Trasporti

Ecco come è stato dirottato il futuro di Rimini

6 Gennaio 2015

La politica in Italia inquina tutto. Non solo le aziende partecipate, i musei, le biennali, la Rai, gli ospedali, le Asl e gli enti lirici, persino i festival culturali estivi. E anche gli aeroporti, portandoli a volte al fallimento. Come il “Federico Fellini” di Rimini, che peraltro è sul confine con il comune di Riccione cioè nel cuore della riviera romagnola. Come fa a fallire un aeroporto in uno dei nodi nevralgici del turismo italiano? Nominando un ex sindaco alla gestione, Massimo Masini, senza nessuna esperienza, per esempio. Magari mettendo a bilancio fondi per conto della Provincia che poi però la stessa Provincia non eroga più per via dei tagli. E quindi i crediti di contributo a Ryanair, che garantiva i voli quotidiani con Londra, saltano e Ryanair un attimo dopo se ne va. Tanto ha già il non lontano scalo di Ancona come base per il medio Adriatico, senza contare Bologna.

Dove va un aeroporto senza il collegamento con Londra? Non lontano di certo. Reggono per ora alcuni voli charter con la Russia, perché ormai da tempo i russi hanno sostituito i tradizionali tedeschi che ora preferiscono Spagna e Grecia, inoltre il fenomeno delle discoteche è in un vistoso calo da oltre un decennio. Persino il Pepenero, il più famoso locale di entreneuse ha chiuso, e oggi la Rimini descritta nel romanzo omonimo di Pier Vittorio Tondelli è superata dai fatti. Dal giugno del 2014 Claudio Montanari è assessore al turismo del Comune di Riccione, tendenzialmente rivale di Rimini, ma non è del PD: in questo comune tradizionalmente rosso infatti il partito di Renzi e il Movimento 5 stelle siedono all’opposizione. «Certo, il commissariamento dell’aeroporto ha pesato molto nell’affermazione della nostra lista civica (Noi riccionesi, sostenuta anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia, ndr ) ma anche come desiderio di invertire la tendenza verso le politiche tradizionali in questo territorio troppo abituato a pensare il turismo come uno dei tanti servizi mentre è a tutti gli effetti un’industria, la nostra principale. Anche per questo dal 2000 abbiamo istituito l’Osservatorio sul Turismo per poter sopperire a una programmazione corretta. I numeri ci dicono che il turismo scandinavo e tedesco è ormai un lontano e pallido ricordo».

Le circa 1.200 strutture ricettive fanno di Rimini un grande contenitore di molti turismi non incentivato a rinnovarsi, mentre le circa 400 di Riccione sono più inclini al cambiamento. Gli hotel familiari reggono la crisi, ma in ogni caso manca ancora l’aggregazione d’impresa e la massa critica. Il turismo commerciale e ora il settore denominato leisure è certamente aumentato in questi ultimi quindici anni e i russi hanno colmato il venir meno dei tedeschi, estendo tra l’altro la loro presenza a quasi tutto l’anno, rendendo meno stagionale l’andamento del settore. Ma bisogna ancora fare molto per impostare una programmazione corretto: più opportunità di offerta e comunicazione più efficace del territorio della Riviera attraverso una narrazione plurale del suo territorio. «Soprattutto occorre internazionalizzare il turismo perché attualmente gli italiani sono all’82 % delle presenze annuali ed è un dato troppo sbilanciato perché si tratta esattamente del bacino messo più a rischio dalla crisi, andrebbe diversificato al più presto e per questo la mobilità andrebbe ripensata di conseguenza», aggiunge Montanari.

 In effetti solo i russi vengono qui quasi in ogni periodo dell’anno per fare soprattutto shopping secondo un modello mordi e fuggi che ha riconvertito l’economia di scala di quel territorio indeciso fra Romagna, Marche e Toscana con in più la Repubblica di San Marino – dove tra l’altro risiede il vescovado di tutto l’alto Montefeltro, tanto per dire come i territori siano intrecciati e sovrapposti. L’orografia qui è alla base dell’economia: il fiume Marecchia e la sua valle spiegano tutto: nasce in Toscana, sul Monte Zucca; scende anzi scendeva nelle Marche perché i sei comuni ex-pesaresi fra cui Pennabilli dal 2009 fanno ormai parte della Regione Emilia-Romagna previo referendum; sfocia infine sul mare a Rimini, non a caso i romani chiamarono il fiume Ariminus e tuttora il suo tracciato conteso nei secoli preromani da Etruschi, Piceni, Umbri e Galli e nel Medioevo da Malatesta e Montefeltro è convenzionalmente utilizzato in geografia per delimitare la fine della Pianura Padana. E così, seguendo il fiume, le aziende di pelletteria e pellicce dell’aretino – Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada, è aretino e ha mosso i primi passi proprio in un’azienda che trattava cuoio in loco – hanno affittato e stoccato tutta la loro produzione nei magazzini di San Marino, dove nonostante il giro di vite fiscale imposto dal ministro Giulio Tremonti e dai suoi successori ha ancora tasse inferiori.

Dall’aeroporto i russi vengono così fatti salire sui pullmini verso i centri commerciali dove le commesse parlano russo e napoletano senza soluzione di continuità e, scusate la rima, un motivo ci sarà. In misura minore vengono accompagnati verso gli ingrossi di San Marino o a Riccione. Resta giusto il tempo di un giretto in centro non per vedere il Tempio malatestiano o l’Arco di Augusto ma per una pizza o una piadina o, peggio, una “piadizza” e un cappuccino, naturalmente insieme, naturalmente all’ora del tè delle cinque, prima di volare verso casa, verso Oriente. I russi, pochi i moscoviti e i pietroburghesi molti i siberiani, arrivano di sabato e ripartono di lunedì e vengono in maggioranza da zone remote della galassia ex sovietica, e tanto contante raccolto in grossi rotoli, in genere tenuti dalle signore. Dentro i grandi centri commerciali come il Gros di Rimini, una vera e propria cittadella del commercio all’ingrosso e della moda con oltre 170 attività commerciali e a un tiro di schioppo dall’aeroporto, trovano dunque pelletteria toscana, calzature marchigiane e abbigliamento romagnolo, tutto grandi firme perché i russi non comprano se non c’è un grande marchio sopra e la montagna toscana, la Romagna e le Marche avranno pure tante differenze, ma sono tutte terre di terzisti, vale a dire di piccole aziende famigliari che lavorano artigianalmente per conto terzi, i grandi marchi appunto. I voli charter per il 2014 e l’inizio dell’anno prossimo sono assicurati, quelli per Londra dirottati su Ancona, quelli per Palermo e Catania, che servivano i tanti neo-emigrati siculi in Padania, definitivamente chiusi (anche per problemi di interdipendenza economica della compagnia Windjet).

E l’aeroporto? Il 26 novembre del 2013 finì in gestione provvisoria. Da quando cioè Aeradria, la società di gestione dello scalo è stata dichiarata fallita per 53 milioni di euro. E dal 31 ottobre ha chiuso rischiando uno stop di due mesi con la minaccia che anche i charter russi si cerchino un altro scalo limitrofo lasciando Rimini e tutto l’indotto interregionale. Come se non bastasse dal 15 dicembre NTV, la società dei treni veloci Italo, ha sospeso la tratta adriatica, quindi anche la fermata riminese che in due sole ore la congiungeva a Milano per mancanza di redditività. Rimini è quindi appena piombata in uno stato limbale, quasi a riecheggiare involontariamente l’anatema di Benito Mussolini, che non l’ha mai amata: «Rimini: rifiuto delle Marche, scarto della Romagna». Lui in vacanza andava a Riccione.

 

Nella foto, Guido Guidi, Rimini, 2005

 

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