cassazione. Con la clamorosa prospettiva, qualora il ricorso del Mise fosse accolto, di riaprire il caso. Spianando forse la strada ad una operazione verità sulle ragioni autentiche per le quali il Mibact di Dario Franceschini ha deciso di mettere in liquidazione Promuovi Italia.
@albcrepaldi
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