Governo
Alitalia, due anni di Amministrazione per niente Straordinaria
Alitalia compie oggi due anni di Amministrazione Straordinaria, dopo la bancarotta che seguì il no dei dipendenti nel referendum sui tagli concordati con i sindacati. Il governo Gentiloni fornì una dote di 600 milioni di euro da restituire entro sei mesi, ma alla scadenza ne elargì invece altri 300. Come consentono le norme dell’Amministrazione Straordinaria, Alitalia poté non ripagare centinaia di milioni di debiti che aveva con i fornitori e i finanziatori, mentre si teneva in tasca i soldi dei biglietti che i passeggeri le avevano pagato anticipatamente.
Da allora lo storytelling ha voluto persuadere gli Italiani che la compagnia è risanata perché i suoi voli sono in orario e sono stati corretti gli errori della gestione precedente. Si è anche tentato di far credere che il mondo avrebbe sgomitato per diventare socio. La realtà è ben diversa, Alitalia perde sì meno, ma è tornata al suo livello di perdite “normale”, quello della precedente gestione Colaninno, eliminando il sovrappiù di perdite dell’allegra gestione Etihad. A parte il gigante americano Delta, disposto a entrare con una piccola quota per mantenere Alitalia nella squadra globale dei propri alleati, sull’uscio non c’è una linea aerea, una banca, un fondo, un ricco investitore. Nessuno che sia Italiano o straniero vuole mettere un euro in Alitalia alle condizioni che il governo impone, nessuno ritiene che possa smettere di perdere soldi senza un’energica ristrutturazione, che in due anni non è stata fatta.
Il cartello “Vendesi” è appeso vanamente da due anni e le perdite, non dichiarate ma stimabili in circa un milione di euro al giorno, la spingono nuovamente verso il baratro, mentre le migliori compagnie europee guadagnano cifre importanti anche se il contesto peggiora per l’aumento del prezzo del carburante e la crescita risicata dell’economia.
Scelta in Italia ormai soltanto da un passeggero su otto, irrilevante sullo scacchiere internazionale, è una favola che sia Alitalia indispensabile al turismo, non fa nemmeno un volo per la Cina eppure i Cinesi arrivano. Serve a chi ci lavora e agli altri che hanno un interesse economico nella sua sopravvivenza e, lobby potente, riescono a imporre a noi tutti di mantenerla. Il governo PD precedente ha perso l’occasione giusta per staccare la spina, mentre l’attuale gialloverde è ubriaco della convinzione che l’aritmetica e la ragioneria non contino e che scialacquando il denaro pubblico preso a prestito si possa fare tutto, in piena nostalgia degli anni ’70. Un sindacato corporativo dà man forte, mentre si cercano soci in extremis con ricatti più o meno velati.
Alitalia, incapace di mantenersi in piedi da sola e assolutamente incapace di crescere, mantiene l’aviazione del Paese in ostaggio tra favori, bandi ad hoc come quelli della Continuità Territoriale per la Sardegna, periodici default nei pagamenti agli aeroporti, in cui mantiene tuttavia accessi privilegiati. Decenni di salvataggi hanno prodotto un nano che tuttavia ha assoggettato la politica e calpesta con il dumping i privati che vogliono fare impresa contando soltanto sui propri soldi che rischiano.
Qualunque sia la soluzione all’attuale puntata della telenovela, se l’obiettivo resterà soddisfare gli interessi della lobby anziché l’interesse pubblico, tra pochi anni si ritornerà da capo alla cassa vuota e all’ennesimo inutile salvataggio, mentre in tutto il resto d’Europa e del mondo i migliori si allargano e i peggiori soccombono ai propri errori.
Riassumendo: due anni persi, al costo di centinaia di milioni.
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