Trasporti
Pendolarismi
Sui giornali l’apertura di oggi – come è giusto che sia – è dedicata all’incidente ferroviario di Pioltello. Le pagine – di carta o digitali – raccontano il fatto, riportano le testimonianze dei viaggiatori, le parole del ministro dei Trasporti, tracciano un profilo delle vittime. Quasi tutti ne presentano una – corredata da una cartina dell’Italia con le linee dei treni che la attraversano – per dare spazio all’universo pendolare. Ai lavoratori-pendolari, alle loro difficoltà tra vagoni sovraffollati e carrozze vecchiotte, ritardi e precedenze ai treni veloci. Alla loro quotidianità. Di cui si parla, con dovizia, quando viene scossa da eventi del genere. Di cui si parla, quando lo si fa, per dipingere le peripezie di un pezzo di Paese che si muove su e giù sui binari, più o meno, ogni giorno.
Da sette anni sono un ‘pendolare professionista’. Avanti e indietro, ogni dì, sulla tratta Rimini-Bologna. Ore e ore di viaggio o sotto una pensilina ad aspettare Regionali e Freccebianche di passaggio da Nord a Sud e viceversa. Uno di quelli che potrebbe snocciolare la litania delle motivazioni per i ritardi dei convogli – annunciata dall’altoparlante – come nemmeno la formazione della squadra di calcio del cuore. Uno di quelli, abbonati, che ‘mi-alzo-subito-io-non-ho-il-posto-prenotato’. E che, ormai, il posto-in-piedi-vista-bagno, è quasi uno stile di vita. Un pendolare, come tanti, che sbuffa per le giornate immolate – alla fine dell’anno – sull’altare del treno-viaggia-con-cinque-minuti-di-ritardo e sorride delle buffe traduzioni in inglese, scandite al binario, con il convoglio che non fermerà nella stazione di Palombaina (Palombina) o Sentarchengelow (Santarcangelo).
Uno, come tanti, che – nella pendolarità – ha scoperto un ‘microcosmo’ di storie e di volti. Uno spaccato del Paese reale, di quella ‘pancia’ dell’Italia – così inseguita dalla politica o da certa politica – che si rivela, tra una chiacchiera e l’altra in uno scompartimento, in una sala d’aspetto, in un angolo di quel ‘non luogo’ che la stazione interpreta nel contesto cittadino. Una fucina, a voler guardare e ascoltare, di aneddoti. Di figure che vanno al di là del mero racconto – comunque veritiero e necessario – dei disservizi e dei disagi.
Seduto in uno scompartimento, attraversando una sala d’aspetto o arrivando in stazione si scorge l’Italia che cambia – un pochino ogni giorno – strappando un sorriso o una riflessione. Ci si imbatte negli ‘invisibili’ che, proprio attorno alla stazione, gravitano. Si scopre l’homeless, ribattezzato ‘L’uomo di Neanderthal’ che la barista gentile ‘vizia’ ogni mattina o il ragazzino straniero, con la nonna, che canta l’inno nazionale sentendosi più italiano degli italiani. La ragazza sudamericana che rispondendo al telefono ai ‘clienti’ tra uno ‘sciao ammore’ e l’altro fa arrossire mezzo scompartimento. O le due giovanissime fashion blogger che, smartphone in mano, sembrano lanciate alla conquista del mondo mentre seduta poco lontano c’è chi, digitando sul tablet, sospira ‘da grande voglio fare la chiaraferragni’.
Su e giù da un treno si apprezza l’inventiva dei controllori quando c’è da far capire ad un turista straniero – anche se non si conosce la sua lingua – quale sia il prossimo convoglio in arrivo e si inquadrano figure quasi mitologiche, come il ‘nonnino del lissio’, tecnologicamente più avanti di uno ‘smanettone’ 2.0; il ‘neo-melodico’ e il ‘gagà’ da scompartimento. L’eterno influenzato, per tutti ‘l’untore da viaggio’, o il ragazzetto che danza sulla banchina fino a meritarsi il titolo di ‘Billy Elliot del binario 4’. Per tacere dell’infaticabile organizzatore di viaggi per anziani, ovvero ‘il ragionier Filini della domenica’ o del giovane musicista, andato a lavorare in Germania che, disegnando arabeschi nell’aria seguendo il flusso delle note, racconta della sua nuova vita all’estero. Personaggi – a loro insaputa – che colorano le giornate sui binari, talvolta coperte dalla fatica della pendolarità.
Devi fare login per commentare
Accedi