Infrastrutture
Meravigliatevi tutti: sono andata al Sud in treno!
Andavamo alla stazione all’arrivo dell’espresso
per guardare chi rientrava da un qualsiasi
altrove.
(Annie Ernaux)
Nessun trattato né convegno né manuale può raccontate il Sud dell’Italia come un viaggio in treno.
Perché, se c’è una cosa che ho imparato dal mio viaggio, di speranza e di avventura, da Livorno alla Sicilia, è che il treno, al Sud, non si usa per andare e tornare: il viaggio è sempre e solo andata, qualunque sia la direzione.
Viaggiare in treno, al Sud, regala l’esperienza della gratuita solidarietà tra passeggeri: passeggeri che sanno di vivere la stessa avventura e che si sentono in dovere di sostenersi reciprocamente nell’impresa titanica di arrivare a destinazione. Solo la fatica, l’impegno, il costo, gli orari impossibili, i treni lentissimi e i traghetti paradossali possono creare condivisioni di idee, di panini e di biscotti, di lingue e di dialetti.
Io però non lo sapevo.
Io non volevo vivere nessuna avventura.
Sono abituata a prendere il treno per viaggiare, cioè per spostarmi da un luogo all’altro, per arrivare e tornare.
La situazione della rete ferroviaria da Salerno in giù richiede uno sforzo troppo grosso perché i treni possano essere usati normalmente, andata e ritorno. Perciò devono essere usati in un’unica direzione, sopportando tutte le avversità, gli imprevisti, la sporcizia, i disservizi con la certezza che, il prossimo viaggio, sarà comunque fra sei mesi. Il calendario dei viaggi è segnato dalle festività, Natale, Pasqua, Ferragosto, non dall’orario di Trenitalia e dalle necessità di spostamento.
La mia avventura -perché, ripeto, viaggiare normalmente è un’altra cosa-, inizia con un’andata piuttosto agevole -se paragonata al ritorno, praticamente una passeggiata.
Il Frecciabianca che collega Roma con Lamezia Terme è puntuale, pulito, confortevole, così come deve essere. Peccato ci sia qualche “problema” tecnico/ingegneristico sulla linea e che il treno, da Napoli in giù, balli come fosse in mezzo al mare: impossibile leggere, fare una telefonata (il telefono non prende per quasi tutto il viaggio, figurarsi se c’è il Wi-Fi), per mangiare ci vuole uno stomaco di ferro, tanto che anche i baristi della carrozza ristorante si sentono male.
Sono arrivata in Calabria verde di nausea, ma puntuale -posso persino riderci su ora, dire che sono arrivata in traghetto in balia del mare mosso anziché in treno. Perché, di nuovo, se penso al viaggio di ritorno -quando avrei pagato per avere un traghetto!- questo non è stato niente.
Ho appena commesso l’errore di parlare di Calabria tutta: no, io sono arrivata a Lamezia Terme, che è praticamente l’unica stazione calabrese dove transitano treni normali. Ma Lamezia non è tutta la Calabria.Dopo di lei, il deserto. O i treni regionali soppressi. O le stazioni occupate dai migranti che protestano contro le condizioni di squallore in cui vivono nei centri d’accoglienza, come a Crotone. O il trenino a gasolio che passa due volte al giorno sulla costa Ionica, dove vada e dove si fermi non si sa. O, molto più semplicemente, niente stazioni e niente treni.
Ero a pranzo nella bellissima Scilla, la Sicilia così vicina che sembrava bastare allungare il braccio per toccarla, quando una mia amica mi dice: “sono a Catania, mi raggiungi per il weekend?“. E io, che ho Messina davanti ai miei occhi, rispondo “certo, sono in Calabria!“. Che ingenua, io che pensavo che fosse così facile raggiungere due ragioni confinanti -come la Lombardia e il Piemonte-, anche se separate da 3 km di mare.
Che ingenua, proprio il Sud non lo conoscevo.
Trovo con facilità il biglietto del treno d’andata -devo però tornare a Lamezia, unica stazione normale, e prendere l’unico treno al giorno diretto per la Sicilia, ma tant’è.
Trovare il biglietto di ritorno mi richiede invece 24 ore: gli unici tre treni che collegano la Sicilia, e quindi la Calabria, con un qualunque nord sono tutti pieni. Per quattro giorni di fila. Contatto il call center Trenitalia, che si giustifica dicendo che è normale che i treni siano tutti prenotati, è fine agosto, sono i giorni di maggior flusso di viaggiatori! Anormale, penso io, che Trenitalia preveda solo tre treni al giorno proprio nei giorni da bollino nero.
Non me la sento di accogliere il consiglio della centralinista, che mi dice “tenti la fortuna, signora, magari trova un posto in piedi!”, perché, di norma, sono abituata a viaggiare senza sfidare la sorte, ma con la certezza del ritorno. E tentare la fortuna in piedi per otto, nove ore mi sembra un po’ troppo, e comunque sono sfortunata in amore e anche al gioco.
Ma la mia amica la voglio vedere e riesco, dopo 24 ore su Internet, a mettere insieme i pezzi del mio viaggio di ritorno comprando i biglietti singolarmente, Catania-Messina, poi traghetto, poi Villa San Giovanni-Sapri, poi Sapri-Salerno. E poi, da Salerno in su (sebbene abbia sentito dire che fino a poco tempo fa, prima di De Luca, c’erano in città carcasse di dinosauri), tutto torna normale.
L’avventura dell’andata consiste nell’attraversare lo stretto di Messina in treno.
Treno deserto, e capisco il perché: a Villa San Giovanni, il convoglio viene diviso in due, alcune carrozze proseguiranno poi per Siracusa, altre per Palermo. Chi non lo sa, chi è nella carrozza sbagliata, chi non parla il calabrese strettissimo del controllore, procederà verso altre sconosciute avventure.
Subito, tra i pochi passeggeri, si crea mutuo soccorso: chi è esperto della tratta spiega la divisione delle carrozze, chi è in buona salute si offre di controllare le valigie mentre qualcuno raccoglie i soldi per andare al bar del traghetto a comprare acqua per tutti. Sì, perché di salute ce ne vuole tantissima per stare rinchiusi in una carrozza senza aria condizionata (il treno è senza locomotore), carrozza a sua volta rinchiusa nella stiva di una nave tra auto e tir.
L’attraversamento dello stretto in treno dura quasi due ore, tra carico e scarico delle carrozze: quando si riparte, da Messina, la gente si abbraccia e così li abbraccio anch’io, i miei compagni di avventura, perché senza di loro a Catania non sarei mai arrivata.
Il ritorno è un’epopea tale che dovrebbero segnalarla sulla Lonely Planet come attrazione avventurosa, come fanno per certe linee di treni del dopoguerra nei Balcani.
Il primo treno, un regionale, parte da Catania all’alba, verso Messina: a bordo, un gruppo di venditori ambulanti diretto verso le spiagge della costa improvvisa un bazar per i passeggeri, magliette, costumi da bagno, occhiali da sole, borse contraffatte, cover per i cellulari. Forse le 6 di mattina sono un po’ troppo presto per fare shopping, ma la fiera in treno rende le quasi due ore necessarie ad arrivare più veloci.
A Messina Centrale, nessuna informazione circa i traghetti in partenza da Messina Marittima: solo un fuggi fuggi generale, perché pare che di traghetti ce ne siano pochissimi. Io me la prendo comoda -ingenua!-, tanto ho fatto e pagato il biglietto online anche per il traghetto, mi posso concedere un caffè. E invece no, mi dice il controllore in attesa di una nave in ritardo di quasi un’ora: i biglietti online non vanno bene -non ho ancora capito perché. Quindi, insieme ad altri sprovveduti, corro alla biglietteria a ricomprare un biglietto cartaceo e mi imbarco a piedi in mezzo ad auto e tir che mi sfiorano e mi spintonano: in pratica, si cammina con mezzi in movimento come in un ingorgo stradale nel cuore di Roma, ma nella stiva di una nave.
Una volta a bordo, scatta di nuovo la solidarietà dei compagni di avventura: qualcuno si occupa di sorvegliare le valigie, qualcuno di comprare i caffè, una signora romena offre biscotti a tutti. L’importante è essere pronti allo sbarco, prima che le auto e i tir ci investano tutti.
A Villa San Giovanni, dopo le solite due ore, le strade si dividono: quasi tutti devono, come me, andare più a nord di Salerno. C’è chi arriverà via Taranto a Milano in sole 27 ore. C’è chi si prepara a passare la giornata alla stazione in attesa di un treno notturno. C’è chi, come me, ha un biglietto per uno dei pochissimi treni diretti a Salerno –da lì poi c’è l’Alta Velocità e l’avventura finisce.
L’Intercity non è pieno, di più: passeggeri, cani, gatti, valigie, borse, cipolle, limoni ovunque. Naturalmente, ognuno ha il diritto di portare con sé ciò che ritiene. Io, purtroppo, non ho ritenuto di portarmi nemmeno un panino, così viaggio sette ore affamata, non essendoci una carrozza bar. Almeno l’acqua l’avevo, perché l’aria condizionata non funziona e, soprattutto, molti sono stati più coraggiosi di me e hanno accolto l’invito di Trenitalia a viaggiare in piedi. Impossibile muoversi.
Impossibile usare la toilette: non ce n’è una libera. Ma non sono tutte occupate: quando i passeggeri, dopo tre ore, iniziano a lamentarsi con il controllore, si scopre che, dentro i bagni, nascosti nel vano del water (meno di un metro quadro), c’è chi sta vivendo un’avventura più grande della nostra -i migranti in viaggio dalla Sicilia e dalla Calabria verso altrove, uno in ogni bagno del treno.
Ad ogni fermata, qualcuno sale senza biglietto: il controllore, per un po’, cerca di dare multe o di far scendere chi non è munito di titolo di viaggio. Dopo due ore, dopo aver visto donne piangere e uomini chiamarlo amico, si arrende e inizia a chiudere un occhio, poi due. Noi passeggeri di occhi ne chiudiamo tre.
Nella mia carrozza, intanto, è ora di pranzo: tutti tirano fuori dalle borse delizie delle loro terre che stanno lasciando. Sì, perché a parte me e pochissimi altri viaggiatori, il treno è occupato da chi sta andando, dalla sua terra, ad un altrove a Genova, Milano, Torino. Tornerà nel Sud in cui è nato alla prossima festività. Nonne con i nipoti, intere famiglie, neonati, cugini: nessuno sta viaggiando da solo, per motivi di lavoro.
Dopo circa 18 ore di viaggio arrivo a casa, a Livorno.
La citazione di Chesterton “Il mondo non finirà per mancanza di meraviglie, ma quando l’uomo smetterà di meravigliarsi” è bellissima.
Ed è la riposta che do a chi mi chiede perché –perché!– io abbia intrapreso un simile viaggio. Rispondere che ho un cane che non può viaggiare in aereo è troppo banale. La mancanza di meraviglia per chi crede di poter viaggiare normalmente in treno verso il Sud dell’Italia è la risposta giusta a chi mi guarda inorridito come se fossi andata a Pechino a piedi o a New York a nuoto.
Meravigliatevi tutti, sono solo andata e tornata a Sud di Roma in treno.
Così come percorro in treno la tratta Milano-Livorno-Roma due, tre volte la settimana, pensavo fosse possibile percorrere la tratta Livorno-Catania nello spazio di pochi giorni.
Mi sbagliavo. Ora lo so, e sarò felicissima di riempire le tasche (irlandesi) di Ryanair che, in un’ora e mezza, mi porta fresca e riposata in tutta Italia. (Lo sa anche il signor Ryan, che sa meravigliarsi per affari e che riapre ignoti aeroporti del Sud tre giorni dopo le convocazioni degli insegnanti al Nord in seguito alla #buonascuola).
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