Turismo
Open to Parapiglia, turismo al ribasso
Sembra che il turismo, nelle mani di Daniela Santanchè, la pitonessa per tutte le stagioni, impegnata a difendersi in tribunale per maltolti a danno dello Stato di cui è ministra (che magnifico corto circuito!), stia regredendo, almeno in Italia. Nonostante gli entusiasmi di tutti i rappresentanti di governo che parlano solo perché hanno la bocca e vogliano far apparire la realtà come vogliono loro. Quando intervistati, tutti, anche i portavoce dei giornali di partito, non riescono a nascondere o camuffare il rumore delle unghie che stridono sugli specchi.
Al governo Meloni piace tanto l’autoesaltazione per qualsiasi cosa decida, dalle inutili prigioni-ostello in Albania all’impossibile autonomia differenziata, dalle discutibili iniziative culturali dell’inquieto ministero della cultura alla narrazione di un turismo inossidabile, e così via, in una trottola che si va avvitando sempre più su sé stessa. Ed è inevitabile. Ma quanto siamo belli, ma quanto siamo bravi, ma quanto ci sentiranno in Europa, ma quanto eccetera, mentire è più gratificante e fa illudere la gente che tutto vada bene, Anything Goes.
Cosa ci si può aspettare da una ministra che ogni cosa che tocca la fa fallire, con o senza il falso Dimitri, come sta venendo fuori dalle inchieste? Ma la responsabilità è, soprattutto, di chi in quel posto ce l’ha infilata ovverossia la biondina sempre ingrugnata. Ci credo che sta sempre sulla difensiva, la mischina, non ne fa una giusta, sa che, inevitabilmente, le contestazioni arriveranno, è già preparata alla sua inettitudine.
Ma a lei piace mostrare un’altra storia, ossia che in Europa è rispettata, forse perché doveva farsi pregare per dare i suoi voti a von der Leyen e per avere Fitto in rappresentanza del Bel Paese (che poi, alla fine, perde la direzione generale per le riforme, lasciandola sotto il controllo diretto di Ursula, ossia di Germania e Francia, Italia kaputt, altro che contare qualcosa). Così come le piace mostrare che lei guarda al futuro, stringendo un legame confidenziale con Elon Musk che, non conoscendo alcunché delle legislazioni in vigore in Italia, si permette di dire come dovrebbero comportarsi i giudici italiani. E lei davanti a tutto questo sceglie di tacere per non alimentare le già ustionanti polemiche.
La pitonessa, amica del cuore della biondina, è proprio una schiappa. Come ho già fatto notare più volte, per occuparsi della gestione del turismo in Italia non basta avere un’esperienza di spiaggia in Versilia e fare la bella Twiga pensando che il turismo di riduca a quello. E infatti Open to Meraviglia si è trasformato in Open to Parapiglia, la più grande confusione di tutto, dove per seguire le sirene scandalizzate dal sovraturismo si penalizzano i b&b che suppliscono a una domanda di alloggi turistici che i grandi alberghi non riescono a coprire.
Ma poi, per escludere quali turisti? Soprattutto quelli interni, che seppure con difficoltà, magari le vacanze preferiscono passarle in un b&b, meno caro di un albergo a tre stelle, perché magari nell’angolo cottura possono prepararsi qualcosa da mangiare e risparmiare sui ristoranti, peraltro sempre pieni, soprattutto nelle città d’arte. E soprattutto se si muovono colla famiglia. Ma una calmierata ai prezzi? Ne vogliamo parlare?
Chi sono gli esclusi, quest’anno, nelle presenze turistiche? Di sicuro i russi e gli ucraini che hanno qualche problemino ad andare in vacanza ma che portavano tanti soldini nelle casse degli operatori turistici e, soprattutto, negli outlet, non-luoghi più finti delle banconote del Monopoli. E poi, gli italiani, la più grande fetta di esclusi.
Come dicevo nel mio articolo precedente, il fruitore primo di un paese come il nostro dovrebbe essere il cittadino italiano. Ma al turista interno vengono date pedate sui denti, perché ha un difetto terribile: è povero, non spende. E, come direbbe Briatore, i ricchi sono meglio perché sono ricchi. Infatti i ricchi vanno da lui in Costa Smeralda o al Twiga, posti chic, posti di classe, Prima! Spitze! Super!
Le spiagge costano troppo, i ristoranti urbani sono quasi tutti di superlusso e inarrivabili, le città d’arte mettono il biglietto d’ingresso, gli stipendi sono quelli che sono, tra i più bassi d’Europa e si fa prima a mettere su un documentario di National Geographic facendo finta di essere stati in quei posti magnifici. Vacanze a casa senza neanche la tassa di soggiorno. Tanto, oggi, colle app telefoniche si riesce a fotografarsi con sfondi di luoghi esotici e favolosi senza esserci mai andati e far credere a chi ci vuole abboccare di aver girato il mondo sul tappeto volante di Aladino.
Open to Meraviglia, seh, come no.
Per essere trainante come industria, il turismo, in Italia, dovrebbe essere ben altro perché, se è vero che Venezia, Roma, Firenze scoppiano di turisti perché si è puntato sul pittoresco, sulla gastronomia e sul selfie col David ignudo (quello finto della piazza non quello vero che sta in Accademia) che, obiettivamente, è un bel vedere, o col gladiatore sotto il Colosseo, che anche lui può essere un bel vedere, magari per le turiste col mito del maschio italiano, grande e duraturo cliché, è pur vero che molte città minori della Toscana, solo per fare un esempio della regione dove c’è l’assalto sovraturistico a Firenze, sono praticamente deserte e gli unici che vi si muovono sono i locali che magari un giorno vanno a mangiarsi i tortelli al ragù di cinghiale al “Cinghiale Viola” in campagna.
Il fenomeno dell’overturismo è, ovunque, il capro espiatorio di un disagio generalizzato che non si sa dove indirizzare. Se può essere vero per alcuni centri, in alcune situazioni è perché si è permesso tutto eccessivamente e senza controlli, vuoi per superficialità, vuoi per ragioni clientelari, vuoi per mala fede, vuoi perché forse qualcuno s’immaginava che, svuotando i centri storici degli abitanti e rimpiazzandoli coi turisti, il problema dell’assenza non sarebbe più stato tale e si sarebbe risolto. Senza considerare che tutte le imprese artigiane che vivevano del quotidiano, in un centro storico realmente vissuto, sparendo gli abitanti sono sparite anche loro, mentre i ciclopici non-luoghi dei centri commerciali fagocitavano ogni attività, desertificando, peraltro, il territorio col cemento. Peraltro spesso costruiti in zone alluvionabili perché costavano di meno.
Tornare indietro è assai difficile e tappare le falle con pezze che sono peggiori del buco, come vorrebbero fare a Barcellona o Amsterdam, subito seguite da città italiane, dove dei cittadini fin troppo zelanti (o addirittura i vigli urbani, come a Roma) rompono le piccole casseforti esterne degli appartamenti vacanza o dei b&b, dove stanno le chiavi, serve solo a nascondere la famosa polvere sotto il tappeto.
Nella famelica corsa al profitto, incrementata dalle amministrazioni comunali, che non esitano un solo momento a dare concessioni a pagamento per i famosi “dehor” di bar e trattorie, spesso scritto senza “s” finale e “é” in documenti ufficiali, adesso le stesse amministrazioni devono fare retromarcia, probabilmente per ragioni elettorali, per non scontentare dei possibili elettori alle prossime regionali. E questo vale a Barcellona come a Firenze, ad Amsterdam come a Roma. Manca una visione dell’organizzazione del viaggio e del soggiorno, una vera cultura dell’accoglienza, regolamentata.
In Spagna luoghi come Marina d’Or, vicino Oropesa, denominata da molti dissenzienti Marinaorror, sono urbanizzazioni ecomostruose destinate a non riempirsi mai, perché c’è stata troppa offerta immobiliare. Costavano poco, ricordo, ma valevano anche poco perché spesso costruite con materiali scadenti, però la gente investiva nel mattone nuovo e credeva poi di affittarle ai turisti come case vacanze. I risparmi di una vita spesi male se non buttati via, perché, quando scoppiò in Spagna la crisi economica, la gente non poté pagare più i mutui che aveva acceso e le banche si ritrovarono a fare le veci delle agenzie immobiliari (che chiudevano una dopo l’altra, dopo l’esplosione degli anni prcedenti), avendo requisito le case non pagate e ipotecate, facendo abbassare il costo degli immobili. Urbanizzazioni che, peraltro, erano spesso incomplete, a volte mancavano di servizi essenziali, come le fognature, i trasporti, eccetera. Le cattedrali nel deserto. Basta farsi un giro su idealista per rendersi conto di quante case siano in vendita da quelle parti e molte hanno anche ribassato i prezzi.
La vacanza, soprattutto nelle città d’arte, è vista in funzione del selfie, nulla più, che sia davanti al David finto o davanti al ristorante colla paella più buona di Spagna, alla tomba di Padre Pio o quella di altri personaggi mediatici.
Inoltre, nel nostro Paese, il turismo dei pellegrini si assomma a quello più laico e congestiona città come Padova, Assisi, ma soprattutto Roma, che regolarmente festeggia i suoi giubilei, con porte sante che si aprono e si richiudono, indulgenze collettive, il ciao ciao del papa dalla sua finestrella, i santuari sparpagliati ovunque che sovrappongono riti sacri a gadget di madonne fosforescenti in forma di bottigliette per l’acqua benedetta, taumaturgica.
Immaginiamo cosa succederà, per il prossimo giubileo, a Roma, città già provata da multiple burocrazie, quelle della Repubblica, della Regione, della Provincia e del Comune, delle ambasciate, essendo una capitale, che si raddoppiano perché c’è anche la Città del Vaticano, enclave anacronistica nel centro della città.
E che si fa? Si ostacolano gli affitti brevi. Cioè: non solo lotti contro chi accoglie queste orde viaggianti e ha investito, magari, per evitare che i suoi risparmi vengano divorati dalla crisi economica, in una seconda casa, ristrutturandola e non lasciandola degenerare, tassando già abbastanza il proprietario, ma gli impedisci anche di affittarla a chi vuole lui. Non è una cosa molto coerente se si ammette nei diritti la proprietà privata.
È pure vero che molti si ritrovano le case dei nonni e dei genitori, che all’epoca comprarono l’immobile e che l’hanno lasciato in eredità. E non è detto che gli eredi abbiano dei figli a cui lasciarle, visto il calo demografico. La quantità di case vuote che ci sono è dovuta anche a quest’aspetto. Ma è chiaro che i proprietari preferiscono gli affitti brevi, soprattutto in città turistiche, viste le difficoltà che esistono per gli sfratti, dopo che gli affittuari hanno distrutto la casa. Succede più spesso di quanto non s’immagini. In buona parte dei casi il pensionato che arrotonda la pensione con un affitto breve proveniente da un investimento, dopo aver lavorato una vita ed essere riuscito a risparmiare, lo fa per migliorare la precarietà della propria mensilità, visto come sono trattati i pensionati in Italia.
E, ad ogni buon conto, non è certo solo colpa degli affitti brevi se il mercato immobiliare è lievitato. È sempre tutto lievitato, fin dal momento di passaggio dalla lira all’euro, perché nessuno di coloro che doveva controllare ha controllato la crescita dei prezzi, è sempre stato tutto in salita e continua a salire. E chi ha governato, di destra, di sinistra, di nordest, di sudovest, non se n’è curato più di tanto.
Il paese, secondo la lettura ufficiale, andava a gonfie vele e i problemi, anche se c’erano, la gente non voleva sentirli, la cicala e la formica.
E lo Stato ha investito abbastanza poco nell’edilizia popolare, la quale è afflitta anche da altri problemi di ordine strutturale e progettuale e ha investito poco nel recupero di appartamenti nei centri storici da adibire a case popolari.
Poi arriva il momento che i problemi presentano il conto e possono anche tornar comodi per chi governa per addossare le colpe ai predecessori e con quattro normative idiote si fa finta di provare a rimediare, senza pensare alla complessità dei sistemi che, una volta smantellati, non si possono ricreare nella stessa veste di prima perché il contesto in cui erano nati e cresciuti non esiste più.
Le città restano così degli involucri elegantissimi, ricchi di meravigliose scenografie, creazioni di gente illustre del passato, ma vuotati di chi ne fornisce l’anima, cioè degli abitanti. E non c’è rimedio o, almeno, un rimedio così istantaneo, prendo una pillola e mi passa.
Open to Parapiglia sarà sempre peggio, ovviamente, perché parte mal pensato e mal gestito fin dall’inizio. In un paese sovraffollato con poche infrastrutture, che avrebbe bisogno di potenziamenti di ogni tipo, ma elaborati ed eseguiti con criterio, il primo dei quali la conoscenza capillare del territorio, si continuano a bruciare miliardi per il ponte sospeso a unica campata più lungo del mondo anziché potenziare il resto, nella solita demagogia della politica, capace solo di investimenti sbagliati e di esibiti quanto inutili provvedimenti. Sempre e solo coi soldi nostri.
Sembra Qualunquemente, coi ragionamenti di Cetto La Qualunque, bislacchi ma coerenti nella loro logica assurdità, sebbene il personaggio di Albanese risulti più moderato di certi politici veri, di quelli che stanno al governo attualmente.
È un vero peccato che la Sicilia non stia anche solo un chilometro più a ovest, perché nessuno avrebbe insistito così tanto in un’opera cretina come quella se la distanza fosse stata maggiore.
Nel frattempo a visitare i centri minori della Sicilia, isolati come sono ma non a causa della mancanza del ponte, pur ricchi di opere d’arte spettacolari, non ci va nessuno o poca gente. E lo stesso succede in altre regioni, dove il sovraturismo riguarda solo alcuni luoghi.
Open to Parapiglia.
Sempre le persone sbagliate nel posto sbagliato. Santanchè, vedi di dimetterti e lasciare il tuo ministero a persone più capaci (chissà chi sono). Per amor di patria.
È un ottimo momento, quindi, per festeggiare il fratellame d’Italia con Atreju (che significa, nella Grande Lingua, “figlio di tutti”, quindi anche figlio di… quello che volete voi, à la carte) al Circo Massimo.
Luogo adattissimo, il circo, per autocelebrarsi: pah-lee-ah-tchee forever o Die unendliche Geschichte.
Devi fare login per commentare
Accedi