Appalti

Aeroporti lombardi fra quiete e tempesta

2 Settembre 2015

Ieri il Consiglio di Stato ha pilatescamente deciso di non decidere sulla validità della concessione quarantennale dell’aeroporto di Brescia Montichiari in mano alla Catullo di Verona, a sua volta nell’orbita della SAVE che già controlla gli aeroporti di Venezia e Treviso. Sarà la Corte di Giustizia europea a decidere se la concessione dovrà essere messa a gara e nel frattempo passeranno almeno due anni. In caso di gara difficilmente i veronesi potrebbero permettersi un’offerta vincente per un aeroporto senza traffico, senza prospettive e che genera un sacco di perdite, che vanno a gravare sui già poco brillanti risultati dell’aeroporto scaligero.

A volere la gara sono i bergamaschi di SACBO, alle prese con una crescita felice che ha però pochi margini di ulteriore realizzazione e con il rumore dei voli notturni cargo. Montichiari è sostanzialmente vuoto e, mentre Orio è alle porte di Bergamo, si trova in una campagna poco popolata, dove pochissimi vengono disturbati dai voli notturni delle Poste, unico cliente della struttura.

I bresciani, dal canto loro e soprattutto le “istituzioni”, non possono sopportare l’onta di vedere il proprio aeroporto vuoto, mentre quello dei rivali bergamaschi scoppia e vorrebbero una fetta di una torta che probabilmente non esiste, come dimostrato dalle ripetute chiusure delle rotte via via tentate nel tempo, perché a 50 chilometri sia da Bergamo che da Verona non c’è domanda per un’ulteriore struttura passeggeri. Qualche volo Ryanair dovrebbe arrivare come chiusura di un vecchio contenzioso, ma è ovvio che alla fine dell’accordo gli aerei irlandesi voleranno verso lidi più remunerativi, ad esempio a Malpensa dove oggi annunceranno ufficialmente il proprio approdo.

Il Presidente della Regione Maroni, supportato dal Piano Nazionale Aeroporti, appena varato dopo una gestazione pluriennale, vorrebbe saggiamente che una regia comune evitasse lotte di campanile anacronistiche, cessate persino in Toscana dove Renzi ha ottenuto che Pisa e Firenze finissero di farsi una guerra medievale.

In Lombardia tutto è possibile, la guerra per il controllo di un aeroporto vuoto oppure all’opposto la fusione fra SEA (Malpensa e Linate) e SACBO (Orio), un “colosso” regionale che facilmente potrebbe fare l’offerta migliore per accaparrarsi anche l’aeroporto bresciano.

Con le tariffe limitate dai contratti di programma fra i concessionari ed ENAC, Ente Nazionale Aviazione Civile, non c’è rischio di aumenti per le compagnie aeree, in compenso il coordinamento degli investimenti e le sinergie ottenibili da un unico gestore darebbero una spinta all’efficienza, come già in Veneto, a Roma e appunto in Toscana.

Il problema è di solito la politica locale, che nicchia nell’accettare quello che per il privato sarebbe ovvio. Gli interessi locali tengono in piedi aeroporti morti come Parma e Cuneo, inutili come quelli di Trapani e di Brescia. Ogni Comune sogna di essere Londra e vuole la propria torre di controllo, come se fosse un nuovo campanile della cattedrale, ma la realtà dei piccoli scali è costellata di perdite, tanti aeroporti snobbati dai passeggeri e dalle compagnie aeree, nel migliore dei casi redditività risicate, investimenti inutili. Perché è ovvio, il controllo di un aeroporto in Italia dà il via, nel peggiore dei casi, ad un giro d’affari che induce in tentazione, nel migliore gonfia il petto dei politici meno saggi nella propaganda elettorale e una concentrazione sarebbe intelligente mossa di politica industiale, ma negativa per la politica di campanile.

Ci si deve augurare un sano dibattito fra pro e contro, non fatto di slogan ma basato su studi seri, come quello che il rettore dell’Università di Bergamo Paleari presenterà a giorni sulla possibile unione fra SEA e SACBO. Quello che non ci si deve augurare è leggere articoli come quello scritto ieri sul Corriere della Sera da Anna Gandolfi, che prova a gettare benzina sul fuoco, evocando lo spettro di una SEA male in arnese che tenta di accaparrarsi il gioiello SACBO per sanare i propri guai.

L’espressione usata è “i problemi di bilancio di SEA sono noti”. Niente numeri a supporto, perché l’ultimo bilancio di SEA è in consistente attivo, come i precedenti e segna 205,9 milioni di euro di EBITDA (+12,6% rispetto al 2013) e un utile netto del Gruppo di Euro 54,9 milioni, in incremento del 62,7% rispetto al 2013. Per non parlare dei primi sei mesi del 2015, che hanno visto l’EBITDA crescere ulteriormente e l’utile addirittura salire del 98,1% rispetto al primo semestre 2014.

Svista, malafede o semplicemente cattivo giornalismo?

Speriamo in futuro di poter leggere di meglio.

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