Turismo

Ebola: l’epidemia è in tre paesi, la psicosi cancella anche i safari

2 Dicembre 2014

Brutto momento per i tour operator specializzati sull’Africa. Se fino a settembre, la tendenza era positiva, già a ottobre il segno meno ha fatto comparsa evidente prima sulle prenotazioni, quindi sui bilanci. E a novembre, mese in cui si lavora per le festività natalizie, il telefono è rimasto muto, i computer fermi e nemmeno le iniziative promozionali hanno sortito effetti. L’indice è puntato contro ebola o, meglio, contro la psicosi generata dalla cattiva informazione circolata su questo tema. Un fenomeno non soltanto italiano.

Secondo un sondaggio della società olandese Safaribookings.com, condotto su 500 operatori, circa la metà degli intervistati ha lamentato una riduzione delle prenotazioni rispetto all’anno precedente tra il 20 e il 70%. Moltissimi tour operator, hanno riferito i promotori del sondaggio, considerano l’Africa come fosse “un solo paese”, almeno quando si tratta di valutarne i rischi. Eppure, le principali capitali europee sono più vicine in linea d’aria all’epicentro dell’epidemia di quanto lo siano le capitali dell’Africa australe o orientale.

Di fatto, questa stessa percezione si avverte in Italia. Ebola si è diffusa soltanto in tre piccoli paesi dell’Africa occidentale – Liberia, Guinea e Sierra Leone – ma è come se tutta l’Africa fosse rimasta infetta. Ancora una volta, con grande responsabilità dei media, l’Africa viene trattata con sciatteria, superficialità e secondo stereotipi inaccettabili. L’Africa non è ebola, ebola si può fermare ma sta trovando terreno fertile in paesi segnati da recenti conflitti o lunghi periodi di instabilità. Paesi, quindi, con casse statali semivuote, con sistemi sanitari disastrati e con un alto tasso di analfabetismo.

Ciononostante, basta andare in qualunque tour operator specializzato sull’Africa per capire quanti danni la generale errata percezione sta causando sul piano economico. Cito alcuni passaggi di un articolo pubblicato sul mensile ‘Africa e Affari’. “A ottobre abbiamo registrato un calo delle prenotazioni di circa il 40%” dicono ad African Explorer, società milanese che da 40 anni opera in questo settore. “Il calo riguarda tutte le destinazioni, l’Africa viene vista non come un gigantesco continente ma come un grande paese”. Negli uffici della Mokoro Tours di Treviso: “Non abbiamo avuto cancellazioni ma vediamo un netto calo delle richieste. C’è calma piatta, non stiamo lavorando come dovremmo anche per destinazioni molto distanti dall’Africa occidentale come Sudafrica, Namibia o Botswana”. A Roma, negli uffici dei Viaggi dell’Elefante, hanno perfino ricevuto lettere allarmate di clienti spaventati dalle notizie che circolavano sulla stampa. “Abbiamo dovuto spiegare e sottolineare non soltanto che Tanzania e Kenya non avevano nulla a che fare con l’epidemia ma che negli aeroporti di questi paesi sono stati attivati protocolli di sicurezza anche più all’avanguardia che in Europa”.

Sembra dunque che la grancassa mediatica abbia contribuito ad amplificare paure, senza però far passare in maniera adeguata le informazioni corrette. L’impressione è che gli effetti siano ancora tutti da vedere. Ne sanno qualcosa all’Arcidiocesi di Modena Nonantola, dove lo scorso agosto i responsabili della comunicazione hanno fatto fatica a contenere la ribalta mediatica che ha riguardato una giovane andata in Ciad per un mese di volontariato. Durante il ritorno in Italia, la giovane era stata colta da malore e fatta sbarcare a Istanbul, nel rispetto delle procedure di sicurezza previste per i voli provenienti dall’Africa occidentale. “La ragazza sta bene, aveva avuto una semplice gastroenterite” dice al telefono Francesco Panigadi, responsabile dell’animazione missionaria. Il punto è un altro. “Le procedure sono state applicate correttamente, ma è il modo in cui i media hanno trattato la storia che ci ha lasciato perplessi. Sui giornali locali, la questione è stata strumentalizzata a fini politici, l’argomento è divenuto tema di discussioni anche nei parchi e sono circolate così tante notizie infondate da generare paura e condizionamenti di cui ancora non conosciamo bene le conseguenze”.

La storia della ragazza di Modena è finita anche su tutti i media nazionali, che hanno usato una certa superficialità nel verificare alcuni particolari. Uno soprattutto: citando come fonte la versione inglese del quotidiano turco ‘Zaman’, molti giornalisti italiani hanno riportato, senza opportuno controllo, che la volontaria era arrivata a Istanbul su un volo proveniente “da Kano, in Kenya”. Kano è invece una grande città del nord della Nigeria e la giovane vi aveva fatto scalo tecnico in provenienza da N’Djamena; a Kano non era nemmeno scesa, si era poi sentita male in volo prima di arrivare in Turchia. Molti non hanno verificato e corretto l’errore geografico commesso da ‘Zaman’, per cui anche in numerosi giornali italiani Kano è diventata di colpo una città del Kenya. “Da notizie come questa – dice Pasquale Tiritò, presidente del gruppo Jacaranda, società che gestisce alcuni hotel a Watamu in Kenya – noi riteniamo di aver subito danni. Confondere la Nigeria con il Kenya, paesi distantissimi, forzare una situazione di incertezza e parlare di un presunto caso di ebola collegandolo erroneamente al Kenya, significa affossare una tra le destinazioni principali dei turisti italiani in Africa”.

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