Trasporti

Alitalia di nuovo in crisi, dalle cinque stelle al chiagne e fotte

6 Ottobre 2016

Non sono passati nemmeno due anni dall’ingresso degli Arabi di Etihad in Alitalia e, invece di vedere la “cenerentolinea” aerea italiana elevata al livello di quella emiratina, assistiamo all’abbassamento dei nuovi padroni al livello delle peggiori abitudini nostrane.

Chiagne e fotte è il commento che viene spontaneo alla lettura dell’odierna intervista al Corriere della Sera di James Hogan, presidente di Etihad e vicepresidente di Alitalia. Forti delle ricchezze del petrolio ai massimi e sempre ansiosi di controbattere i cugini di Emirates, gli uomini di Etihad si erano lanciati all’acquisto di tutto quanto venisse messo in vendita in Europa: la secondaria Air Berlin in Germania, l’insignificante Air Serbia, Alitalia e ora anche l’inutilissima Air Malta. Linee aeree in perdita costante, che nessun altro potenziale compratore prendeva in considerazione.

Il crollo del prezzo del greggio ha riportato Abu Dhabi con i piedi per terra. In questi giorni air berlin ha dovuto decidere di liberarsi di 75 dei 105 aerei di medio raggio che ha in flotta, approfittando della disponibilità al salvataggio della ricca Germania: 40 andranno in affitto a Lufthansa, con tanto di equipaggi, 35 alla TUI focalizzata sui voli vacanza. Sì, resteranno  tutti i 17 aerei widebody, quelli a doppio corridoio usati nei voli intercontinentali, ma si tratta di una cura dimagrante da cavallo!

Quanto a noi, il tono della comunicazione Alitalia è passato improvvisamente dall’esaltazione della “linea aerea a cinque stelle”, delle nuove lounge per i ricchi passeggeri di business class, dei menu sofisticati per gli stessi, delle nuove (per la verità orribili) divise al lamento, al chiagne e fotte.

Luca Cordero di Montezemolo aveva già confessato in Parlamento che Alitalia perde mezzo milione di euro al giorno, incolpando gli attentati di Parigi, la crisi in Venezuela e forse lo scudetto inglese al Leicester, ora James Hogan dice alla giornalista del Corriere che Alitalia perde per colpa dello Stato che non sarebbe stato ai patti, indicando una serie di esempi che sono assolutamente falsi e che l’intervistatrice, bontà sua, non ha minimamente contestato.

Vediamone un paio, cominciando da Ryanair che “al nostro arrivo aveva il 20% del mercato. Ora ha il 50%“.

Questa è una frottola bell’e buona, che un giornale dignitoso non dovrebbe mai dare in pasto ai suoi lettori, con fanfara, senza averla controllata e sbugiardata.

Cifre inventate, Ryanair NON è affatto passata dal 20 al 50% in due anni. Continua invece a crescere imperterrita, giorno dopo giorno, guadagnando soldi quando Alitalia li perde, forte della sua maggiore efficienza ed anche di una certa furbizia. Nel 2017 aumenterà la sua flotta di 50 unità, mentre i concorrenti arretrano.

Altro lamento di Hogan è l’impossibilità di usare l’aeroporto di Linate per voli fuori dall’Unione Europea. L’aveva sì chiesto, ma non gli era stato promesso e l’allora Ministro Lupi aveva fatto il massimo per aiutare Alitalia, partorendo un decreto in tale fretta e furia che l’Unione Europea l’ha bocciato e pure il TAR l’ha bocciato. Il decreto, potenzialmente letale per il sistema aeroportuale lombardo, è stato poi usato soltanto per spostare da Malpensa a Linate i voli air berlin per Düsseldorf, con risultati di riempimento negativi. Come buttare una bomba a mano in tabaccheria per rubare un pacchetto di sigarette.

Durante i recenti lavori preparatori per la stesura del nuovo ennesimo decreto su Linate, necessario perché quello di Lupi è risultato illegale, è stata la stessa Alitalia a rinunciare ad un’apertura di Linate ai voli extra-UE, perché Bruxelles avrebbe chiesto in cambio la diminuzione dell’anomala quota (due terzi) dei movimenti di Alitalia nello scalo cittadino milanese. Alitalia preferisce continuare a dominare l’aeroporto, anche se ci perde decine di milioni, mentre tutti gli altri concorrenti guadagnano.

Linate comunque è solo la minima parte del business Alitalia, che è incentrato su Fiumicino. Secondo Hogan, “a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero”, altra colossale fandonia. A Parigi Charles De Gaulle ci sono grosse basi di easyJet e di Vueling ed Air France non se ne lamenta, perché queste sono le regole del gioco imposte in tutto il territorio dell’Unione Europea a tutela della concorrenza: se c’è spazio libero chiunque può entrare. A Londra Heathrow non ce n’è, come a Linate peraltro.

Ancora Hogan si lamenta che lo Stato non spenda per aiutare il turismo, invertendo i termini della questione: non è l’Italia a dover spendere per riempire di passeggeri i voli Alitalia, ma tocca ad Alitalia riempire i suoi aerei per portare turisti in Italia, altrimenti non serve assolutamente a niente.

Perché chiagne e fotte? Perché il lamento di James Hogan è propedeutico alla richiesta di soldi per ricapitalizzare nuovamente Alitalia, alla possibilità di nuovi tagli all’occupazione con intervento della mano pubblica.

Intesa e UniCredit “hanno già dato” e non possono svenarsi nuovamente, l’accordo per la limitazione delle tasse aeroportuali, annunciato da Renzi e Delrio ad agosto, impedisce che vengano nuovamente aumentate per facilitare nuovi esuberi Alitalia. In più, lamentarsi che il Governo italiano non violi regole UE, in vigore da anni e ben note al momento dell’investimento, denota la qualità di chi pretende di vincere con l’aiutino.

James Hogan ha pienamente sbagliato il piano industriale per Alitalia, ora per cavarsi dall’impiccio vorrebbe Luciano Moggi a Palazzo Chigi?

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