Trasporti

Viaggiatori o Passeggeri?

7 Luglio 2018

Il Biglietto

Come dice Francesco de Gregori, oggi è tutto un viaggiare, ma siamo viaggiatori o passeggeri? Per trovare un amore, quello vero, occorre viaggiare per in-contrare? O è più produttivo il viaggio nella memoria?

Erano colpi di maglio quelli che si abbattevano sulla fusoliera, riverberando rumori sinistri nell’abitacolo come di squarcio improvviso. Così almeno i passeggeri li percepivano e ne erano atterriti, Lui no, sapeva cosa succedeva, fintanto che vi fossero state vibrazioni la struttura avrebbe reagito in modo elastico alle sollecitazioni. Questo l’aveva imparato negli anni del pilotaggio di piccoli monocarlinga. Gli avevano spiegato che una struttura rigida resiste meno ai colpi inferti, la vibrazione elastica o l’oscillazione delle ali permette alla struttura di reggere. Dunque era “ abbastanza” tranquillo, ma quelle tre ore di volo da Milano a Oslo e poi Bergen, non le avrebbe facilmente dimenticate. I sussulti continui gli impedivano di riposare, ma non di pensare. Sembrava di essere a Gioia del Colle, ricordi, quell’atterraggio con vento di traverso e windshift sul muso,la sbandata e poi l’arresto fuori pista sull’erba. Tempi lontani andati, Cristina che gli andava incontro all’aeroporto di Bresso, gli sembrava di essere Lindbergh ogni volta quando vedeva quella chioma corvina che saltellava, sincrona con il suo seno, quando correva. Cristina non c’era più da anni, nessun’altra era come lei. Dolce affettuosa, materna, disponibile, calda, beh calda fino ad un certo punto. Lo aveva raffreddato quando lei gli aveva confessato che sì, va bene, però era cosa da nulla, Piero l’aveva corteggiata ed anche baciata.

Un giorno era tornato a casa e quel foglietto giallognolo non l’avrebbe mai dimenticato. Buttato lì sulla cassapanca quasi per distrazione o per caso, annunciava una partenza senza ritorno, una fine senza appello di quello che credeva essere stato un amore ed invece era un cumulo di macerie tenute insieme dalle circostanze, dalle casualità. Quanti pensieri, il primo tristissimo della prima notte senza lei, il secondo ancora più triste,quella serata di pioggia, entrambi che riparano in un bar, lei cerca nel caos della sua borsa il portafogli,per pagare il caffè, caos più evoluto rispetto a quello della Borsa di Milano, lui si fa subito avanti, si offre di pagarlo purchè lo bevano insieme. Da allora bevvero caffè e veleni ad effetto ritardato ma maggiorato dall’ignoranza del suo carattere. Non riusciva a capirla, e quindi lei non si sentiva capita e, deduzione illogica, amata. Piero sì, pieno di affetto ad effetti, carezze inusitate ed improvvise, baci languidi, lettere appassionate, lui scrittore di rango sapeva farci, il marito architetto e quindi arido consumatore di matite, ci faceva i grafici mica i ghirigori e le letterine hard.

Ok basta epoca passata, in tutti i sensi come lo yogurt andato a male, anzi malissimo.

Sapeva di yogurt e Lars lo trovava buonissimo per questo, lo sformato di aringhe e patate che Britta gli preparava tutti i mercoledì. Ma quella sera qualcosa era andato storto. L’Architetto aveva chiamato che stava arrivando…ma come così presto…non doveva venire a Pasqua ed arrivava a febbraio. Bisognava andare su alla casa del Fjord per le provviste ed il fuoco. Però a pensarci bene, non gli aveva detto nulla a riguardo, solo che arrivava e che non si preoccupasse. L’architetto aveva una voce impastata, come di chi aveva dormito poco e male, no, non prendeva farmaci, questo Lars lo sapeva di certo. Era strano, sia l’arrivo sia il viaggiatore. Comunque anche questa volta gli avrebbero fatto festa grande a Bergen. Lui con quei ponti surreali, strani, li chiamava Calatrava Bis, aveva dato corpo alla tradizione della città nobilitando l’area portuale, notoriamente malfamata e legandola al centro. Un mix di tradizione, commercio e colore, dato che da quando era arrivato Lui tutte le facciate erano state tinteggiate all’esterno con colori differenti. Bergen era entrata nelle riviste internazionali del turismo, il Fjord era diventato un richiamo forte e quindi dava ricchezza. I norvegesi sono sì freddi ma con il petrolio ed il turismo sanno scaldarsi, eccome.

Comunque, bisognava che prima di notte andasse a vedere la casa che Lui si era comprato. Pochi soldi ma ci aveva lavorato sodo, di martello e pennello, dando un aspetto minimalista ma di efficienza all’arredamento. Struttura agile ma vigorosa con architravi pesanti e muri in pietra, ecocompatibile con strutture di legno non verniciato ma grezzo, pochi essenziali collegamenti elettrici, pericolosi diceva per eventuali incendi, e soprattutto calda sempre con un sapiente ricircolo di aria intercapedinale. Era il suo buen retiro, dove scriveva, pensava, sognava anche ma questo non lo dava a vedere. Ora stava arrivando, solo come sempre.

 

L’aveva vista per caso, si era tolta la scarpa, gesto in genere poco elegante ed invece quel tocco di semplicità, quasi erotica, lo attrasse. Fece in tempo ad intravedere un piede affusolato e magro, avvolto in una calza pesante ma elegante nel suo fumèe trasparente, il calzone non lasciava adito ad interpretazioni erotico-anatomiche ma le gambe, cribbio se erano affusolate. Eppure a Lui piacevano di polpaccio robusto, vigoroso, di quelli che si piantano sul materasso prima di concedersi un balletto presago di climax. Il corpo leggero eppure ben piantato si profilava da glutei d’eccezionale convessità omogenea, sembrava disegnato da un Giotto esperto di anatomia, le spalle ( lui era di retro) erano ricoperte quasi interamente da lunghi capelli biondo-ramati, con quella venatura che concedeva un tocco di rifrazione ottica, diventando lucenti e brillanti. Accanto una bellissima bambina , di circa tre anni, che saltellava allegramente e che la di lei madre teneva per mano mentre si inerpicava su una gamba per rimettersi la scarpa.

Sentì alle sue spalle una voce rozza che gridava in direzione della donna, un uomo si faceva avanti, grosso, malvestito e forse anche maleodorante, la chiamo a gran voce noncurante dei presenti…” Jennifer, ti ho detto di non andare subito al check-in, prima ad duty free, fai come ti dico”. Se avesse potuto gli avrebbe dato un cazzotto sui denti ma a che titolo. Lui le afferrò la bambina e la portò via lasciandola interdetta, frastornata. Nel viso dolcissimo, un fior di pesco, apparve un rossore, prima sulle gote e poi sulla fronte leggermente aggrottata. Un velo appena accennato le coprì il volto e le tolse quello splendido sapore di miele che lasciava si apprezzasse. L’architetto si fece avanti e le disse poche semplici parole: “ mi spiace, il genere maschile è da rifare….” Lei sorrise amaramente, doveva per forza dargli ragione ma non sapeva se era il caso che un estraneo intervenisse. Poi lui finse di raccogliere un biglietto caduto, per toglierla d’imbarazzo, nacque il primo colloquio. Poi lei si avviò al check-in e scomparve nello scivolo del finger.

Erano passati due anni: qualche capello grigio in più e soprattutto tanti in meno. Stesso aeroporto ora più attivo, più dinamico, pieno di voli. Mancava quell’atmosfera di familiarità che gli riconosceva sin dall’inizio della sua stagione operativa, lui stesso faceva parte dello staff che lo aveva progettato, ne conosceva ogni angolo, ogni cantuccio. Preferiva sedersi sempre in angolo accanto alla grande vetrata per l’effetto ottico di rifrazione quando tramontava il sole . Gli dava un senso di naturale simbiosi ed empatia con la natura, gli toglieva, quell’effetto, la ovvietà della strutturazione meccanica che gli sembrava confliggesse con l’armonia della natura. Quella sera non andava a Bergen ma ad Atene ad inaugurare il solito ponte a tre campate che univa due isole nell’Egeo. All’improvviso fu attratto da un riverbero ramato, come di sole rosso che tramonta sul mare e lancia strali di fuoco, le fiamme di un corpo celeste che non vuole morire dietro l’orizzonte. Era lei, ancora più sinuosa, elegante nella sua divisa d’ordinanza delle donne in carriera, gessato su camicetta scollata, gambe sempre affusolate da gazzella trepidante fasciate da un pantalone lasso, morbido di lana pettinata. Sola, bellissima e sinuosa, ero lo specchio del desiderio, del “ suo” desiderio. Fu lei ad accorgersi di lui, si chinò per salutarlo, lui era seduto, e colto alla sprovvista, impacciò, si articolò malamente e cadde riverso sul pavimento come corpo morto. Il salone fu squarciato all’improvviso da una risata fragorosa, che lo avvolse di un’aia di allegria come da tempo non si percepiva. Si certo, ci siamo separati, eh già non era adatto a lei, me ne ero accorto, cosa fa qui, parto per Atene. Ma che combinazione anch’io!

Eh sì, i biglietti di ritorno ebbero un curioso destino, servirono, arrotolati, per fermare un piede sbirolo del tavolo al ristorante Aklepsios sul Partenone. Furono poi spazzati da un inserviente che prima li diviluppò e pensò come sarebbe stato bello viaggiare con quei biglietti.

 

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.