Trasporti

È la dura legge del bilancio: ieri Air France, domani Alitalia

5 Ottobre 2015

Hanno fatto il giro del mondo le immagini del capo del personale di Air France che perde la camicia nello scavalcare una recinzione, per sfuggire al linciaggio di chi protestava per il licenziamento di 2.900 dipendenti. Anche data per scontata la passione parigina per le barricate, dalla Bastiglia al ’68, passando per il 1830 o la Commune, non sono certo scene usuali e hanno scatenato l’ira dei vertici politici, che forse volevano intimidire.

I licenziamenti sono quelli che Air France aveva annunciato se non fosse stata accolta la sua richiesta di adeguare verso il basso il costo orario dei suoi dipendenti. Non è la prima volta che la dirigenza ci prova, finora l’azienda si era sempre piegata dopo una serie di scioperi che hanno un costo devastante. In un Paese come la Francia era stata sicuramente dell’Eliseo l’ultima parola su che cosa dovesse fare il vettore che di fatto controlla. Questa volta probabilmente andrà diversamente, salvo una escalation che pare improbabile ora che le immagini diffuse hanno fatto perdere ai dipendenti l’appoggio dell’opinione pubblica.

È la prima volta che si ricorre ai licenziamenti per ridurre la forza lavoro, precedentemente c’erano state solo riduzioni concordate. Probabilmente i sindacati erano convinti che i licenziamenti secchi fossero tabù in un’azienda pubblica in cui gli scioperi hanno così forti conseguenze, la rabbia non è stata contenuta e per fortuna non c’è scappato il morto.

Il lettore italiano, cullato per anni nella prospettiva che il principe azzurro Air France prima o poi avrebbe salvato Alitalia, portandola via sul suo cavallo bianco, resta probabilmente stupito. Che cos’è successo? Air France, seguita a ruota dalla tedesca Lufthansa, è la linea aerea europea che finora è meno cambiata in seguito agli sconquassi determinati dalla liberalizzazione del traffico aereo. Il settore non è certo in crisi, i passeggeri anzi aumentano ogni anno, ma il prezzo dei biglietti è molto diminuito, a causa dell’entrata in gioco sempre più massiccia dei vettori low cost nell’Unione Europea, del consolidamento avvenuto negli Stati Uniti, dove ora ci sono solo tre colossi fra i vettori tradizionali e del successo inarrestabile dei vettori del Golfo e della Turchia, che non hanno rivali nel traffico fra l’Europa e quella fetta di mondo compresa fra Hanoi e Città del Capo, giù fino all’ Australia e alla Nuova Zelanda.

Air France e in minor misura Lufthansa, proprio perché più forti, sono le linee aeree europee che meno di tutte hanno ridotto fin qui i costi, esternalizzando e riducendo gli stipendi. British Airways ha dalla sua la mano libera che le concede il sistema liberista britannico, la ricchezza del traffico della City, la scarsità di slot a Heathrow per chi volesse farle concorrenza. Iberia è stata rivoltata come un calzino proprio da British Airways, Alitalia come sappiamo passa da un ridimensionamento e un amministratore delegato all’altro, i piccoli vettori hanno quasi sempre l’acqua alla gola, salvo eccezioni.

Il punto è che un volo Roma-Parigi costa ad Air France o ad Alitalia probabilmente il doppio che ai concorrenti low cost, ma può essere venduto solo ad un prezzo leggermente più alto. Non c’è da stupirsi che questi ultimi guadagnino, ad un prezzo di mercato a cui i vecchi elefanti perdono. Fin qui Air France si rifaceva con gli altissimi prezzi dei biglietti in Business Class o in Prima Classe da Parigi verso i quattro angoli del mondo, ma quei prezzi sono crollati appunto per le destinazioni fra il Sudest asiatico e il Sudafrica, i concorrenti-alleati americani sono sempre più aggressivi e il resto del mondo di fatto conta poco, anche quelle destinazioni africane ex coloniali per cui Air France ha quasi un monopolio e prezzi altissimi non sono in grado di controbilanciare.

I vettori americani da tempo accusano quelli mediorientali di fare concorrenza sleale, perché ricevono aiuti di Stato, ma se l’America ha poca voglia di castigare i principali clienti della Boeing, è impensabile che la Francia sbarri la strada alla Emirates che compra metà della produzione dei giganteschi Airbus 380 costruiti a Tolosa.

Air France si deve in qualche modo arrangiare e i suoi dipendenti pure, in Francia la politica non lascerà mai che la sua linea aerea ripercorra il cammino di Alitalia e, in ogni caso, Airbus viene prima come importanza e non solo per il collegato business militare e tecnologico.

Quanto a noi, Air France conserva per contratto fino al gennaio del 2017 la gestione del trasporto merci (cargo) nella pancia degli aerei Alitalia e di fatto intercetta, con l’aiuto di una recalcitrante Alitalia di cui ormai è solo un socio marginale, buona parte del traffico intercontinentale italiano, in particolare fra il nord Italia e il nord America. Ad esempio Air France e la sua collegata KLM hanno a disposizione molti preziosi slot Alitalia nell’aeroporto milanese di Linate, mentre Lufthansa, British Airways e i vettori loro collegati non ne hanno abbastanza e devono mantenere molti voli da Malpensa.

L’Amministratore Delegato dimissionario Cassano mi aveva detto chiaramente che, se Air France non avesse rinunciato alla parte del leone, Alitalia avrebbe cercato di accordarsi direttamente con il partner americano Delta. Per Air France il ridimensionamento della quota di mercato in Italia sarà un ulteriore colpo negativo, ma i tagli alle rotte in perdita che seguiranno i licenziamenti dovrebbero riequilibrare i conti. Air France non è Alitalia, anche se è facile prevedere nuovi tagli nel futuro.

Il povero Berlusconi è stato a lungo rimproverato per non aver concesso ad Air France la mano di Alitalia, comunque tutti pensavamo che nel 2014 al massimo ci sarebbero stati i fiori d’arancio. Ora ci sono gli Arabi di Etihad, che però non potranno mai arrivare neanche al 50% d Alitalia. Se invece la linea aerea italiana fosse finita sotto controllo francese vedremmo certo tagli selvaggi che la ricchezza araba per ora risparmia. La lezione parigina di oggi è che comunque non si può sfuggire alla dura legge del bilancio, il cui pareggio è per Alitalia una promessa che non è ancora mai diventata realtà, miraggio che anno dopo anno si allontana. La protezione politica non può bastare e non è garantita per sempre.

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