Scuola
Boomer, nostra maxima culpa
Da lunedì 8 marzo torna in Liguria la DaD al 100% in tutte le scuole superiori (e anche negli ITS, segmento post secondario non sufficientemente noto sul quale tornerò in seguito). Ordinanze regionali come quella del presidente della giunta, Giovanni Toti, sono già apparse nel paese anche dopo la pausa natalizia e quindi non è un’iniziativa che giunge inaspettata. Naturalmente, ai dirigenti scolastici, tra i quali lo scrivente, tocca disporre le modalità organizzative conseguenti, nel rammarico di dover affrontare, ancora una volta, una situazione di questo tipo. Non si può che prendere atto del fatto che certe decisioni arrivino alla luce di dati, non sempre e non tutti noti con la dovuta profondità ed estensione, e, di conseguenza, occorre avere fiducia nelle istituzioni e assoggettarsi alle decisioni prese da queste.
Da liberi cittadini, con competenze tecniche specifiche e coscienza professionale, tuttavia, occorre anche riflettere su questa situazione a partire dall’analisi delle iniziative intraprese e dalla misura dello scarto tra queste e quelle che sarebbero state necessarie, con un occhio al timing delle medesime. Sembra necessario ragionare sulle motivazioni che hanno indotto degli evidenti ritardi per trovare, dove e se possibile, i rimedi conseguenti.
Premetto il fatto che alla fine del mese di maggio 2020, l’ultimo di sei webinar organizzati sotto la cornice intitolata, ai tempi del pionierismo della didattica a distanza “La didattica della vicinanza inclusiva”, focalizzava l’attenzione su: “idee e proposte per ripartire a settembre”. In quella sede, in un intervento dal titolo “Algoritmi di gestione dei flussi e proposte per il diradamento delle presenze” suggerivo:
- scaglionamenti degli ingressi di mezz’ora in mezz’ora con costruzione di software adattati alla bisogna (quindi adattamenti dei moduli orari al momento impensati e assolutamente possibile se assistiti da un software di costruzione dell’orario: un’ora, un’ora e mezzo, due ore…);
- scaglionamento dei giorni (settimana con “giorno libero” per gli studenti e le studentesse, come per gli insegnanti, naturalmente non coincidenti) per diradare le presenze sui mezzi di trasporto e, nel caso di giorno libero per classe e non per scuola, anche a scuola.
Per quel che riguarda la prima proposta, in Liguria si è giunti allo scaglionamento solo dopo l’investitura avuta dai prefetti dal DPCM di dicembre che ha dettato un ingresso del 30% alle ore otto e uno del 45% alle nove e mezzo/dieci (il resto a distanza). Questo nell’ipotesi di un 75% in presenza, mentre tutto è stato scalato in proporzione con il 50% (quindi 20 e 30%, con 50% a distanza). Questo “scaglionamento forte” (tra le otto e le nove e mezzo/dieci ballano due moduli orari e non 20/30 minuti) si è reso necessario perché i mezzi che raccolgono gli studenti nelle valli dell’entroterra devono avere il tempo materiale di fare un secondo giro, ma è stato assai criticato e avversato dalle scuole e dalle famiglie. Particolarmente critica la situazione di tecnici e professionali che con tre ingressi posticipati alla settimana hanno avuto ben quattro pomeriggi di lezioni alla settimana.
Per quel che riguarda la seconda proposta qui sopra in elenco, non si è mossa foglia per il semplice motivo che alcune evoluzioni, come quella che ha portato molte province italiane a sacrificare la settimana morbida (30/32/33 ore in sei giorni) verso la settimana corta (lo stesso monteore su cinque giorni), nel loro radicamento demagogico sono sostanzialmente irreversibili. Ho chiesto al Collegio dei Docenti di deliberare questa proposta, ma sono stato l’unico a votarla anche se ho chiesto di riflettere su cosa, il titolare della progettazione didattica a scuola, cioè il Collegio dei Docenti, immaginava che i/le ragazzi/e e le famiglie avrebbero fatto nei sabati da ottobre a marzo, cioè nel periodo che era già chiaramente candidato alla seconda e terza ondata dei contagi. Le giustificazioni esplicite sono state molto deboli, qualche volta persino poco responsabili, una era anche inconfessabile: se la mia scuola apre al sabato e quella vicina no, le conseguenze sull’orientamento possono essere gravi.
In buona sostanza, il sabato no, perché è scomodo, lo scaglionamento solo se prescritto dal prefetto. Tutto questo mostra come ci siano amari calici che non già e non solo i collegi dei docenti, ma la società tutta, non ha voluto bere. La responsabilità mi sembra tutta della mia generazione, quella dei boomer che, nella gerarchia del potere, oggi sostanzialmente governa il paese.
A mio giudizio, oltre a queste miopie, sono mancati dettagli essenziali. Nella mia città, ad esempio, noto da settembre/ottobre il fatto che parte del problema era nei trasporti, a seguito degli scaglionamenti questi sono stati implementati ad adiuvandum solo da gennaio. Peccato che i nuovi mezzi, presi dalle boccheggianti agenzie di viaggio (questo è un vero ristoro), viaggiano perlopiù vuote. Questo avviene perché quei mezzi non sono censiti dalle app che utilizzano i giovanissimi in attesa alle fermate degli autobus che, di conseguenza, continuano a prendere il primo che passa, non potendo stimare i tempi di attesa.
Se da un lato le sedute innovative e i banchi singoli avevano il chiaro scopo di essere utilizzati secondo la curvatura del distanziamento/diradamento interno, poco o nulla è stato fatto sugli impianti di climatizzazione, sulla validazione degli strumenti di purificazione dell’aria, sull’installazione delle valvole termostatiche che, almeno, potevano essere usate per risparmiare sul riscaldamento (l’aerazione naturale ha buttato via miliardi di kW/h letteralmente dalla finestra).
Sia detto tra parentesi, le sedute innovative affondano la loro storia nell’innovazione didattica (nomen omen) che rende fluida la classe, potendosi aggregare la medesima attorno ad isole di lavoro che sono favorite dalle celebri “rotelle”. Speciose, quindi, sono le polemiche sul tema. Esaurito il loro ruolo sul distanziamento, le sedute innovative (vulgo “banchi a rotelle”) saranno un’eredità didattica per la quale molte scuole sperimentatrici hanno combattuto al fine di avere i finanziamenti coi quali acquistarle. Ogni scuola del paese ha ottenuto, senza sforzo, ciò che i pionieri hanno conquistato con le unghie e coi denti.
Un altro dettaglio incredibile è legato alle categorie dei possibili frequentanti. Disabili e altre sfumature di studenti con bisogni educativi speciali (dai disturbi specifici dell’apprendimento, fino alle persone appartenenti a famiglie con digital divide) sono stati garantiti. A questi si sono aggiunti anche i figli e le figlie del personale sanitario e, poi, dei lavoratori essenziali, ma fino a tutto il mese di gennaio c’è stato l’effetto evidente di avere ricreato le classi differenziali in troppi casi. Per superare il problema, sarebbe bastato consentire la frequenza a chi a scuola ci viene a piedi, in bicicletta o con mezzi propri. Se il problema sono i trasporti, perché uno che viene a piedi dovrebbe starsene a casa?
Si è formalmente garantita la presenza in occasione dei laboratori, ma illustro ora la differenza tra la teoria e la pratica. I laboratori sono ovviamente diffusi nell’orario scolastico. Se devo andare a scuola dalle 9 alle 10 per frequentare il laboratorio di elettrotecnica, avendo italiano prima e matematica e inglese dopo, non potendo utilizzare il teletrasporto che mi consentirebbe di uscire di casa alle 9 per essere a scuola alle 9, necessariamente per entrare fisicamente in quel laboratorio devo andare a scuola tutta la mattina. Ebbene, tale modalità era vietata. Diciamo allora che organizziamo, come ho fatto io, i “lab days”, concentrando in una mattinata i laboratori di fisica e chimica per accogliere il numero di studenti determinati dalle capienze degli stessi e lasciando a casa gli altri per le lezioni ordinarie. Ecco la sollevazione degli insegnanti di posto comune che si sentono aggravati di un compito, non potendo godere della compresenza dell’insegnante tecnico pratico. A questa soluzione conseguono comprensibili e persino legittime interferenze sindacali.
Infine, sembra quasi obbligatorio ricordare che in gran parte del paese, la DaD ha interessato quasi esclusivamente le scuole superiori. Non sono stati forniti strumenti aggiuntivi alle scuole dell’infanzia e agli istituti comprensivi che hanno erogato pienamente il servizio per tutto l’anno. Cito ad esempio le mascherine FFP2 (acquistate coi fondi delle scuole, con conseguente spreco di risorse giacché queste hanno ricevuto anche quelle chirurgiche) e altri dispositivi di protezione individuali e collettivi che andavano senz’altro predisposti per tutti. Ad esempio i purificatori d’aria nelle scuole dell’infanzia, dove bambine e bambini hanno frequentato senza mascherina, penso sarebbero stati la misura minima necessaria per rassicurare le lavoratrici della scuola, non di rado over sessantenni. I numeri ci diranno, a valle di drammi purtroppo non rari, quante vite umane sarà costata questa scelta.
È quasi inutile parlare dell’app Immuni, giacché il tema del tracciamento sembra essere sparito dai radar quasi da subito e pochissimi sono stati i campionamenti di monitoraggio nelle scuole. Chi ne sa qualcosa?
Sul fronte del calendario scolastico, nulla è stato fatto. Eclatante il caso della Francia che, partendo al primo di settembre e terminando ai primi di luglio, intervalla un paio di settimane di stop ogni sei settimane di scuola. Questo implementa di fatto dei lockdown periodici che raffreddano i contagi, mentre noi li inseguiamo. A titolo di esempio, in Liguria abbiamo fatto sei settimane di scuola dopo la pausa natalizia e lunedì 8 marzo saremo a casa. Di fatto il virus ci impone la stessa cosa, ma noi ci siamo girati dall’altra parte per mesi. A nulla è valso, infatti, l’appello del Gruppo Condorcet, e delle numerose firme illustri di adesione, che già a novembre, proponeva il modello francese sia per affrontare tatticamente l’evoluzione epidemiologica, sia per promuovere strategicamente un nuovo modello di calendario pedagogicamente sensato.
Spesso si sono lasciate sole le forze dell’ordine sul territorio ad affrontare aspetti sintomatici di questioni che sono essenzialmente culturali. In buona sostanza, a mio modesto parere, e molto semplicemente, questo paese non ha capito lo stato della situazione e chi ci ha governati, a diversi livelli, non è stato in grado di indurre nel Paese diffusi comportamenti responsabili. Al contrario, spesso si sono aperte le porte, per poi criminalizzare chi è stato entro i ranghi delle regole date, ottenendo effetti boomerang nella psicologia diffusa delle persone del tutto contrari alle necessità di condivisione adulta. Nell’immagine utilizzata si vede Corso Italia, una passeggiata sul mare cara ai genovesi. Foto del genere sono sempre accompagnate dall’etichetta “assembramenti”. Spesso basta alzare la visuale per vedere che ci sono congrui distanziamenti e una leggera brezza garantisce ampia dispersione.
Vale la pena ricordare, infine, che oggi si prepara il prossimo anno scolastico e, di conseguenza, invito tutti a leggere l’intervento di Marco “Cassandra” Campione che, in questa sede, con proposte tecniche e circostanziate ci illumina su un tema che rischiamo di subire: “Tutti i docenti a scuola a settembre: ecco come”.
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