Trasporti

Con Lufthansa ho rischiato di rimanere senza mutande

20 Maggio 2022

Benedetta quella volta che ho cominciato a mettere in valigia il cambio per una notte in più. L’ho pensato questa mattina infilandomi la camicia appena spiegata, con ancora un leggero profumo di lavanda. Non capita mai, ma quando succede, l’imprevisto non ti coglie del tutto impreparato se nel trolley hai uno o due giorni in più di autonomia. In quanto tale, l’imprevisto in viaggio ti piomba addosso nel momento più improbabile. Ad esempio quando viaggi con una delle due principali compagnie aeree europee, a capo di un network di altre cinque compagnie che copre ogni angolo del continente, membro fondatore della più ampia e importante alleanza tra vettori aerei del mondo e magari, sei pure in transito dal suo hub, il secondo aeroporto più trafficato d’Europa ma probabilmente il primo per efficienza. Avete capito bene, quando viaggi con Lufthansa, sei a Francoforte e pensi non ti possa accadere nulla perché la proverbiale mania di pianificazione dei tedeschi ti terrà al riparo anche dalla più tenue pioggerellina; ecco, proprio allora rischi di rimanere in mutande.

Le avvisaglie le avevo avute la mattina della partenza. Dovevo fare il solito giro dell’oca da Bruxelles a Venezia via qualche posto, causa mancanza di voli diretti e quei pochi sono troppo cari per le mie tasche. Dopo la pandemia Brussels Airlines ha ripristinato due voli al giorno invece dei consueti cinque. A dire il vero anche in precedenza la triangolazione l’ho fatta spesso per rispettare la regola che mi sono dato di non spendere oltre 100 euro a volo e per assecondare orari che mi consentano di non dover fare soste intermedie o levatacce improponibili alla mia età. In passato quel posto tra la capitale europea e il capoluogo del Veneto è stato Londra, Amsterdam, Zurigo, Kiev, Praga, Lille, Monaco, una volta persino Roma e un’altra credo Madrid. Stavolta tocca a Francoforte perché il biglietto più basso per il ritorno a casa è targato Lufthansa e nella città sede della Banca centrale europea la compagnia ha la sua principale base di armamento. Il mio volo da Bruxelles parte alle 14.40. In Germania un’ora e mezza di attesa e poi il volo per Venezia. La prima notifica arriva tra il caffè e la rassegna stampa. A Francoforte la porta di imbarco del volo per Venezia è stata spostata. Clicco sulle due righe di testo e la carta di imbarco digitale aggiorna automaticamente il gate. Scambio il messaggio per efficienza teutonica ‘ammazza bravi ‘sti tedeschi, te cambiano pure la carta d’imbarco da remoto’. Mi sento un po’ Alberto Sordi e mi rimetto a lavorare rassicurato: sono in buone mani. In Italia non sarebbe così, troverebbero comunque il modo di fare casino, anche con la procedura più semplice e apparentemente innocua qualcuno che si mette a discutere certo lo trovi.

Parto, una volta in aeroporto constato con lieve disappunto che il primo volo partirà in ritardo. Chiedo lumi all’assistente di terra, impiegata di Brussels. Venti minuti al massimo, dice controllando a monitor la coincidenza, arriveremo certamente in tempo per prenderla. Ne approfitto per spedire un paio di email e, una volta a bordo, dormo come un sasso. Dura poco, 40 minuti, quando la capo assistente dà il segnale di arrivo, riapro la connessione del telefono e trovo una seconda notifica di Lufthansa con l’indicazione di un nuovo cambio di gate, dal 36 al 21. Subito dopo una terza:

Ma certo che ti scuso, ma cosa vuoi che sia, 20 minuti, da noi sarebbero state ore anzi, peggio, l’avrebbero cancellato proprio ‘sto volo. Sono le 16 e 11 minuti, sull’autobus verso il terminal pregusto un buon caffè per svegliarmi; sul secondo volo devo produrre, scrivere, ho un sacco di lavoro da fare e si tratta della parte migliore, la stesura. Scendo dal bus, affronto sbadigliando la rampa di scale mobili e sento il telefono vibrare in tasca. In cima mi fermo un attimo a guardare. Lufthansa mi dà il benvenuto a Francoforte, sono le 16 e 13 e il mio volo per Venezia è stato cancellato. Rimango impietrito, penso sia un errore, solo in mezzo al corridoio prima dei pannelli informazione, la gente mi schiva con sguardi di rimprovero, perché stò lì impalato a intralciare centinaia di persone? Rileggo il messaggio una decina di volte, non riesco a elaborare il lutto, penso non sia stato inviato a me, voglio tornare indietro nel tempo. ‘…cancellato. La preghiamo di accettare le nostre scuse’. Beh, mica tanto stavolta. Mi fiondo agli elenchi elettronici delle partenze. E’ tutto vero: il volo per Venezia è cancellato così come molti altri. Fantastico scuse improbabili: è stato perché la sera prima l’Eintracht ha vinto l’Europa League, primo trofeo europeo dopo 42 anni di digiuno? Panico. Pa-ni-co. Che accidenti faccio ora a Francoforte? Ma magari a Francoforte, almeno farei festa con i tifosi e berrei cento birre. Sono in questo aeroporto grande quanto una città. Cerco informazioni, mi indicano il Lufthansa Center corro in quella direzione e vengo fermato in mezzo al corridoio da un signore in giacca blu e fazzoletto giallo al taschino. Gli basta mezzo sorriso, ‘la fila comincia qui’. L’incubo si materializza, gli sportelli dell’assistenza sono talmente lontani che ci vorrebbe il binocolo per inquadrali. La quantità di gente davanti a me è spropositata. Biascico qualcosa priva di senso con lo sguardo perduto nel vuoto, farnetico di prendere un treno notturno: qui sotto all’aeroporto c’è una stazione ferroviaria, nella mia città anche, vedrai che lo trovo un treno. Apro con una certa baldanza l’applicazione dei treni inserisco i punti di partenza e arrivo e… partendo entro quindici minuti arriverei a casa dopo 16 ore e mezzo, sei cambi e un tratto in autobus. Troppo persino per me.

Arrivano altre notifiche. L’oggetto è promettente, mi hanno messo automaticamente su un altro volo a meno di 25 minuti dalla cancellazione. Rinnovo la mia stima per i popoli d’oltralpe, la loro organizzazione e il sangue freddo che sanno mantenere anche sotto pressione e trovare soluzioni nelle situazioni più complicate. Datemi una bandiera tedesca, cavolo. Mi allontano dalla fila per dirigermi verso l’aereo. Lascio con un filo di disprezzo quella coda dove, invece, centinaia di persone rispecchiano fedelmente il gruppo etnico di provenienza e relativi stereotipi. La famiglia messicana che ride e scherza e prende la diversione come un opportunità di divertirsi e alzare la voce; una coppia americana, lui è attaccato a Internet per cercare un volo alternativo contando su un due pagine di app dedicate all’aviazione. Sta provando a incrociare tutti i dati ma ogni volta finisce sempre su Swiss e a Zurigo alle 2 di notte. Lei chiama a casa e riesce a introdurre parole nuove con buona frequenza tra un ‘Oh My God’ e l’altro; più indietro una coppia di scandinavi sui sessanta resta impassibile in fila. Alti 1.85, biondi, occhi azzurri, di lino vestiti (lo giuro), non muovono un sopracciglio. Lei a un certo punto sospira. Lui sorride e le stringe la mano. Esattamente come il gruppo di giovani italiani alcuni metri più avanti. Uno dei tre sa tutto e tiene banco, sa cosa è successo, sa come si fa a ottenere non solo il rimborso ma anche una compensazione, si lamenta ad alta voce con quell’accento milanese sporcato dalla periferia. C’è tanto mezzogiorno tra le vocali aperte e le parole strascinate e si sente tutto. È vestito alla moda, pantaloni di fresco di lana a cono corti come si usano adesso, camicia di marca con gli ultimi due bottoni aperti per mostrare l’abbronzatura, Church nere ai piedi e capelli castano chiari accuratamente scolpiti. Fa un po’ di show davanti a una ragazza credo scandinava che in abiti succinti, beh dai praticamente nuda, sta telefonando a qualcuno seduta sulle panchine a lato del corridoio. Ad ogni frase che comincia si piega in avanti rendendo del tutto superfluo qualsiasi ricorso all’immaginazione. Le pupille del belloccio milanese collimano ripetutamente con i prosperosi argomenti della giovane.

Apro il telefono per vedere dov’è il gate. Resto di sasso per la seconda volta in giornata. Il volo è per domani. Da Francoforte a Copenhagen. E poi? Facile, da Copenaghen a Venezia. Ma questi sono pazzi scatenati, domani la compagnia aerea di bandiera di uno dei paesi più impegnati contro i cambiamenti climatici mi manda da Francoforte a Venezia via Copenhagen. E poi, dove dormo? Oh no. Per le regole europee ho diritto all’assistenza e, in base al ritardo, alla cancellazione o alla distanza da percorrere oltre alla riprotezione cioè a un volo per raggiungere la destinazione finale o iniziale, posso avere pasti, albergo e spese di collegamento per raggiungerlo e per tornare in aeroporto. Ma serve l’ufficio assistenza, quindi devo rimettermi nella fila da cui sono troppo ottimisticamente uscito poco fa. Torno al punto dove mi trovavo e con l’espressione più patetica disponibile riesco a essere riammesso senza sommosse popolari. Sono le 16 e 45. Passo le successive due ore a osservare snack e bibite offerte da Lufthansa presi d’assalto, un gruppo di ragazze dietro di me, tre robuste islandesi, mangia ininterrottamente e poco dopo riduce il pavimento a una superficie adatta agli animali da cortile. Arriva con prontezza una squadra di pulizie. Il corridoio si trasforma in babele quando cani si incrociano e scatenano gazzarre furibonde e improvvise con i rispettivi padroni a sgridarli nella propria lingua. La gestione dell’assistenza unisce gli universi etnici. In quel punto, in quel momento, a Francoforte, abbiamo tutti un’unico comune avversario: i banchi di Lufthansa. Ce ne sono sei, tre dei quali serviti, ma con due impiegati che stanno dietro ai tre che lavorano e osservano oltre il vetro. Sembra un esperimento sociale per capire quale sia il punto di rottura delle persone, quando la gente diventa massa e poi folla rabbiosa. Perché non rinforzano il servizio con la fila che ha raggiunto i duecento metri? Davanti a me, un americano con il panama a un certo punto sbotta: si avvicina al vetro e indica la sedia all’impiegato supervisore: ‘take a seat and work!’ Lo ripete due volte con l’indice minaccioso verso la sedia: ‘Take a seat and work!’ L’impiegato lo guarda un attimo, alza la mascherina e sparisce dietro una colonna. Pochi minuti dopo ricompare, ma si piazza come suo solito dietro la collega al monitor e ogni tanto la interrompe con crescente dispetto della persona servita in quell’istante. Non si comprende come mai alcuni viaggiatori si fermino solo 2-3 minuti, mentre altri blocchino il flusso per 10, 15, 20 minuti. Gli italiani sembrano i più problematici, stanno lì, avviano discussioni, fanno avanti e indietro davanti allo sportello con passi scattosi e repentini cambi di direzione, gesticolano con l’avanbraccio alto e la mano aperta che rotea verso l’interno. Non credono quando gli viene detto che non ci sono altri voli disponibili, chiedono soluzioni, hanno una cena, la figlia da coccolare, il lavoro la mattina dopo. Sono petulanti, divagano, aprono lati della conversazione perfettamente inutili. Sono curiosi fino allo sfinimento, in modo del tutto superfluo e insignificante. Il desiderio di sapere e conoscenza li consuma. Qual è la causa delle cancellazioni? Anche il resto della Germania è bloccato? E in Italia, avete notizie di scioperi? Non si accontentano delle risposte evasive degli impiegati Lufthansa. Uno che sembra un tortello ben foderato si gira e con fare teatrale con tono di voce stentoreo e accento emiliano pronuncia ‘Top Secret’ alzando sopracciglia e sbarrando gli occhi verso quello che ha deciso essere il suo pubblico: un popolo di viaggiatori stremato da ore di fila in piedi. Qualcuno abbozza un sorriso di complicità, i più distolgono lo sguardo.

Alla fine la cosa è molto più semplice del previsto. Chi vuole arrivare a casa con le ali gli tocca accettare la riprogrammazione scelta da Lufthansa. Altrimenti deve cambiare aeroporto, via terra, oppure mezzo di trasporto. Ci sono pronte le carte di imbarco nuove, i voucher per albergo, cena, colazione e per il taxi di andata e ritorno. Decido che la vita è semplice, accetto tutto e in un paio di minuti termino il pomeriggio francofortino sorridendo all’impiegata. Infilo un taxi e quindici minuti dopo sono finalmente sotto la doccia.

Mentre l’acqua lava stanchezza e stress penso che non essere costretti a rovistare tra i rimasugli degli ultimi dieci giorni di lavoro, camminate a passo sostenuto per non arrivare tardi all’intervista, ristoranti dagli odori forti e decidere, praticamente a occhi chiusi, quale indumento sia messo meno peggio è già di suo un bel vantaggio. La mattina successiva, potrò indossare la camicia nuova e affrontare fresco come una rosellina un’imprevista giornata di voli e trasbordi – taxi – aereo, secondo aereo – autobus – treno – secondo treno. Un piccolo lusso di cui mi ringrazierò fino a sera.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.