Media
Il disastro dei media nel disastro Germanwings
La tragedia del volo Germanwings sta assumendo una vita mediatica propria. Chiuso per sempre il delitto di Perugia, dopo quello di Garlasco, i media si buttano a capofitto nei 150 morti 150, anche se tra loro non si conta alcun connazionale. Dibbattiti TV, interviste alla ggènte e a esperti o presunti tali, me compreso, pare che tutti non abbiano altra preoccupazione del trovare un aspirante suicida ai comandi del loro prossimo volo. Per onestà devo riconoscere che il fenomeno avviene su scala planetaria e non può essere imputato ai membri dell’Ordine dei Giornalisti nostrano, capitanati da Bruno Vespa.
Quindi devo accantonare la mia supponenza e riconoscere che questo incidente ha toccato corde profonde, rassegnandomi alla fic-scion che pare inevitabile, sempre che non arrivi prima Hollywood con un blockbuster sulla scia di Titanic.
A centoquarantanove famiglie manca il rispetto per il proprio dolore, il doveroso silenzio è rotto dal baccano mediatico. La centocinquantesima, quella del copilota, pare che sia stata prudentemente messa al riparo dei riflettori, per evitare la sorte toccata alla sorella di Bossetti. Non ci sarà un funerale collettivo, indispensabile elaborazione del pubblico lutto, perché i resti non sono in condizioni tali da permetterlo. Anche i più avidi spettatori delle serie TV di medicina legale troverebbero insopportabile la puntata Germanwings 9525.
Qualcosa si è rotto anche nelle procedure di indagine, il contenuto delle conversazioni registrate nella scatola nera questa volta è stato dato il più velocemente possibile in pasto alla stampa, anzi proprio al più blasonato dei giornali, il New York Times, senza rispettare le regole. Tuttavia gli inquirenti non hanno a disposizione i dati della scatola nera che li registra e se noi cerchiamo certezze non le abbiamo, anche perché grazie a dio la registrazione delle voci di bordo non è finita (ancora) su YouTube.
Chi volesse evitare questo delirio irrazionale potrebbe seguire la vicenda su Aviation Herald e portare pazienza, aspettare il tempo necessario per le indagini, “tanto non muore nessuno”, perché purtroppo sono già morti tutti. Non è il primo suicidio di un pilota che costa la vita ai passeggeri e al resto dell’equipaggio, se il cancan non stimolerà altri all’imitazione resterà un episodio isolato e rarissimo e la nostra probabilità di incappare nel prossimo rasenterà lo zero, anche se non sarà zero.
Più pericoloso sarà sempre l’automobilista che non si ferma quando attraversiamo la strada sulle strisce, quello che lampeggia a cinque metri dal nostro bagagliaio mentre già andiamo a 130 km/h, lo Schettino che fa l’inchino per impressionare la ragazzetta, come quando da adolescente impennava la moto al semaforo.
Le compagnie aeree corrono ai ripari, quelle che già non lo prevedevano ora impongono la presenza di almeno due persone nella cabina di pilotaggio, ma in passato già si è vista la lotta fra un pilota che voleva suicidarsi e l’altro che voleva sopravvivere.
Ad una cosa dobbiamo rassegnarci, non avremo mai la sicurezza totale. Probabilmente la regola di non lasciare mai più nessun pilota da solo in cabina va nella direzione giusta, ma non è una misura risolutiva. In futuro dovremo preoccuparci dell’assistente di volo che sostituisce il pilota in cabina e vuole farla finita?
I morti per incidenti stradali in Italia sono la metà rispetto ad un paio di decenni fa, migliaia di morti in meno all’anno, ma non sono zero. I morti negli incidenti aerei non saranno mai zero, anche se questo incidente aiuterà a prevenirne altri. La sicurezza è un obiettivo a cui tendere ossessivamente, ma è irraggiungibile come l’orizzonte.
Forse non uccide, ma è più pericolosa la stampa, quella che dopo un’ora inondava carta e etere di dibbattiti fra la ggènte sulla pericolosità delle low cost o indicava in un battibaleno come insicuro l’Airbus 320, un modello già prodotto in 3.500 esemplari, senza contare i 2.300 delle altre versioni e i 4.200 complessivi ancora da consegnare alle linee aeree, insomma testato e ricontrollato in milioni di voli.
La voglia di sbattere in prima pagina il dolore, il sangue, la morte pare irrefrenabile, con un’audience immatura che non riesce a dire basta, a imporre il silenzio, a ordinare un minimo di dignità a quegli spacciatori di droga emotiva che sono diventati, per la maggior parte, i giornalisti.
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