Partiti e politici
Alitalia, un anno e 900 milioni dei contribuenti buttati via
Il prestito ponte, concesso dallo Stato ad Alitalia quasi dodici mesi fa, è stato messo sotto osservazione da parte dell’Unione Europea, che vuole appurare se si tratta di un aiuto di Stato, come tale concorrenza sleale e vietata.
I meccanismi di Bruxelles sono lenti, ma perfettamente prevedibili. Quanto accade ora era assolutamente scontato, qualche linea aerea concorrente avrebbe lamentato la violazione delle regole del gioco e la procedura comunitaria sarebbe partita. Era altrettanto certo che non sarebbe successo subito, che dunque si sarebbe potuto guadagnare tempo, evitando la chiusura di Alitalia e la messa a terra degli aerei che altrimenti sarebbe stata inevitabile all’inizio del maggio 2017.
Il prestito si chiama “ponte” perché doveva permettere ad Alitalia di scavalcare il mare di guai e trovare un compratore. La sua restituzione con gli interessi era stabilita dopo sei mesi, ma è stato invece prorogato e aumentato a novecento milioni. Ora che si avvicina pure la scadenza della proroga, il Governo Gentiloni si accinge a rinviarla a fine anno.
Ammesso che abbia avuto senso non chiudere Alitalia un anno fa e darle il tempo di trovare qualcuno che ne salvasse almeno una parte, è ora di giudicare la scelta politica di disprezzare le offerte di acquisto pervenute, con il mantra “Vogliamo vendere, non svendere” del ministro Calenda e di fatto prendere in giro le regole europee per cui le aziende devono stare in piedi da sole e non con i soldi dei contribuenti.
Non si capisce in base a quale parametro si debba giudicare che Alitalia verrebbe svenduta anziché venduta. Alitalia in sé non vale niente, ha una montagna di debiti pregressi che l’Amministrazione Straordinaria le consente di non pagare, i suoi aerei sono quasi tutti in leasing e si può essere certi che quelli che risultano di proprietà sono in realtà gravati di pegni e rate da pagare per il loro intero valore.
La sua quota di mercato in Europa è risibile, quella in Italia diminuisce senza soste ed è ormai ridotta al 12,6%, cioè solo un passeggero su otto vola Alitalia.
Ha valore il diritto che ha di effettuare certe rotte, come quelle in esclusiva dall’Italia per il Giappone o il diritto di volare dall’aeroporto di Milano Linate, anziché Malpensa o Bergamo, ma è un po’ come se fossero beni pubblici di cui ha l’uso gratuito, non di beni aziendali veri e propri.
Passati i primi mesi di Amministrazione Straordinaria, in cui saranno state raddrizzate le storture aggiunte dalla sciagurata ultima gestione di Etihad e i potenziali acquirenti hanno fatto le loro valutazioni, nulla può accadere che aumenti il valore di Alitalia, anzi le perdite che presumibilmente comporta ogni giorno di voli non fanno che diminuirne ulteriormente il valore.
E allora perché tardare? Per cecità politica. Nessun compratore vuole farsi carico, oggi come sei e dodici mesi fa, dell’eccesso di dipendenti che Alitalia ha, nessuno lo farà in futuro e la politica si impunta e non accetta la perdita di posti di lavoro, nemmeno in un settore come l’aviazione che non smette di crescere e in cui ogni giorno se ne creano di nuovi.
Tutti ricordiamo che Ryanair alla fine dell’estate ha dovuto cancellare molti voli e mettere un freno alla propria crescita, perché ha meno piloti di quelli che le servirebbero. In Europa e nel mondo le linee aeree cercano di strapparseli di mano e da noi che si fa? Cassa Integrazione per 100 comandanti e 90 piloti Alitalia che stanno a casa, pagati per non volare con i soldi delle tasse dei contribuenti e delle sovrattasse sui biglietti acquistati dai passeggeri, qualunque linea aerea scelgano.
Che senso ha? E soprattutto, a che cosa è servito alla forza politica che sta dietro al Governo, il PD?
Come gli 80 euro, come il rinnovo sotto elezioni dei contratti degli statali, aver sifonato i soldi degli Italiani nelle casse di Alitalia non ha fatto vincere le elezioni al PD, che nelle urne ha invece trovato la disfatta.
Peggio ancora, come le altre varie sciocche polemiche in cui Matteo Renzi se l’è presa con l’Unione Europea, ha portato acqua al mulino della narrazione per cui L’Europa con le sue regole è la fonte di ogni male e che il nostro avvenire sarebbe radioso, se solo Bruxelles non ci impedisse ad esempio di versare altri fiumi di soldi nelle nostre eccellenze, come Alitalia.
Non capisco perché Gentiloni voglia concedere un ennesimo rinvio della questione Alitalia, errare è umano, ma perseverare è diabolico.
I nuovi geni economici che stanno dietro ai nuovi statisti unti dalle urne pare che suggeriscano la nazionalizzazione di Alitalia e non manca il coro della stampa, ma attenzione, Alitalia è già stata nazionalizzata. Se ogni giorno vola è con i nostri soldi che le ha dato il Governo e non sarà nazionalizzazione intestare una quota a chi come la Cassa Depositi e Prestiti è soltanto uno pseudonimo dello Stato.
Ma certo, un Paese a forte vocazione turistica come l’Italia non può rinunciare ad avere la sua linea aerea, non può correre il rischio di finire come la Spagna, che ha ceduto Iberia al gruppo capeggiato da British Airways. Non può fare come la Svizzera, che ha venduto la sua linea aerea ai Tedeschi di Lufthansa. Tutti sappiamo che da allora il turismo in Spagna e Svizzera va malissimo…
Chi teme per il futuro economico del Paese, affidato alle cliccarie 5 Stelle e ai deliri sovranisti della Lega, ricordi che la politica economica del PD non era molto meglio.
La politica dovrebbe fare il suo mestiere, cioè cercare una soluzione che permetta all’aviazione italiana di crescere meglio e non essere solo terreno di conquista, soprattutto negli ancora lucrosi voli intercontinentali. Dovrebbe aiutare le realtà che sul territorio hanno successo, anziché chi le soffoca con debiti non pagati e le mantiene in qualche modo sottosviluppate.
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