Governo
Alitalia, sta cambiando qualcosa?
Dopo due anni e mezzo di Amministrazione Straordinaria all’insegna del Tutto va ben, Madama la Marchesa, la narrazione della risanata Linea Aerea Più Puntuale dell’Universo si è incrinata, perché sono finiti i 900 milioni di euro generosamente “prestati” dal Governo Gentiloni nel 2017.
Insieme a nuovi fondi pubblici per 400 milioni, di cui la maggioranza dei parlamentari si è illusa di poter ordinare la restituzione entro maggio, è arrivato un nuovo commissario unico, Giuseppe Leogrande, che ha nel suo palmarès l’esito positivo, ancorché tardivo e fortunato, del commissariamento della piccola Blue Panorama. Soprattutto Leogrande ha preso un direttore generale, Giancarlo Zeni, proprio dalla Blue Panorama che insieme avevano salvato. Zeni è una delle pochissime persone che capiscono veramente di aviazione in Italia e ha accettato la sfida temeraria, forse anche per non sentire più sul collo il fiato di un padrone un po’ invadente come Luca Patanè, a cui non mancano né cazzimma né megalomania, tanto da aver cambiato in Luke Air il nome della sua linea aerea.
Ora a dirigere le attività di Alitalia c’è qualcuno che indubbiamente conosce il mestiere, ma che si trova di fronte a una missione più impossibile di quelle di Tom Cruise. Ce la farà?
Non dipende da lui, ma soprattutto dalla politica. Alitalia periodicamente resta senza soldi e rischia di chiudere, come a novembre, perché la politica non ha mai permesso di intervenire in modo sufficientemente incisivo. Dopo essersi trastullati per due anni e mezzo nella costruzione di una cordata con cui impiccare finanziariamente le Ferrovie dello Stato, l’Atlantia dei Benetton e altri sventurati, da Bruxelles deve essere arrivato discretamente l’avviso che Alitalia era in fuorigoco dal 2017 e che sarebbe stato più saggio, nei minuti di recupero, ascoltare le richieste dell’unico partner possibile, quella Lufthansa che però non investirà un euro se non in un’Alitalia già dimagrita e in equilibrio.
Sulla stampa si legge che potrebbe essere stato infranto il tabù dello spezzatino e che quindi le attività di volo, di manutenzione e di handling potrebbero essere separate per essere vendute singolarmente o addirittura chiuse e che la flotta potrebbe diminuire di un quarto, con conseguenti forti esuberi, aggravati dal fatto che più di mille dipendenti sono già adesso in Cassa Integrazione. Seguirebbero dunque “scivoli” straordinari, mentre i duecento dipendenti della Ernest Airlines, che è stata chiusa l’11 gennaio, sono rimasti senza lavoro e senza alcun politico che si faccia bello occupandosi di loro. Ma, come sapete, nella nostra Fattoria alcuni animali sono più uguali degli altri.
Sapere che cosa accadrà ad Alitalia è molto più difficile che indovinare chi vincerà il campionato di serie A. Per ora sembra che sia intervenuto un barlume di ragionevolezza, ma basta ascoltare la registrazione della audizione alla Camera dei Deputati del rappresentante di Lufthansa Jörg Eberhart per restare allibiti dalle scempiaggini dette dalla quasi totalità dei Deputati intervenuti.
Alitalia è un problema culturale, chi la vuole mantenere perché è “strategica”, anche se viene usata per venire in Italia da meno di un turista internazionale su dieci, chi la vuole nazionalizzata anche se pagare uno stipendio ai suoi dipendenti, lasciandoli a casa, costerebbe meno che tenerla aperta, chi semplicemente non ha remore nell’aprire il borsellino pubblico per evitare di perdere un voto. E’ così da decenni, ma ora si deve decidere fra amputare o vederla morire.
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