Partiti e politici

L’aeroporto di Bologna vola in Borsa, quelli di Parma e Forlì resteranno a terra

21 Luglio 2015

Il successo del collocamento in Borsa dell’Aeroporto di Bologna è stato tale che i vecchi soci ora si mangiano le dita, per aver venduto a 4,50 euro le azioni che gli investitori si strappano di mano a un prezzo che è stabilmente sopra i 6.

Certamente le incertezze della crisi finanziaria greca avevano consigliato prudenza, per non far abortire l’iter di quotazione che è lungo e costoso e le banche collocatrici, si sa, preferiscono sempre un prezzo basso che rende più facile portare a termine l’IPO, condizione indispensabile per incassare le commissioni. Questa volta, col senno di poi, hanno proprio esagerato, la forchetta proposta inizialmente era già molto bassa rispetto alle valutazioni ad esempio di SAVE, che controlla gli aeroporti veneti e si è scelto di piazzare le azioni al minimo.

Il settore aeroportuale è stato ultimamente investito da un fervore di interesse che ha fatto schizzare in alto i valori, i vecchi soci di Bologna si possono consolare perché sì, hanno venduto ad un prezzo non ottimale, ma comunque nel momento ideale e sanno che, se decidessero a breve di vendere le azioni che hanno conservato, incasserebbero prezzi stellari. Le malelingue si chiedono se un privato si sarebbe fatto convincere dalle banche collocatrici a proporre un prezzo così sbagliato, ma il presidente della Camera di Commercio bolognese risponde che addirittura qualche banca aveva sconsigliato la quotazione in Borsa, ritenendola impossibile.

Ciò detto, la mano invisibile e impietosa del mercato finanziario ha comunque fatto, nello spazio di una giornata di Borsa, quello che la politica non era mai riuscita a fare in molti anni: dare la cintura di campione del traffico aereo dell’Emilia-Romagna all’aeroporto di Bologna e decretare la completa inutilità di quelli di Parma e Forlì, che compaiono sulle pagine di giornali non per brillanti exploit borsistici, ma soltanto per le odissee dei rispettivi ripetuti salvataggi.

Sono tempi sempre più bui per gli aeroporti secondari italiani, tutti alle prese con crisi di bilancio e di traffico irreversibili e che tuttavia non si rassegnano a chiudere, per campanilismo, clientelismo e inguaribile propensione allo spreco.

Il Paese è pieno di aeroporti, nati quasi sempre per esigenze militari, che hanno avuto per decenni un traffico insignificante, ma che il boom delle linee aeree low cost ha illuso di poter diventare grandi. Qualcuno, come quello di Bergamo, ce l’ha fatta ed è ora il terzo aeroporto italiano, spinto dall’inarrestabile crescita di Ryanair che ne ha fatto la propria base lombarda e dalla limitazione imposta a quello di Linate, ma la lista dei sedotti e abbandonati dal vettore irlandese e dai suoi più o meno abili imitatori è lunga. Chi leggesse i quotidiani di provincia si troverebbe proposta la stessa storia a Parma, a Forlì, a Cuneo, a Trapani eccetera.

Che cosa è successo? Ryanair, che ora è la principale linea aerea in Italia per numero di passeggeri, agli inizi cercava aeroporti vuoti che accettassero in pratica di non essere pagati per i servizi offerti e che magari offrissero soldi propri o degli enti locali per avere voli che altrimenti non ci sarebbero mai stati, permettendo ai locali di volare a basso prezzo per l’Europa e, possibilmente, attirando turisti mai visti prima.

La storia ricorda certi vaudeville in cui il provinciale veniva spennato a Parigi dalla femme fatale, con Ryanair che non mancava di battere cassa ricordando che No romance without Finance, ma il gioco si è rotto quando gli Irlandesi si sono sentiti pronti per fare il grande salto e conquistare i più borghesi aeroporti delle grandi città, dove avrebbero potuto attrarre passeggeri ben più danarosi, impresa che pare riuscire benissimo, dopo un profondo miglioramento del servizio.

L’aeroporto di Forlì è stato addirittura sedotto e abbandonato due volte, prima da Ryanair che proprio trasferendosi a Bologna iniziò da noi la propria marcia verso gli aeroporti maggiori e poi da WindJet, infelice low cost siciliana il cui patron, quel Pulvirenti noto ai più come presidente del Catania calcio, è ora indagato per bancarotta  fraudolenta.

La linea aerea sicula si trasferì a Rimini e Forlì rimase senza voli e finalmente chiuse, ma la sciocca cocciutaggine dei romagnoli li porta a illudersi che funzionerà il rilancio proposto da un affarista americano, che promette nientemeno che voli per Washington, che persino Alitalia ritiene impossibile riempire da Roma. Rimini è restato chiuso per un po’, ma ha riaperto, sperando che ora sia gestito senza i vecchi sogni di gloria che l’avevano portato al dissesto e per quello che è, un aeroporto stagionale al servizio degli stranieri che vogliono andare in vacanza sulla Riviera romagnola.

Nessuna linea aerea pilotata da manager sani di mente sceglierebbe mai altrimenti di atterrare, invece che a Bologna, a Forlì, dove il mercato locale è irrisorio e tutti i passeggeri, anche ai tempi d’oro, avrebbero preferito arrivare nella città delle due torri. Ryanair era stata attratta da sovvenzioni che hanno portato Forlì al dissesto, ma poi Bologna ha accettato forti sconti e Ryanair si è spostata, perché a Bologna non solo si trovano passeggeri disposti a pagare biglietti più cari, ma se ne trovano molti di più, perché Bologna è facilmente raggiungibile da un’area molto più vasta e lo sarà ancora di più quando andrà in (aero)porto il progetto di frequente e veloce collegamento people mover con la stazione di Bologna Centrale.

Per l’aeroporto di Parma vale lo stesso discorso, decollano soltanto voli Ryanair, in forza di un vecchio accordo, cinque volte la settimana per Cagliari e Trapani, tre volte per Londra Stansted. Per qualunque altra destinazione e nei giorni in cui il volo non c’è o se gli orari non sono ottimali, il passeggero anche parmense partirà da Bologna o da Milano Linate o da Bergamo e chiunque venga da un’altra città non prenderà nemmeno in considerazione Parma , salvo che perché la difficoltà di riempire i voli spinge Ryanair a vendere i biglietti Parma-Trapani ad un prezzo inferiore rispetto ai Bergamo-Trapani.

L’aeroporto di Parma, come quello di Forlì, è assolutamente inutile e una serie di grida manzoniane chiamate Piano Aeroporti non solo non è mai riuscita a farlo chiudere e a risparmiare allo Stato l’inutile spesa per vigili del fuoco, poliziotti, doganieri, controllori di volo etc. che vedono ben 13 voli la settimana, quando a Fiumicino ce ne sono 500 al giorno, ma nemmeno è riuscita a convincere gli indigeni che il loro aeroporto vuoto di strategico non ha nulla.

Lo stesso vale per Cuneo, per Forlì, per Comiso eccetera eccetera. A Parma ci sono due aggravanti, l’Unione Industriali ha deciso di versare 5 milioni di euro per tenere in vita l’aeroporto e non perdere la strategica possibilità di non dover viaggiare fino a Bologna per volare a Trapani cinque volte la settimana e il sindaco grillino Pizzarotti, quello che avrebbe dovuto essere l’avanguardia del Movimento 5 Stelle contro gli sprechi, per mesi ha blaterato su quanto fosse strategico e indispensabile l’aeroporto che non ha e non avrà voli.

Gli industriali parmensi, in linea di principio, sono liberi di buttare i propri soldi come vogliono, seguendo magari l’augusto esempio di Calisto Tanzi, ma c’è il sospetto che quei 5 milioni di elemosina siano un do ut des a buon rendere con la politica e con un popolino bue che non vuole ammettere che Parma non è Bologna e ritiene invece che, come qualsiasi Ducato che si rispetti, non possa fare a meno di un aeroporto internazionale.

Il sindaco Pizzarotti, pur mezzo scomunicato da parte del suo capocomico, dovrebbe far capire agli illusi che il suo Movimento cambia tutto affinché non cambi niente e sarà forse l’effetto del forte legame aeroportuale con la Sicilia, i famosi cinque voli settimanali per Trapani. Pizzarotti si comporta esattamente come i suoi omologhi delle altre città con aeroporti fantasma o tenuti aperti a suon di denaro pubblico. Sinistra, destra o Movimento 5 Stelle non cambia.

Quanto a me, constato che a cambiare le cose in Italia sono solo gli stranieri, che siano quelli di Ryanair che fanno e disfano le fortune degli aeroporti oppure l’antipatica signora Merkel, senza la quale forse avremmo, felicemente, il rapporto deficit pubblico/PIL al 12%, la lira con i suoi tanti zeri e la svalutazione periodica.

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