Trasporti

I litigi folli per l’imbarco prioritario

7 Febbraio 2018

Mi sono sempre chiesto quali pulsioni inducano le persone in ambienti pubblici o almeno, certe persone, a comportamenti che in qualsiasi altra situazione sarebbero ritenuti bizzarri se non del tutto privi di ogni senso logico. Prendiamo i viaggi in aereo. Nell’ultimo anno ho assistito ad almeno quattro episodi di intemperanze, più o meno gravi, a bordo di voli low cost. Ho visto persone alzare la voce con altri passeggeri, dirigenti aziendali bisticciare per il posto a sedere, coppie questionare animatamente con il personale di cabina pur di non spegnere il cellulare. Si tratta di persone che senz’ombra di dubbio in qualsiasi altro contesto con ogni probabilità si distinguerebbero per moderazione e buon senso. Qualità che evidentemente scemano progressivamente varcando la soglia di un aeroporto, passando i controlli sicurezza e si perdono del tutto una volta messo piede nella cabina dell’aereo.

Certo, viaggiare in aereo nel terzo millennio ha perso del tutto l’aura raffinata ed elitaria di quarant’anni fa e anche quel poco di bon ton residuo negli anni Novanta è definitivamente evaporato. All’epoca l’aereo era riservati ai pochi che se lo potevano permettere. A massificare il trasporto aereo sono stati due fattori: la deregulation del settore aereo negli Stati Uniti del 1978 e l’introduzione del mercato unico europeo dell’aviazione cominciata nel 1983 e conclusa nel 1997 e successivamente estesa a Islanda, Norvegia e Svizzera. Dall’aprile 1997, ogni compagnia aerea in possesso di una licenza europea, può operare voli da qualsiasi aeroporto dell’Unione. I risultati di questi due processi sono stati la nascita di decine di nuove compagnie aeree, il calo drastico delle tariffe per effetto della concorrenza, l’ampliamento dei collegamenti e un aumento esponenziale dei passeggeri. Nel 1978 negli Stati Uniti volavano circa 250 milioni di persone l’anno, nel 2016 i viaggi registrati sono stati 932 milioni. Effetti simili ha avuto la liberalizzazione nel vecchio continente dove nel 1993 transitavano 360 milioni di passeggeri, moltiplicatisi in 918 milioni alla fine del 2015.

A metà anni Settanta un biglietto di sola andata per un volo domestico in Italia costava circa l’intero stipendio medio di un operaio. Nel 1976 il mio primo volo, da Roma a Reggio Calabria con ATI, costò ai miei genitori 120 mila lire, equivalenti a 545,74 euro di oggi. In questi giorni, lo stesso volo con Alitalia può essere agevolmente prenotato tra i 70 e i 100 euro. E sto facendo un esempio limite, perché la tratta in questione è tra le meno servite in Europa, afflitta da poco traffico e senza concorrenza. A inizio gennaio il volo di ritorno da Bruxelles a Treviso, mi è costato 9,91 euro. Per intenderci, il trasferimento dal centro della capitale europea all’aeroporto è costato 15 euro. Lo stesso dicasi per un qualsiasi Venezia Napoli, che nel gennaio del 1991 mi costò 206 mila lire (188,16 euro odierni) ma oggi con un po’ di avvedutezza riesco ad acquistare per 30-40 euro.

Proprio su questa tratta, su volo operato da easyJet, a giugno e a novembre dello scorso anno sono stato testimone della pratica piuttosto comune da parte dei viaggiatori abituali di lasciare il bagaglio a mano nelle cappelliere delle prime file, indipendentemente dal posto occupato. Lo scopo è essere tra i primi a scendere dall’aereo all’arrivo e funziona così: chi riesce a salire per primo a Venezia, anche se il suo posto assegnato è, supponiamo alla fila 20, infila il trolley negli spazi sopra le file 2, 3 e 4. All’arrivo, appena spenti i segnali delle cinture di sicurezza, scattano in piedi e raggiungono la testa della cabina per recuperare le valigie. Legittimo? Certo, peccato però che chi occupa le prime file, per le quali magari ha pagato un supplemento per assicurarsi quel posto o l’imbarco prioritario, una volta a bordo, sia costretto a mettere i propri bagagli a mano molto più indietro, di fatto rallentando le operazioni di imbarco a Venezia. All’arrivo a Napoli dovrà aspettare che buona parte dei 180 passeggeri siano sbarcati per percorrere a ritroso la cabina e recuperare il trolley, vanificando così la spesa supplementare (da 6 a 19 euro). Come è facile prevedere non tutti la prendono sportivamente e i frequenti battibecchi coinvolgono inevitabilmente il personale di cabina chiamato a fare giustizia sommaria. Eppure, per evitare imbarazzanti regressioni alla scuola per l’infanzia, basterebbe la semplice regola di imporre a ciascun viaggiatore di posizionare il proprio bagaglio in corrispondenza del posto assegnato.

Vicenda simile l’ho osservata in agosto su un Catania Venezia operato da Volotea dove un giovanotto ha dato in escandescenze per aver acquistato il posto in fila 2, ma ha avuto la ventura di salire a bordo tra gli ultimi e quindi ha trovato posto per la valigia alla fila 23. A metà volo è andato a recuperarsi il bagaglio e pretendeva di tenerlo nello spazio tra il sedile e la parete della toilette. Tanto era agitato e tanto ha fatto che gli assistenti di volo si sono imbarcati nello spostamento di una decina di altri trolley pur di calmarlo. Onore alla loro pazienza.

Resta tuttavia un mistero il motivo per cui tante persone acquistano l’imbarco prioritario o decidono di spendere una somma equivalente al 40, 70 e talvolta 100 per cento al prezzo del biglietto per l’assegnazione del posto con una compagnia low cost, soprattutto per voli da e per aeroporti di piccole e medie dimensioni. In questi scali, l’imbarco avviene da terra, a piedi o con un autobus e così pure lo sbarco. Quindi si acquista il diritto a salire prima, ma solo di pochi secondi rispetto agli altri passeggeri e, visto che le compagnie low cost rifuggono dall’utilizzo di servizi aeroportuali come i ponti mobili (fingers), all’arrivo tutti i viaggiatori vengono sbarcati nello stesso momento e fatti salire su un autobus che li porterà al terminal. Questo vale sempre per Ryanair e quasi sempre per easyJet, salvo non si atterri a Londra Gatwick. Il caso del Venezia Napoli è significativo, soprattutto perché lo scalo partenopeo è sprovvisto di ponti mobili.

Ha senso acquistare un diritto di precedenza che è di fatto inesigibile? La domanda resterà, temo, senza risposta, anche perché le compagnie aeree continueranno a far credere ai passeggeri pronti ad aprire il proprio portafoglio di essere dei privilegiati rispetto alla maggioranza di “poveri cristi” che, loro sì, viaggiano low cost con tutti i disagi del caso. Del resto, i ricavi ancillari rappresentano una fetta importante nei bilanci. Catering a bordo, scelta dei posti, imbarchi prioritari, lotterie, bagagli in stiva, collegamenti con gli aeroporti valgono complessivamente dal 15 al 30 per cento dei fatturati e sarebbe ingenuo chiedere alle compagnie aeree di rinunciarvi. Il mantenimento di tariffe basse quando non irrisorie ha come contraltare proprio lo sviluppo di questo modello. Ma è altrettanto ingenuo da parte dei clienti pensare di acquisire per pochi euro diritti e privilegi simili a chi può permettersi la business class e tutti i suoi (reali) benefici con le compagnie tradizionali (FSC).

@partodomani

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