Turismo

Alberghi, romanzi, Hegel

4 Luglio 2016

Sono un lettore assiduo dei giudizi lasciati dagli ospiti degli hotel nei siti di prenotazione alberghiera come Trivago e Booking com. Giudizi che leggo non solo per avere informazioni privilegiate sull’albergo che mi accingo a prenotare ma anche per vedere davanti a me lo squinternamento delle personalità degli ignoti viaggiatori che mi hanno preceduto. Leggo  molto quelli francesi per mia fissa personale e l’ultima volta che sono stato all’estero il pignolissimo esame critico di  un Monsieur Tati m’è stato utilissimo. In Italia li leggo tutti.

In viaggio l’uomo si rivela con tutte le sue idiosincrasie e le sue insofferenze perché messo fuori dal proprio ambiente è spinto ad attivare particolari sensori che spesso tiene in quiescenza. C’è anche il tipo che li ha disattivati tutti e che lascia laconici “Tutto bene, tutto perfetto” e c’è il tipo tignosetto che ha messo in uso anche i sensori mai attivati dalla nascita. (Sono i due poli da escludere). Ma nello stesso tempo, oltre al caleidoscopio delle personalità, che immagino in controluce, ho la presunzione di capire il genere di uomo che ho davanti e soprattutto se la sua informazione (e talora la sua deformazione) è credibile, da prendere per intero oppure occorre farne la tara o infine escludere del tutto dal prenderla in considerazione.

Si tratta di capire insomma se il tipo che abbiamo davanti è come quello descritto mirabilmente da Carlo Verdone (non ricordo più in quale film), quel tizio fanatico che misura il vento con l’anemometro, che ha precisissime informazioni atmosferiche di tutto il tragitto, di traffico, di gastronomia ecc. ecc. Oppure se l’estensore della nota critica è una persona sensata che si mette a disposizione degli altri stilando giudizi neutri senza risentimento e senza estasi superflue.

Perché ho la presunzione di capire, da queste brevi spie indiziarie, l’uomo che ho davanti? Perché ho molto vissuto, molto visto e molto conservato. Ho ripetuto qui le tre condizioni poste da Hegel perché l’opera d’arte, il romanzo, possa darsi, quindi anche la micronarrazione annotata dai viaggiatori e infine quella piccola opera d’arte che è la lettura, che i dotti semiologi chiamano anche “interpretazione”. (Ho letto quella frase di Hegel moltissimi anni fa nell’Estetica, edizione NUE Einaudi, a cura di Nicolao Merker. Non chiedetemi la sezione o la pagina, sono in vacanza: fidatevi). L’opera d’arte come il  romanzo secondo Hegel è possibile insomma après coup, dopo che la vita s’è compiuta, allo stesso modo che il giudizio sugli altri o sulle cose è possibile dopo  una certa frequentazione di uomini e luoghi. È raro che il romanzo si dia presso gli adolescenti. Non è come la poesia che può nascere anche dallo sguardo del giovinetto “veggente” (Rimbaud). Certo, come sempre, accidenti, ci sono delle eccezioni (Gli indifferenti del  22enne Moravia per esempio, romanzo superbo ancora oggi) ma di solito è così. Capisci la “prosa del mondo” dopo che l’hai abitualmente frequentata.

Molto vissuto? diciamo abbastanza. Molto visto anche: c’è chi ha vissuto molto e nulla ha visto e non s’è mai mosso dal paesello. Non so se l’ha indovinata.  Molto conservato soprattutto, così credo o spero. Si può aver esperito uomini e cose che sono passati nel corso della tua vita come acqua sui vetri. E con tutto ciò, visti causa e pretesto e le attuali conclusioni… non abbiamo letto ancora l’ultima pagina del romanzo della vita, non conosciamo il finale, e perciò l’inganno, la frode, il giudizio errato è sempre a portata di mano. Anche nella scelta dell’albergo.

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(Possibile obiezione di una di quelle canaglie anonime che infestano il web. “E per una sciocchezza come questa hai scomodato Hegel”? Sì, volevo augurarvi, a modo mio, con seduzioni mirate e citazioni a spaglio, di passare in serenità questa amnistia annuale delle imminenti ferie. Possibilmente in un posto privo di rischi se ce n’è ancora uno nel nostro mondo sconvolto).

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