Appalti
Balneari: stessa spiaggia, (non) stesse concessioni
É arrivata la sentenza della Corte di Giustizia europea che dichiara: “le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente.” Il Governo, nella persona del Ministro Giorgetti, spiega che la sentenza era attesa e ora si procederà con la mappatura.
La commissione aveva nella scorsa settimana fatto pressioni affinché l’Italia si allineasse urgentemente con la direttiva Bolkestein nel campo delle concessioni balneari, non escludendo una procedura di infrazione, oltre all’obbligo di uniformarsi con la direttiva entro 60 giorni. L’insoddisfazione dell’Europa era già stata evidenziata per la proroga delle concessioni balneari decisa dal Governo nel decreto milleproroghe fino alla fine del 2024, considerata peraltro illegittima da parte del consiglio di Stato.
Bruxelles non ha condiviso i ricorsi eccessivi a proroghe così dette “secche”, cioè senza innovazione per i precedenti concessionari, perché ritenute contrarie al principio di libertà introdotto dalla direttiva Bolkestein. Si contesta il fatto che queste proroghe vengano concesse senza alcuna modifica. Proroghe molto lunghe anche di 10-15 anni, immotivate e considerate una presa in giro da parte del Governo nazionale. Chi pensa che ci sia un accanimento nei confronti dei balneari si sbaglia, la direttiva non si limita solo alle concessioni balneari, ma prevede al suo interno anche le concessioni agli spazi pubblici, come i commercianti che godono di spazi commerciali, oppure ai tassisti, il meccanismo deve prevedere la libera concorrenza L’Italia ha una varietà di coste, spiagge sabbiose e scogli che popolano i nostri litoranei con una ricettività turistico balneare diversa. Serve una precisa e puntuale mappatura delle aree. Esiste anche un problema di redditività, cioè quanto dovrebbero pagare i concessionari, non solo per l’utilizzo balneare dello spazio, ma anche per altri spazi in concessione utilizzati per ristoranti, bar ecc. Va stabilito poi quanto riconoscere all’azienda uscente, tenendo in considerazione gli investimenti fatti, cosa non facilmente identificabile in certi casi; a questo poi va riconosciuto un risarcimento per l’avviamento. Esistono (poche) concessioni che vengono oggi assegnate secondo parametri di mercato, ma ne esistono altre molto vecchie, con canoni molto bassi e sono queste che creano il problema e sono le stesse che premono per successive proroghe. I dati parlano chiaro, abbiamo in Italia 29.000 concessioni, di queste 21.600 pagano un canone inferiore a 2.500 euro all’anno. Lo stato nel 2019 ha incassato 115 milioni di euro, contro un giro di affari stimato di 15 miliardi di euro. La colpa di questo non è dei balneari, ma dello Stato che ha stabilito questi canoni. Emblematico il caso del comune di Arzachena, in Sardegna, dove ci sono 41 stabilimenti balneari, con un canone annuale inferiore a 1.000 euro, mentre degli altri 23 non esistono dati, oppure nella stessa zona l’Hotel Cala di Volpe versa quale canone demaniale 520 euro all’anno, questo quanto dichiarato da Legambiente.
È necessario quindi fare una distinzione, una cosa è la direttiva Bolkestein che prevede che le concessioni siano messe a gara e un’altra cosa è il canone che si paga allo Stato, che deve esigere un canone più alto, i due punti sono diversi. La concessione non è un diritto acquisito non può venire rinnovata in automatico, ma è stato così per anni. Va trovata una soluzione che non danneggi gli investimenti fatti, ma bisogna rendersi conto che si tratta di una concessione che non può durare tutta la vita.
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