Governo

Piccoli aeroporti regionali: o sviluppo o chiusura

18 Settembre 2019

Il coraggio di governare quello ancora non c’è?

L’attuale regolamentazione ed il corrispondente quadro normativo del trasporto aereo e degli aeroporti italiani rendono impossibile lo sviluppo, e rendono fragile ed incerta la sopravvivenza, dei piccoli aeroporti regionali del Bel Paese.

Il nuovo governo Conte deve trovare il coraggio di prendere una decisione. Se il governo decide di continuare a seguire la strategia su trasporto aereo ed aeroporti adottata dai suoi più recenti predecessori, una strategia sostanzialmente volta a rendere impossibile lo sviluppo e la sopravvivenza dei piccoli aeroporti regionali, questi aeroporti andrebbero razionalmente tutti chiusi ope legis il prima possibile.

Il problema dei piccoli aeroporti regionali

L’attuale regolamentazione nazionale rende impossibile non soltanto lo sviluppo, ma quasi certamente persino la sopravvivenza dei piccoli aeroporti regionali. Il governo nazionale può ovviamente intervenire per cambiare la regolamentazione nazionale, adottando misure che rendano possibile la sopravvivenza e lo sviluppo dei piccoli aeroporti regionali, misure come l’abolizione delle addizionali di imbarco, dell’IRESA e dell’IVA su questa classe di aeroporti, ed anche misure che semplifichino e rendano possibile il coinvolgimento di risorse pubbliche e private per comprimerne ulteriormente i costi aeroportuali, come ad esempio incentivare e semplificare i contratti di comarketing o gli interventi di promozione territoriale.

E però da almeno quindici anni a questa parte, volendo anche da un bel quarto di secolo, nessun governo nazionale é intervenuto in questo senso. Anzi, il precedente governo Conte, come si evince dalla lettura della relazione al disegno di legge S.727, a prima firma della senatrice Giulia Lupo, per la “Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di trasporto aereo“, sembrava voler andare proprio nella direzione opposta.

La simbiosi asimmetrica tra i piccoli aeroporti regionali e gli ULCC

Tra i vettori della classe ULCC (ultra low cost carrier) ed i piccoli aeroporti regionali c’è una simbiosi asimmetrica.

Sostanzialmente i vettori della classe ULCC possono sopravvivere senza i piccoli aeroporti regionali, spostandosi nei medi e grandi aeroporti, un fenomeno a cui stiamo assistendo in Italia ed in altri paesi da alcuni anni, ed in Italia in gran parte dovuto alla continua erosione di competitività dei piccoli aeroporti regionali, per via dell’implementazione di una serie di misure regressive quali le addizionali di imbarco o l’IRESA, estremamente penalizzanti per questa classe di vettori. Il problema é che i piccoli aeroporti regionali non possono letteralmente sopravvivere senza i vettori della classe ULCC.

Penalizzando i vettori della classe ULCC, ed i collegamenti point to point da questi offerti, si finisce necessariamente per penalizzare primariamente i piccoli aeroporti regionali, non soltanto impedendone ogni sviluppo, ma decretandone proprio la morte certa nel prossimo futuro.

Se non si cambia strategia vanno chiusi

Se la strategia scelta dal governo nazionale per il futuro del trasporto aereo italiano é quella di disincentivare i collegamenti point to point, di proibire i contratti di comarketing, di non abolire le addizionali di imbarco e l’IRESA, ma anzi di introdurre nuove imposte ecologiche come gentilmente ma fermamente richiesto da Francia e Germania, e se il governo non accetta di dover comprimere il più possibile i costi aeroportuali dei piccoli aeroporti regionali, se sostanzialmente la strategia sarà quella di penalizzare sempre di più i vettori della classe ULCC, per via della evidente simbiosi asimmetrica tra vettori ULCC ed i piccoli aeroporti regionali, questi ultimi diventerebbero ancora più inutili, e sostanzialmente nocivi per le finanze pubbliche, di quanto non lo siano già adesso, per cui la necessaria conseguenza non può che essere la loro chiusura.

Gli undici aeroporti da tenere aperti

Nello scenario in cui il governo nazionale voglia razionalizzare la rete aeroportuale italiana, eliminandone i duplicati, e non voglia contemporaneamente rendere possibile la sopravvivenza e lo sviluppo dei piccoli aeroporti regionali, il governo nazionale farebbe una scelta razionale, per quanto elettoralmente rischiosa, consentendo di continuare ad operare soltanto i seguenti undici aeroporti, che non dovrebbero più ricevere alcun tipo di finanziamento pubblico.

Bari		Bologna		Cagliari
Catania		Lamezia Terme	Milano Malpensa
Napoli		Palermo		Pisa		 
Roma Fiumicino	Venezia

Aeroporti di continuità territoriale

Oltre a questi undici aeroporti, il governo nazionale dovrebbe permettere in ogni caso la continuazione dell’apertura al traffico civile soltanto a questi tre altri aeroporti, che sono gli unici tre aeroporti a cui deve essere permesso ricevere finanziamenti pubblici per continuare ad operare:

Elba		Lampedusa	Pantelleria

Aeroporti da chiudere

Tutti gli altri aeroporti italiani andrebbero immediatamente chiusi al traffico civile, e tutto il loro traffico spostato negli undici aeroporti della prima lista.

In questo scenario andrebbero perciò chiusi al traffico civile tutti gli aeroporti nella lista seguente, più tutti gli altri aeroporti non elencati tra i quattordici nelle due liste precedenti.

Bergamo		Milano Linate	Roma Ciampino	Torino
Treviso		Verona		Firenze		Brindisi
Genova		Alghero		Trieste		Pescara
Trapani		Reggio Calabria	Ancona		Comiso
Perugia		Rimini		Cuneo		Crotone
Bolzano		Brescia		Grosseto	Taranto
Foggia		Parma		Salerno		Forlì

Ovviamente il presente governo nazionale ed i suoi futuri successori non dovrebbero conseguentemente permettere la costruzione di alcun nuovo aeroporto se non in sostituzione di uno degli undici nella prima lista, e concentrarsi piuttosto a potenziare i collegamenti del resto del paese con questi undici aeroporti.

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Crediti

L’immagine di Giuseppe Conte nella copertina dell’articolo è messa a disposizione dalla Presidenza del Consiglio del Governo Italiano con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT.

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