Governo
Alitalia sull’orlo dell’abisso
Siamo talmente abituati a sentire di Alitalia in crisi, di salvataggi, di piani di recupero che poi non si avverano mai, che siamo convinti che anche questa volta il Governo tirerà fuori dal cappello una nuova soluzione e, con qualche taglio e qualche promessa di non lo faccio più e un pater ave gloria si ricomincerà da capo.
Questa volta però potrebbe andare diversamente, il gatto Alitalia è all’ultima o alla penultima delle sue sette vite. L’anno appena concluso ha visto profitti record per tutte le linee aeree del mondo, a causa del basso prezzo del carburante, di un andamento moderatamente positivo del PIL mondiale, dell’assenza di shock di terrorismo o epidemie virali. Alitalia, al contrario, ha perso centinaia di milioni, nonostante per buona parte dell’anno l’azienda ribadisse il ritornello che tutto andava secondo i piani (che prevedevano profitti nel 2017) per la compagnia sexy.
Perché? L’azienda ha sempre pronto un elenco aggiornato di scuse, dalle congiunzioni astrali alle difficoltà in Venezuela, ai limiti nell’attività verso gli Stati Uniti, credibili come quelle dello studente adolescente che non ha mai fatto i compiti a casa.
Si è sottovalutato il rifiuto di Air France nel 2014 al matrimonio, dopo più di dieci anni di fidanzamento. Il futuro modesto prospettato dai Francesi aveva fatto propendere per l’unione con gli Arabi di Etihad, ricchi e spavaldi, ma limitati come extracomunitari a possedere non più del 49% delle azioni. Al resto il Governo aveva provveduto forzando IntesaSanpaolo, UniCredit, Poste e poi Assicurazioni Generali a dare oro e sangue alla patria alata.
Le nostre istituzioni finanziarie si pentono oggi d’essersi svenate inutilmente in un colabrodo di linea aerea che non solo ha perso tutti i soldi, quello lo sapevano bene, ma li ha persi in un solo paio d’anni, fra exploit guasconi di linea aerea a cinque stelle, sale VIP superlusso appena utilizzate, aerei riconfigurati internamente più volte con sedili sempre nuovi, rivestiti di pelli pregiate.
Il management passa disinvoltamente dall’obiettivo della linea aerea di lusso incarnata dal presidente Luca Cordero di Montezemolo, che sa di Ferrari, di Poltrona Frau e di Acqua di Parma all’obiettivo di diventare una linea aerea low cost, con una trasformazione praticamente mai riuscita nel mondo, men che meno a pachidermi ministeriali come Alitalia.
Alitalia è ancora viva perché a fine anno è stata fatta un’ennesima iniezione finanziaria forzosa, i cui effetti svaniranno con i primi caldi. Le banche, anche volendo, non avrebbero proprio più soldi da gettare nell’avventura, Etihad si è già ritirata dai cieli tedeschi e non vede l’ora di farlo dalla penisola, l’azienda mette in giro voci di interesse da parte di Lufthansa, come nelle crisi precedenti millantava di interessi russi e cinesi. Siamo arrivati al dunque di un’azienda che serve con alti costi e inefficienze un mercato impoverito dalla crisi e che reagisce bene invece ai bassi prezzi offerti dalle efficienti low cost straniere.
Lavoratori e sindacati protesteranno con uno sciopero nei prossimi giorni e “non accettano”, soprattutto non accettano la realtà. Alitalia è morta tempo fa e quello che ora vola è uno zombie. In un Paese normale si metterebbe un punto fermo e si andrebbe a capo, come nel 2001 in Svizzera con la gloriosa Swissair e in Belgio con Sabena, dalle cui ceneri sono poi rinate Swiss e Brussels Airlines. Del resto sono solo storia anche miti come Pan Am e TWA. In Italia però non muore nulla e non rinasce nulla.
Probabilmente Alitalia finirà in una procedura concursuale che annichilirà i creditori e la metterà al riparo dalla chiusura immediata, ma che nulla potrà fare per impedire che perda somme ingenti ogni giorno.
Salvo che si trovi un altro improbabile coniglio nel cappello del mago, non c’è altra soluzione che chiudere e riaprire liberi da debiti, contratti con i dipendenti, accordi con altre linee aeree, con pochi aerei e pochi grilli per la testa, affidandosi a chi ha dimostrato di saper rimettere in piedi linee aeree disastrate (ad esempio Iberia).
Non si farà così, perché la realtà fa male, si preferirà affidarsi ad un nuovo piano industriale prospettato da consulenti tanto bravi nella teoria, quanto mai sperimentati nella pratica, a nuove iniezioni di denaro magari anche pubblico, perché il settore è “strategico”, a nuovi tentativi di aggirare il divieto UE che lo Stato ricapitalizzi baracconi sempre in perdita, magari accusando la stessa UE di osteggiare l’Italia, uno sport che piace a Brunetta, a Grillo, a Salvini, allo stesso Renzi quando stava a Palazzo Chigi. Si butteranno via ancora tempo e denaro, fino a quando la situazione sfuggirà di mano e il paziente passerà a miglior vita, “inaspettatamente”. Se succedesse già prima dell’estate non mi stupirei.
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