Trasporti
Il treno? Sembra il ‘Bar Sport’
La ‘Luisona’, la decana di tutte le paste, di sicuro non c’è. Ma il treno, che sferraglia per il Paese, un po’ il ‘Bar Sport’ lo ricorda. Eccome. Se nel libro di Stefano Benni – a proposito, tanti auguri per i quarant’anni in libreria portati benissimo – spunta una variopinta famiglia di personaggi quasi mitologici come il ‘tennico’ o il bimbo del gelato, il nonno da bar e il professore, il playboy da bar o il cinno, pure sui convogli sbuffanti all’occhio divertito del pendolare – che va su è giù sulla dorsale adriatica tra Rimini e Bologna – non sfuggono curiosi ‘tipi da treno’. Figure ricorrenti. Oramai tradizionali, pur con volti e intonazioni diversi.
Il nonnino del ‘lissio’
È lui, il perfetto nonnino romagnolo d’un tempo. Un po’ tracagnotto, baffoni grigi. Pantaloni blu di fustagno, camicia scozzese e panciotto blu senza maniche. Siede in treno. Me lo vedo, in inverno, a rimirare cantieri – da bravo umarell – e, in estate, a giocare a briscola sotto una veranda. Indossa delle auricolari che, da lontano, sembrano collegate a una radiolina d’antan. Invece sono attaccate a uno smartphone. Smanetta sul display, un po’ contrariato. “Osciadlamadona, un’s ved piò gnint (accidenti, non si vede più niente, ndr) – impreca – e adess? Ciò burdel – si rivolge a me – ‘sto iutub oggi non va”. Ri-smanetta ancora un po’ poi, sconsolato, si dichiara sconfitto. “Putana vigliaca – si lascia andare sul sedile – volevo ascoltare il lissio, Renzo il Rosso e la Luana Babini, putana vigliaca boia”. La Vecchia (smart) Romagna, che spettacolo.
Il ‘ragionier Filini’ della domenica
È il grande classico della domenica mattina. Sulla Frecciabianca diretta a Milano, il gruppo di coppie pensionate – in libera uscita per l’Italia in gita gastronomico-culturale – non manca mai. E, grande classico del grande classico: lui, l’organizzatore compulsivo. Il ragionier Filini della situazione. Che spesso, come il suo alter ego fantozzian-cinematografico indossa occhiali con lenti simili a fondi di bottiglia ed è roso – sempre – dalla smania di avere qualsiasi cosa sotto controllo. Agitatissimo si sincera che tutti siedano al posto giusto – redarguendo i pendolari che non lo cedono con la dovuta solerzia -, che i viveri per il viaggio siano sufficienti, che tutti siano allegri. “E che diamine, andiamo a divertirci”. Saltella tra un sedile e l’altro. Quando passa una signora di bell’aspetto cede il passo da gagà d’altri tempi, trasformandosi per un attimo nel ragionier Calboni. Subito fulminato dallo sguardo della moglie. Raggiunge l’acme tirando fuori dal borsello anni 70, delle schede del “bellissimo museo che andremo a visitare”. Senza ottenere gran successo. “Ascolta, tesoro – lo zittisce la consorte – lo sapevi che la “fiola dla Palmina’ (nome di fantasia, ndr) si è lasciata col marito…dai, fammi ascoltare”. Non resta che la Gazzetta dello Sport. Rosea compagnia per il povero Filini della domenica.
Quando i tedeschi vogliono fare gli italiani
Si allontanano dal loro gruppetto di giovani teutonici in gita e si dirigono verso i bagni – a pagamento – della Stazione di Bologna. Arrivano davanti ai tornelli. Il più biondo dei due inserisce l’euro nella buchetta e, appena le due lastre di vetro si aprono, volano dentro. Una volta passati, sorridono soddisfatti. Per un nano secondo: “oh, giovani – li apostrofa l’omino delle pulizie che ha visto tutto – allora? Un euro, un ingresso, mica due..”. Il tedesco tira fuori un’altra moneta. “No no, adesso esci – scuote il capo l’omino – rimetti il tuo soldino nella buchetta, ti rifai la fila”. Poi ghigna, “tse, venire a fare gli italiani a casa nostra…”
Il ‘Billy Elliot’ del binario 4
Il ragazzino, sui 15 anni, si è appena trangugiato quelle 5-6 merendine prese al distributore automatico sul binario 4. Non è proprio un fuscello ma deve sentirsi una specie di Billy Eliot: mentre mamma e sorella smoccolano per il ritardo del treno, lui ‘danza’. Saltella di qua è di là, prova una roba che dovrebbe essere un’attitude, piroetta a destra e a manca. Tutta sta grazia non la ha, movenze da Bolle nemmeno ma, nonostante la mole, tenta passi leggiadri. Soprattutto fa sorridere chi aspetta il convoglio in perenne ritardo e, per una volta, non guarda neppure in cagnesco il volenteroso controllore, già pronto alla supercazzola giustificatoria.
‘Inglisc’
Vicina di posto in treno. Chiacchiera con un’amica al telefonino. “Allora ti briffo un attimo: mi ha chiamato il cicci. Si, una chiamata classica, di default direi. No, simpatica, poi io ero già nel loop della risposta. Vabbè, ti saluto che devo preparare il roadshow”, aggiunge guardando l’orologio. “Accidenti, sto treno è un po’ late, bye”. Li becco tutti io.
Il ‘silenziatore’ di bambini
Nuovo arrivo nella galleria dei personaggi da treno: il silenziatore di bambini. Dopo essere stato una ventina di minuti al telefono con la madre chiedendole lumi sulla cena e ordinandole una impepata di cozze, si siede al suo posto e cerca di dormire. Proprio quando si assopisce, salgono due famigliole – babbo, mamma e due figli l’una, dirette al Sud per qualche giorno di vacanza. Ad ogni strilletto di uno dei piccoli fa partire un baritonale ‘sshh’. I bimbi lo prendono per un gioco e ad ogni ‘sshh’ replicano alzando un po’ il toni della voce. Cinque minuti così e poi biascica qualcosa in pugliese – si capisce giusto un ‘sti recchie de gomm’ più o meno – e fa partire un tonante “mobbasta”. Funziona: i genitori non osano replicare, i piccoli si zittiscono. Si risistema per il pisolino soddisfatto: “io con i bambini ci so fare…”.
Il ‘neo melodico’ da viaggio
Pensavo di avere visto e sentito quasi tutto su un treno. Mi sbagliavo: non avevo ancora incrociato il cantante neo melodico. Un’ora ininterrotta di gorgheggi. Una nenia a voce medio bassa continua. Nemmeno la ragazzetta al telefono con il fidanzato lo scalfisce: se lei alza il tono, lui lo alza ancor di più. Tra un piezz’ e core e l’altro ormai non c’è verso di farlo smettere. Mario Merola lo adorerebbe.
Il ‘gagà’ da scompartimento
È un pendolare, di quelli che scendono a Bologna. Uno ‘riottoso’. Che quando si siede dove capita poi sbuffa, quando arriva il legittimo proprietario del sedile. E sbuffa è un eufemismo. Gli chiede il posto una leggiadra fanciulla. Una modella, diretta a Milano. Altissima, ancor di più per il tacco chilometrico. Gli sorride, indica il posto e dice “sarebbe il mio”. “Subito”, si alza con movenze da consumato ‘gagà’. “Ecco qua. Ma prego, tutto suo. La posso aiutare con il bagaglio?”. “Grazie, fa lo stesso, lo appoggio a terra”, replica la ragazza. “A terra, ma si figuri. Poi si sporca, no no no. Ci penso io, sono qua apposta”. Si alza sulle punte per sistemare il bagaglio sulla rastrelliera, non senza fatica, poi sfodera un sorrisone. “Bene, tutto a posto. Allora buon viaggio, se ha bisogno di qualcosa, sono qui, chieda pure…”. Fa due passi, lancia il suo zaino su un sedile vicino, quasi colpendo il ragazzo seduto a fianco. “Eddai – gli biascica – spostati un poco che non ci passo, ca@%£”. Idillio finito.
L”untore’ da viaggio
Almeno una volta a settimana – nella stagione fredda – lo si incrocia. Ci possono essere anche venti posti liberi ma già lo sai, appena apre la porta, che si sistemerà a qualche centimetro da te. Cammina ondeggiando tutto infagottato nel suo piumino. Solitamente scuro. Ad ogni passo uno starnuto, seguito da una ‘tirata su con il naso’. Si guarda intorno e poi, con voce nasale – ovviamente – e un colpo di tosse chiede: “è libero?” Non puoi nemmeno opporti: “ma certo”. Il “grazie” é coperto da una raffica di starnuti e un altro colpo di tosse. Si siede e butta lo zaino sul sedile vicino. Lo apre e tira fuori mercanzia varia degna di una intera farmacia. Prova di tutto: pastiglie per la gola, sciroppo per la tosse, spray nasale. Invano. Guarda i vicini con l’occhio pallato, un po’ arrossato e proferisce le immancabili parole: “eh, quest’anno ‘sta influenza è proprio cattiva. Forse dovevo fare il vaccino, ma con tutto quello che sente in giro…”. Poi si alza starnutendo e se ne va: l’attenzione ai farmaci antinfluenzali gli ha fatto quasi perdere la sua fermata. Un grande classico. Di solito, quando lui scende, nello scompartimento sale la donnina fanatica della pulizia, con il suo straccetto e il deodorante spray: “Diobò, con tutti germi che avrà lasciato quello là…”
Il controllore. ‘Noio…volevàn savuar’
La Freccia Rossa si è appena fermata. Una famigliola francese – nonni e due nipoti – si avvicina, con il proprio carico di bagagli, al controllore appena sceso dal treno. I quattro mostrano il biglietto per avere conferma sul convoglio da prendere: il loro è quello successivo, la Freccia Bianca in arrivo a pochi minuti di distanza. “Do you speak english? Chiede il controllore”. “No, nous sommes francais”, replicano. Il controllore non si perde d’animo. Gesticola un po’ cercando di far cadere l’attenzione sul tabellone luminoso con l’indicazione dei treni e poi parte: “le tren vostr è l’altr. dop”. La più piccola del gruppetto francese al “dop” ha una intuizione: “ah, apres”. Sorride, spiega ai nonni e ringrazia. Quel che si dice il genio italico.
La pendolare igienista
Sale sulla Freccia Bianca di prima mattina, tira fuori lo straccetto e uno spray per la polvere e strofina il tavolinetto davanti alla sua poltrona. Estrae dallo zaino due grandi foulard: ne sistema uno sulla seduta e uno sullo schienale. Se in quel momento, per caso, passa l’addetto alle pulizie, lo ‘rimbrotta’ sorridendo: guarda come si fa… Poi, finalmente, si siede. Non per molto: la sua fermata è una delle prime. Giusto una ventina di minuti di viaggio: pulitissimi.
La ‘ragazza della porta accanto’
Treno pieno, come sempre. In piedi tra uno scompartimento e l’altro, come capita spesso. Davanti a me, sul regionale che va da Piacenza ad Ancona, una bella ragazza sudamericana. Esile, viso pulito, nasino all’insù. Sorridente. Quella che si potrebbe definire la ragazza della porta accanto. Telefona e, ogni tre parole in spagnolo, spunta un “mamma”. Poi trilla un secondo telefono. “Si sciao ammore, dimi’’, risponde. Anche se non vuoi ascoltare non puoi: tra la porta dello scompartimento, il bagno e la porta dello scompartimento vicino saremo almeno in sei. “Da dove chiami? Ah ……, si non è lontano da casa mia. Si, questo lo fascio, no queste cose qua – ride – no… Allora, fasciamo a quest’ora. Ok sciao…’. Mette giù e torna a parlare al primo telefono. Poi un nuovo trillo. Ancora ‘’Si sciao ammore, dimi… Da dove chiami…Domani? Non ho molto tempo a quell’ora, se fasciamo in fretta…”. Poi riprende a parlare al primo telefono. Va avanti cosi, per un po’, fino a che non scende. Il tempo per fissare un po’ di appuntamenti, chiedere cortesemente quando arrivi la sua fermata e svelare, involontariamente, un campionario di pratiche degno di un best-seller erotico. Con noncuranza, come l’imprenditore che poco più un là fissa incontri con fornitori e clienti: gli affari sono affari. Una cosa come un’altra, insomma. Certo, avere tenuto conto delle richieste, per quanto in un tempo limitato, si sarebbe potuta fare una bella panoramica sui gusti degli italiani. Soddisfatti da una delle tante ragazze della porta accanto.
‘E mo’, come la mettiamo…?’
Sono tre amiche di mezza età. Trascinano, in un corridoio del treno – strettino a dire il vero – tre enormi trolley. “Posti 114, 115 e 116, sono i nostri”, grida una. “Però sono occupati”, urla un’altra. “Falli alzare”, attacca aggressiva la terza: “li abbiamo prenotati, quel che è giusto è giusto”. Strepitano a testa bassa verso un povero signore baffuto che chiede: “ho capito i numero dei posti, ma voi in che scompartimento siete prenotate?”. Le tre non ci stanno, insistono. Poi dopo qualche minuto di battibecco a voce altissima, e tutto lo scompartimento infastidito, una sventola il biglietto con ghigno di sfida: “ecco qua, posti 114-115-116, carrozza 4 e mó come la mettiamo?”. Già, peccato che questa sia la carrozza 5. Che cinema il treno…
Modernità
Seduta in treno, all’orecchio destro un telefono nero, al sinistro uno bianco. Alterna le parole: ora con una persona in linea sul telefono bianco, ora con un’altra su quello nero. Davanti a se, sul tavolino, un laptop. Sul sedile a fianco, appoggiato su una borsa, un tablet. Entrambi accesi cui, ogni tanto, volge lo sguardo. Dicono si chiami evoluzione. O modernità.
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