Trasporti
L’aviazione italiana va bene, Alitalia no
Assaeroporti ha pubblicato le statistiche dei passeggeri 2019. Il settore è in buona salute, con 160 milioni di passeggeri unici, per un quinto nei voli nazionali, dove la crescita è stata inferiore all’uno per cento e per quattro quinti nei voli internazionali, in cui quasi sei per cento di segno più va ad aggiungersi ai buoni risultati degli ultimi anni.
In dieci anni i passeggeri dei voli nazionali sono saliti del 15%, da 28 a 32 milioni, ma quelli internazionali, passando da 73,5 a 128 milioni, sono cresciuti di ben il 75%. Il Paese si è dunque aperto e l’aviazione è stato lo strumento che ne ha consentito l’apertura. Anche la mobilità interna è cresciuta molto, ma principalmente ad opera dell’Alta Velocità ferroviaria che ha divorato la quota di mercato dell’aereo su tante tratte interne, a partire dalla Linate-Fiumicino, che da gallina dalle uova d’oro è diventata un pollastro qualsiasi. Si viaggia in aereo soprattutto fra le isole e il “continente”, sulle lunghe relazioni nord-sud e verso quelle zone che sono rimaste ai margini dello sviluppo dell’AV.
La vivace dinamica del trasporto aereo è stata in netto contrasto con la stagnazione decennale del Prodotto Interno Lordo e anzi è stata uno dei fattori che hanno tenuto a galla il PIL, insieme al turismo di cui è motore essenziale. Per inciso, le emissioni di CO2 degli aerei restano una parte infima del totale e ci sono tanti settori, innanzitutto quello della generazione di elettricità, su cui intervenire con risultati ben più decisivi. Il movimento “flight shame”, che a torto mette gli aerei nel mirino, appare privo di senso appena si guardano i numeri.
Salvo che per chi sogna il ritorno all’età della pietra, lo sviluppo dell’aviazione è un fenomeno positivo. Se giriamo lo sguardo all’indietro, capiamo che l’aviazione ha consentito una sprovincializzazione altrimenti impensabile. La mobilità delle giovani generazioni, fra Erasmus, università e lavoro all’estero, è aumentata senza che nuovi Rocco e i suoi fratelli la raccontassero come dramma e in generale la mutua conoscenza dell’Europa è enormemente cresciuta fra i popoli che la compongono. Inutile dire che questa è la migliore polizza d’assicurazione per il mantenimento della pace, il baubau sovranista può fare presa solo nelle aree più provinciali e fra le fasce sociali più anziane, cioè esattamente fra coloro che hanno viaggiato meno. Forse non è un caso che perfino il partito di Salvini abbia abbandonato le posizioni antimeridionalistiche delle origini, che la maggiore frequenza degli scambi rende sempre più anacronistiche.
Nel 2009 e dopo decenni di sussidi pubblici Alitalia venne privatizzata, vendendola a Colannino e i suoi capitani coraggiosi. Da allora è praticamente fallita più volte, malgrado il mercato crescesse a ritmi visti solo fra i telefonini. È certamente un paradosso che il leader del mercato sia eternamente in crisi non perché il mercato va male, ma perché il mercato va bene grazie all’essersi reinventato.
Come buona parte del Paese, che ha i peggiori risultati d’Europa, Alitalia va male perché ha rifiutato di adattarsi ai nuovi tempi e ha trovato politici antiquati e inadeguati, che con continue erogazioni di soldi pubblici le hanno consentito di restare inchiodata al passato, ignorando tutte le occasioni di crescita.
La scorsa settimana easyJet ha presentato il suo nuovo aereo Airbus A321neo a Milano, dove baserà i primi quattro esemplari impiegati sul continente europeo. Rispetto al modello originale i consumi e le emissioni sono ridotti del 15%, il rumore addirittura della metà. Perché a Milano? Perché la debolezza di Alitalia, unita alla vivacità del mercato milanese, lasciano spazio a chi lo sa occupare. Negli stessi giorni Alitalia ritirava dal servizio un altro dei suoi vecchi A321, ormai giunto a fine vita e destinato ad essere riciclato magari in lattine di birra. Alitalia era stata insieme a Lufthansa il cliente di lancio dell’A321, che ora vive una seconda giovinezza e consente costi più bassi, che si traducono in biglietti più economici e successo sul mercato.
Alitalia resta a guardare, con aerei che invecchiano, mentre i soldi ricevuti dallo Stato vanno a pagare solo gli stipendi e non vengono investiti per avere aerei nuovi, più economici, meno rumorosi e meno inquinanti.
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