Trasporti
Aumentare la capienza o riparare i mezzi? Questo è un problema
Se al Governo non si può rimproverare di non aver moltiplicato magicamente un parco mezzi misero e datato, è stata una scelta politica tralasciare il tema delle manutenzioni. Migliaia di mezzi continueranno a restare bloccati nei depositi guasti, mentre su quelli in servizio si deroga alle misure di distanziamento valide una volta scesi a terra. Roma docet. Da domani vedremo con che risultati.
Centinaia, forse migliaia di mezzi inutilizzati, autobus e addirittura interi convogli ferroviari, abbandonati nei depositi delle aziende di trasporto pubblico locale italiane. Tutto questo mentre la combinazione tra apertura delle scuole e misure di distanziamento sociale fa mancare all’appello i mezzi necessari a garantire le corse per lavoratori e studenti e in molte regioni italiane, a partire dal Lazio, la soluzione diventa affidarsi ad aziende private. E’ uno dei tanti paradossi della fase 3 e il frutto di decenni di tagli al Fondo Nazionale Trasporti che lo Stato versa alle regioni e che queste a loro volta ripartiscono tra le società di TPL.
A fine agosto, in vista della riapertura delle scuole, le regioni avevano chiesto l’autorizzazione a tornare alla capienza integrale dei mezzi, ma il Governo non se l’è sentita di rinunciare del tutto al distanziamento sociale, col rischio di caricarsi della responsabilità di un’eventuale ‘seconda ondata’. Alla fine si è giunti a un compromesso tra opposte debolezze: l’80% di capienza e fino al 100% sugli scuolabus per tragitti inferiori ai 15 minuti. Scartata, invece, la soluzione linguistica della ministra dei trasporti De Micheli, cioè far diventare ‘congiunti’ anche compagni di scuola e colleghi di lavoro, che in questo modo si potrebbero sedere accanto sui mezzi pubblici per poi ridistanziarsi in aula e in ufficio. Davvero non c’erano alternative?
Roma docet…
Con un parco mezzi dall’età media di 12 anni contro i 7 dei paesi europei e una produzione annua di bus crollata dai circa 5.700 degli anni ‘90 ai 500 scarsi del 2018 (fonte: ANFIA) affrontare il problema semplicemente acquistando mezzi nuovi sarebbe stato difficile: anche snellendo le procedure per bandire le gare acquistare autobus e vagoni ferroviari richiede una programmazione e tempi lunghi. Volgren, il principale fornitore delle aziende di trasporto australiane (ma anche di mezzi a due piani per la città di Hong Kong), dimezzando da 1.000 a 500 ore i tempi per la costruzione del semplice corpo di un autobus – con 600 dipendenti riesce a produrre circa 450 mezzi l’anno. I bus possono essere comprati anche di seconda mano, ma coprire così le aumentate esigenze del trasporto pubblico postCovid sarebbe stato comunque improbabile e il rischio quello di usare denaro pubblico per comprare, magari a prezzi gonfiati dall’urgenza, mezzi poco affidabili e destinati a essere sostituiti tra qualche anno.
L’esempio di Roma è estremo ma rivelativo di un trend comune a quasi tutte le grandi aziende di trasporto pubblico. Nel 2015, l’anno prima dell’arrivo di Virginia Raggi in Campidoglio, l’edizione romana di Repubblica parla di 850 mezzi sui 2.300 totali di ATAC fermi ogni giorno perché ATAC non ha i soldi per pagare i pezzi di ricambio o perché i fornitori non sono più disposti a fare credito, visti i ritardi nei pagamenti, che culmineranno nel concordato preventivo del 2019. Nel 2016, poco prima delle elezioni, il Messaggero rincara la dose: ‘dei 2.281 bus di proprietà dell’ATAC, 1.004 rimangono fermi ogni giorno nelle rimesse. Quasi 300 vengono considerati ‘irrecuperabili’ dagli addetti ai lavori. Poco più che ruderi, smembrati dei vari pezzi nel corso degli anni, ormai buoni solo per gli sfasciacarrozze. (…) Ma il numero degli autobus fermi per guasti è molto maggiore. Basta considerare che ogni giorno l’azienda programma l’uscita di appena 1.524 mezzi. E la media delle uscite effettive, dal lunedì al venerdì, è ancora più bassa, intorno a quota 1.350. Significa che restano bloccate nei depositi 931 navette, a cui bisogna aggiungere un’altra settantina di mezzi tra filobus e bus elettrici’. Nel giugno 2019 ATAC è costretta a mettere in ferie 300 autisti privi di un mezzo da guidare a causa dei guasti, in quel caso, in particolare, sono i condizionatori d’aria.
Già da qualche tempo i pendolari della Roma-Lido denunciano addirittura l’abbandono di alcuni convogli ferroviari in un deposito della Magliana, e in primavera hanno chiesto alla Regione Lazio di attivarsi per procedere alla riparazione e impiegarli sulla seconda peggior linea ferroviaria d’Italia (rapporto Pendolaria 2019) . ‘Sono tre treni CAF 300 provenienti dalla metro B della Capitale – ci spiega Maurizio Messina, del Comitato Pendolari della Roma-Lido – fermi da almeno 2-3 anni perché necessitano di manutenzione. La Regione ci aveva detto che si sarebbe adoperata per recuperarli, ma alla fine non se ne è saputo più nulla. Anche perché nel frattempo la Regione Lazio ha deciso di affidare le tre ferrovie concesse della Capitale, da anni gestite da ATAC, a una sua società, cioè Astral. E da quel momento il comune di Roma, avrebbe voluto rilevare la Roma-Lido, non ha più mostrato interesse a potenziare la linea. Astral poi ha bandito una gara molti milioni di euro per la manutenzione di altri modelli e l’interesse per i CAF 300 è scemato’.
La sindaca Raggi rivendica l’acquisto di 700 nuovi mezzi nel corso del mandato, dei quali 227 sono arrivati l’anno scorso e 328 sono attesi entro fine anno. L’anno scorso inoltre sono stati assunti 147 operai e altri 80 verranno assunti quest’anno. Ma tra i 70 bus israeliani Euro 5, presi in affitto e rispediti al mittente quando ci si resi contro che non erano immatricolabili, i 45 filobus rimasti senza manutenzione lo scorso maggio e i 90 bus nuovi ritirati dalla casa produttrice per un difetto di fabbricazione, i mezzi andati a fuoco e quelli, vecchi e nuovi, che continuano a fermarsi ogni giorno, alla fine il servizio rimane carente e nel 2018 lo scostamento tra il servizio programmato e quello effettivo è stato del 17% per ATAC e del 13% per Roma TPL, la società privata a cui ATAC subappalta il 20% del servizio.
‘Per dare un servizio dignitoso in strada dovrebbero ogni giorno dovrebbero esserci almeno 2.000 mezzi, ma sui 1.600 utilizzabili ATAC certifica 1.300 uscite, che si riducono a 1.100 se consideriamo i mezzi che rientrano in rimessa a metà servizio per problemi tecnici’ precisa Carlo Tortorelli, tra i promotori del blog Odissea Quotidiana, autorevole osservatorio sul trasporto pubblico nella Capitale. ‘I 328 mezzi che dovrebbero arrivare entro fine anno dovrebbero dare una boccata di ossigeno ad ATAC, ma andranno a sostituire i mezzi più vecchi, che ormai sono allo stremo, per cui alla fine il numero complessivo di mezzi della flotta rimarrà sostanzialmente invariato. L’aspetto positivo è che si tratta di mezzi nuovi, che dovrebbero essere meno soggetti ai guasti’. Secondo Tortorelli dunque ogni giorno ci sono 300 mezzi guasti che non entrano neanche in servizio e 200 che si rompono in strada. Gli altri sarebbero veicoli che non vengono rottamati perché non ci sono i soldi e in ogni caso si preferisce investire sull’acquisto di nuovi mezzi piuttosto che sulla loro riparazione.
Michele Frullo, autista ATAC e rappresentante dell’Unione Sindacale di Base parla di cifre ancora più basse, all’incirca 1.150 uscite giornaliere, su circa 1.900 mezzi e di queli che non vengono utilizzati ‘a spanne metà sono mezzi da rottamare, gli altri avrebbero bisogno di essere sistemati’. E anche per quanto riguarda le assunzioni dei meccanici ‘con le assunzioni fatte dalla Raggi non copriamo neanche il turn-over. Per riuscirci le assunzioni avrebbero dovuto partire 3-4 anni fa ed è un problema che riguarda più in generale tutto il personale, visto che ogni anno tra autisti, operai e amministrativi vanno in pensione 400 persone. In più come USB avevamo chiesto che le assunzioni dei meccanici venissero fatte prima anche per permettere un periodo di affiancamento tra i colleghi in uscita e i neoassunti’. E ora poi col passaggio delle concesse alla Regione ATAC potrebbe perdere un’altra quota di personale delle manutenzioni.
Un trend generale
Del resto quello dei mezzi fermi perché, per una ragione o per un’altra, i pezzi di ricambio tardano ad arrivare o non arrivano punto oppure perché non ci sono sufficienti operai per ripararli, è un problema non solo romano. A giugno, ad esempio, due consiglieri regionali del M5S hanno denunciato che su 146 bus della TUA, l’azienda del trasporto regionale abruzzese, 36 sono guasti e che dal 2018 i meccanici in organico sono passati da 17 a 7. Qualche anno fa il sito VeneziaToday raccontava la storia di due tram dal costo di 2 milioni di euro l’uno ‘cannibalizzati’ per ricavarne pezzi di ricambio usati per riparare altri mezzi: ‘La Lohr, l’azienda francese che ha costruito i mezzi, è fallita, mentre la divisione Translhor è stata assorbita dall’Alstom, sempre francese. E quest’ultima, a quanto pare, spedisce i pezzi di ricambio in ritardo perché spera di far firmare ad Avm un contratto di manutenzione’.
All’origine di questa situazione c’è la crescente esternalizzazione di attività vitali per le aziende di trasporto pubblico, spesso con conseguenze surreali. Nel 2013 un’inchiesta sulle aziende partecipate del Comune di Genova rivela che quando si guasta il motore di un mezzo AMT, l’ex municipalizzata dei trasporti, arriva una squadra di tecnici da Brescia per smontarlo, poi il motore va a Torino o a Firenze per la riparazione e quindi torna a Genova, dove un’altra squadra di operai bresciani lo rimonta. Col passar degli anni inoltre si è diffusa l’abitudine di acquistare i mezzi nuovi con un pacchetto che include anche alcuni anni di manutenzione. Così però chi dovrebbe aver cura dei mezzi tende a ridurre gli interventi all’osso. Salta, in particolare, la cosiddetta ‘manutenzione preventiva’, che dovrebbe intervenire prima che avvenga il guasto. I bus di linea sono mezzi complessi e sempre più tecnologici, con centinaia di metri di cavi elettrici e altre guaine di gomma. Basta un corto circuito o una bocchetta che salta e schizza un po’ d’olio su una parte arroventata perché si inneschi un rogo di cui di solito l’autista e i passeggeri si accorgono quando ormai è troppo tardi, un fenomeno che negli ultimi anni è diventato endemico. In queste condizioni nella migliore delle ipotesi il mezzo arriva alla scadenza del periodo di manutenzione offerto dal produttore già ‘bollito’ e a quel punto tocca all’azienda pubblica farsene carico con organici sempre più ridotti. A completare il quadro c’è il fenomeno sempre più diffuso dei difetti di fabbricazione.
Adda passà ‘a nuttata
Di fronte alla necessità di garantire il servizio di trasporto pubblico con una capienza limitata per ragioni sanitarie, che domani potrebbero essere ancor più pressanti, il governo Conte non aveva la bacchetta magica per rinnovare in pochi mesi un parco mezzi tra i più vecchi d’Europa. Ma avrebbe potuto investire massicciamente, anche utilizzando risorse europee, sulla manutenzione del vecchio parco mezzi, fornendo alle aziende di trasporto pubblico locale risorse aggiuntive per assumere operai, acquistare pezzi di ricambio, potenziare la manutenzione, preventiva e non. Avrebbe potuto anche investire sulla produzione nazionale di bus promuovendo nuova occupazione. Non avrebbe risolto integralmente il problema (il ricorso ai bus privati sarebbe restato comunque un’opzione e un’ancora di salvezza per migliaia di lavoratori della lunga percorrenza) ma avrebbe contribuito ad alleviarlo, facendo un investimento comunque necessario e imprimendo alla sua politica economica un indirizzo più lungimirante.
Invece ha scelto di derogare alle misure di distanziamento sociale, cioè di lasciare che sui mezzi pubblici valgano standard di sicurezza inferiori a quelli in vigore all’esterno. La spesa pubblica non crescerà, ma crescerà il rischio sanitario e si continueranno a gestire le aziende di trasporto pubblico come carrozzoni destinati ad andare ad andare a gambe all’aria al prossimo evento eccezionale o semplicemente a spegnersi lentamente di morte naturale, magari per essere sostituite da un gestore privato che ne terrà i conti in equilibrio tagliando ulteriormente il servizio, abbassando il costo del lavoro e pagando gli stipendi in ritardo e non versando i contributi ai fondi pensione, come Roma TPL. Anche in questo caso si tratta dell’ennesimo temporaneo espediente di una classe politica più debole del pur debole capitalismo italiano: ‘adda passà ‘a nuttata’.
L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’11 settembre.
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