Partiti e politici
ITA Airways va venduta se non si vuole che fallisca
Il riflesso pavloviano statalista di Giorgia Meloni l’ha portata a chiedere l’interruzione del lungo processo con cui Draghi sta cercando un partner robusto per la piccola ITA Airways, erede di Alitalia soprattutto nelle debolezze.
Chiunque nel mondo dell’aviazione sa che la linea aerea nostrana non può stare in piedi da sola, perché ha da decenni lo stesso fallimentare modello di business, che l’ha portata più volte al collasso e alla ripartenza dopo il versamento di miliardi di euro da parte dello Stato, oltre a quelli generosamente, ma non sempre volontariamente offerti da altri soci, come i “capitani coraggiosi” di Berlusconi, Intesa Sanpaolo, UniCredit, le Poste, gli Arabi di Etihad, per non ricordare i fornitori, dagli aeroporti nazionali ai più spiccioli, che hanno visto svanire centinaia di milioni di crediti commerciali.
La linea aerea stessa, scialacquando euro per ridipingere gli aerei del colore della maglia azzurra, con tanto di bordino tricolore, intitolandoli alle glorie sportive della Patria, ha cercato di rendersi “campione nazionale” irrinunciabile, nonostante controlli ormai una manciata di punti percentuali del traffico da e per lo Stivale.
Negli USA ci sono tre linee aeree tradizionali che si spartiscono il mercato, insieme alla low cost Southwest e a un paio di concorrenti più piccoli che cercano di unirsi per acquistare più peso. In Europa il processo di consolidamento è più indietro, ma le ex compagnie di bandiera di Paesi Bassi, Spagna, Irlanda, Svizzera, Austria e Belgio sono da tempo accasate in gruppi di maggiori dimensioni, capitanati da quelle di Francia, Gran Bretagna e Germania che hanno un ordine di grandezza ben diverso da ITA e che sono già tornati a fare profitto, dopo la triste esperienza del Covid.
Che ci sia qualcuno disposto a entrare nel capitale di ITA è già un miracolo, dovuto alla dimensione del nostro Paese e alla sua importanza per i big del settore. Lufthansa, che deve vincere la diffidenza dei Tedeschi, è costretta a ricordare che, dopo quello di casa e quello statunitense, è proprio il mercato italiano quello per lei più importante.
Le linee aeree rimaste indipendenti degli altri Paesi europei o sono nei guai, come la scandinava SAS recentemente entrata nella procedura di amministrazione controllata americana o sono troppo piccole e poco significative perché valga la pena intervenire nel loro capitale, anziché limitarsi ad un’alleanza commerciale.
Il no di Fratelli d’Italia alla privatizzazione suona come gli otto milioni di baionette della buonanima, figlio di un orgoglio senza sostanza. Come la Spagna non abbiamo bisogno di una linea aerea eternamente perdente, che dipende non da propri buoni risultati ma dall’elemosina statale. Non capirlo è veramente sciocco.
Meloni ci è o ci fa? Ha aperto bocca per raccattare qualche voto nostalgico o veramente vuole mettere il bastone fra le ruote della privatizzazione, copiando il Berlusconi del 2008 che fece saltare, insieme ai sindacati, la vendita di Alitalia a Air France?
Draghi ha promesso di tirare dritto, il MEF ha chiesto qualche miglioramento di facciata alle offerte degli aspiranti acquirenti, probabilmente si firmerà un accordo con la cordata MSC-Lufthansa, ma non ci sono i tempi tecnici per il closing di vendita prima delle elezioni anticipate. Dunque la parola fine potrà essere scritta soltanto dal governo che uscirà dalle urne e, se si farà la volontà di Giorgia, la mancata vendita segnerà la fine della linea aerea italiana. Mi chiedo se i suoi alleati saranno così stupidi da lasciarglielo fare, visto che ITA non arriverebbe al panettone del 2023 e toccherebbe allo stesso governo togliere le castagne dal fuoco. Anche a chi non desidera la vendita farebbe comodo lasciar fare a Draghi il lavoro “sporco”.
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