Trasporti
Biglietti aerei: di cosa parliamo quando parliamo di tasse
Un euro in più per i voli nazionali, 1,5 per quelli internazionali. Alla festa di Fratelli d’Italia, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicamente fatto propria la proposta avanzata ai primi di settembre dall’allora non ancora ministro dell’Istruzione Fioramonti di tassare merendine, bibite gasate e biglietti aerei. Le nuove tasse serviranno a recuperare risorse a favore della scuola, dell’università e della ricerca, ma saranno ammantate da un’efficace e attualissima retorica verde, anzi green. «Chiederò un patto con tutto il mondo industriale e produttivo», ha detto Conte a Roma, «per cui progressivamente, attraverso meccanismi soprattutto incentivanti, riusciamo a orientare tutto il sistema verso la transizione energetica, verso un Green New Deal». Le parole chiave accattivanti ci sono tutte, sono state scelte con cura e scritte belle in grande sulla lavagna, i termini indigesti sono rimasti nel cassetto della cattedra, mentre i risultati concreti attesi sull’ambiente non sono entrati in classe e un pensiero articolato sul motivo per cui si tassano di più i voli lunghi di quelli corti (in Germania si farà esattamente il contrario per incentivare il trasporto pubblico terreste sulle corte e medie distanze) non si è affacciato nemmeno al parcheggio della scuola.
Sulla bizzarra tentazione di imporre tributi pigouviani nel trasporto aereo, sulla raccolta attesa in Italia e sul loro eventuale impatto rimando alla lettura di un paio di articoli scritti da Alessandro Riolo su Gli Stati Generali. Non ho nulla in più da aggiungere né sull’idea della nuova tassazione, né sugli effetti catastrofici di quindici anni di tasse sui passeggeri in partenza applicate al mercato del trasporto aereo commerciale in Italia. Come? Sono quindici anni che ci sono delle tasse sui biglietti aerei per chi vola dall’Italia? Non lo sapevate?
Ecco come stanno le cose. Alla vigilia di Natale 2003, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge 24 dicembre numero 350, in sostanza la legge finanziaria per il 2004, e grazie al comma 11 dell’articolo 2 i viaggiatori in partenza dall’Italia si sono trovati sotto l’albero il regalo di una nuova imposta pari all’epoca a 1 euro per passeggero imbarcato. Tralascio ogni commento sull’ipocrisia di denominare il nuovo tributo “addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sulle aeromobili” quando a incamerarne i proventi è direttamente lo Stato che ne trattiene l’80 per cento per “il finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie” e solo il 20 per cento va “a favore dei comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti”.
Nei quindici anni successivi, le modifiche a quel provvedimento hanno alzato l’imposta fino ai 6 euro e 50 centesimi attuali da ciascuno dei 39 aeroporti italiani, ad esclusione dei due scali romani, Fiumicino e Ciampino, dove l’imposta è elevata a 7,50 euro a passeggero. Il codice identificativo dell’imposta è HB e chiunque può verificarne l’ammontare, come quello delle altre tasse, attraverso il software Matrix (della famiglia Google) per la ricerca delle tariffe aeree in corso di validità che riporta voce per voce la composizione di un qualsiasi biglietto aereo.
Ogni biglietto aereo è la somma di due fattori: la tariffa e le tasse aeroportuali. La prima è il compenso per il servizio di trasporto operato dalla compagnia aerea, le seconde sono il corrispettivo per una serie di servizi tra cui la gestione bagagli e la sicurezza o sovrapprezzi, come il carburante (fuel surcharge) deciso arbitrariamente da ciascun vettore. Si tratta in ogni caso di tasse, cioè di tributi che devono essere versati in cambio di un servizio.
Ecco qual è la scomposizione di un biglietto Milano – Catania con Air Italy per il 21 ottobre del 2019:
Voce del biglietto | costo | |
1 | Tariffa economy | euro 7,00 |
2 | Council City Tax (HB) | euro 6,50 |
3 | Value Added Tax On IT EX VT HB Domestic (FN) | euro 2,50 |
4 | Passenger Service Charge Departure (MJ) | euro 0,92 |
5 | Embarkation Tax (IT) | euro 14,88 |
6 | Security Charge (VT) | euro 2,64 |
7 | Carrier-imposed surcharge (YQ) | euro 19,00 |
8 | Carrier-imposed surcharge (YR) | euro 13,00 |
Totale | euro 66,44 |
Cosa significano le sigle accanto a ciascuna voce
La tariffa si spiega da sola e il costo varia a seconda della classe e della flessibilità, cioè della possibilità di spostare o cancellare la prenotazione. Di HB ho detto in parte sopra e la riprendo in seguito.
FN. E’ l’Iva che in Italia è al 10 per cento per le voci citate.
MJ. È il costo per l’assistenza ai passeggeri disabili o a ridotta mobilità. La paghiamo tutti e, a mio avviso, è un segno di civiltà
IT. Sono i diritti di imbarco e cioè i costi che l’aeroporto impone a ciascuna compagnia aerea per il check-in, le operazioni di imbarco dei bagagli e dei passeggeri. Ogni aeroporto ha un proprio tariffario che comprende tra l’altro l’utilizzo o meno dei ponti di imbarco, la potenza e il tipo di aereo.
EX. Sono i costi per il controllo ai raggi X dei bagagli. Non tutti gli aeroporti la applicano. Nel nostro caso, a Malpensa non c’è. Se ci dovessimo imbarcare da Venezia, avremmo dovuto pagare 1,29 euro in più.
VT. Costi per la sicurezza dei passeggeri e dei bagagli a mano, cioè il costo dei controlli ai varchi sicurezza che variano a seconda di ciascun aeroporto.
YQ. Sono i costi della sicurezza degli aerei e il maggior costo dei carburanti. È stabilito dalla compagnia aerea e da questa incassato.
YR. Varie. Altra voce a discrezione delle compagnie aere per servizi accessori relativi alla gestione dei passeggeri.
In Italia, come in pochi altri Paesi al mondo, c’è anche un’imposta sugli imbarchi. È appunto la voce HB che corrisponde all’addizionale comunale (che come abbiamo visto viene incassata dallo Stato e poi ripartita in minima parte ai comuni) e non ha alcun corrispettivo in cambio del suo pagamento. Si tratta dunque di un’imposta su cui, tra l’altro, si paga l’Iva, ovvero un’imposta su un’imposta.
Sono pochissimi i paesi al mondo che applicano un’imposta sui passeggeri perché ha un effetto depressivo sul settore. Scoraggiando l’utilizzo del trasporto aereo si danneggiano gli aeroporti e le compagnie aeree. I gestori aeroportuali in Italia sono in molti casi società controllate o partecipate da enti pubblici, mentre le compagnie aeree sono tutte private. In poche parole, si rende il settore meno competitivo.
Le pressioni dell’opinione pubblica degli ultimi due anni stanno però cambiando l’orientamento di molti governi. La Svezia dal 2018 applica pesanti tasse sui passeggeri in partenza e infatti, secondo le statistiche dell’Unione europea, è uno dei Paesi dove il trasporto aereo è cresciuto meno l’anno scorso. La Francia e la Germania stanno studiando misure simili e il tema di come mitigare gli effetti climatici del trasporto aereo è stato affrontato a metà settembre dai ministri delle Finanze dell’Unione europea nella riunione di Helsinki.
In Italia, come abbiamo visto, l’imposta sugli imbarchi esiste ed è prolificata dall’ormai lontano 2004.
Beh, vi risponderanno dal governo, però quella mica è una tassa ‘green’, quella è una tassa comunale. Adesso tutti si adoperano per salvare il clima invadendo strade e piazza di mezzo mondo e tu, cittadino medio ma anche medio basso, osi inquinare il mondo con i tuoi sozzi aerei perché non hai una non dico un catamarano, ma neppure un laser o un proletarissimo moscone con cui traversare l’Atlantico per andare a New York? Beh, allora paga, caro mio.
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