Governo
A chi l’Alitalia? A noi!
Non è ancora ben chiaro il prossimo futuro di Alitalia, ma si può azzardare qualche previsione.
Finita in bancarotta nel maggio 2017, Alitalia sopravvive grazie ai 900 milioni erogati dallo Stato come prestito ponte, che vengono consumati ogni giorno dalle perdite, ma che vanno restituiti, oltre agli interessi di circa il 10% annuo, entro la fine del 2019. Non essendoci soldi in cassa per rimborsare il debito, l’onere toccherà al nuovo proprietario.
La liberalizzazione dei cieli europei ha permesso alle linee aeree di tutti i Paesi membri di andare a prendersi passeggeri ovunque ne vedano l’opportunità, ma con l’ovvio limite che ciascuna lo faccia con le proprie forze e non con quelle dello Stato a cui appartiene. È un principio di fair play finanziario come quello accettato persino nel mondo del calcio, se venisse meno le linee aeree degli Stati finanziariamente più forti potrebbero schiacciare quelle dei Paesi più deboli come l’Italia.
L’aiuto di Stato perciò può essere solo temporaneo, il prestito ponte va restituito, ma in un anno e mezzo non si è trovato nessuno disposto a investire capitali in Alitalia, alle regole imposte dai Governi presente e passato, cioè non toccare l’occupazione.
Alitalia sarà italiana, la nazionalizzazione di cui si parla altro non è che la constatazione che, a queste condizioni, nessuno che non sia lo Stato o sotto il controllo dallo Stato accetta di investire in Alitalia e anche tra quelli che rientrano nella categoria chi può si tira indietro, perché come ENI teme un contraccolpo sulla propria quotazione in Borsa o perché come la Cassa Depositi e Prestiti per statuto non può investire in società in perdita.
Le voci di interessamenti di questa o quell’altra compagnia o di costruttori di aerei sono solo frutto dell’abile opera di PR, non c’è nessun compratore alla porta, c’è solo lo Stato italiano, che però deve essere affiancato da investitori privati, per rispettare le regole comunitarie.
Per evitare una sfida plateale alla Commissione Europea il capitale di Alitalia non sarà interamente detenuto dallo Stato, ma in parte andrà alle Ferrovie, che pure hanno il nome di Ferrovie dello Stato ma reciteranno la parte di investitore privato, perché legalmente sono una Società per Azioni, quindi di diritto privato.
Con questo escamotage si consentirà a tutti di salvare la faccia e di far arrivare ad Alitalia soldi che in ultima analisi sono tutti dello Stato, sperando che l’ennesimo salvataggio abbia sorte migliore dei precedenti.
I liberisti puri e duri penseranno che sarà l’ennesimo spreco, i cinici che comunque il costo annuo del mantenere in vita Alitalia è inferiore a quanto costa agli Italiani la sola (accento acuto o grave come preferite) azienda del trasporto pubblico romana ATAC.
Il nuovissimo capo delle Ferrovie dello Stato, investitore obtorto collo, dice per carità di Patria di vedere interessanti sinergie con Alitalia, ma ci sono veramente sinergie fra treno e aereo? O piuttosto un accordo porterebbe a una riduzione della concorrenza e ad un aumento dei prezzi, ad esempio fra Milano e Roma? La materia è veramente spinosa.
Trenitalia ha appena siglato un accordo con Emirates, che permetterà ai passeggeri di avere in un unico biglietto sia il viaggio aereo che la tratta ferroviaria di avvicinamento all’aeroporto con le Frecce, ottenendo le stesse garanzie di riprotezione che in caso di disguidi avrebbero se quell’avvicinamento fosse fatto in aereo.
Cose che succedono già da tempo in Francia e in Germania, a cui diamo finalmente il benvenuto in Italia e facilmente estendibili a tutte le altre linee aeree, tra cui Alitalia, che è bene non ne abbia l’esclusiva.
L’enorme successo dell’Alta Velocità ferroviaria, indubbiamente l’innovazione più rilevante dell’ultimo decennio in Italia, impone una migliore integrazione con il trasporto aereo e speriamo che dal fidanzamento Alitalia-FS arrivino finalmente buoni collegamenti fra le linee AV e gli aeroporti intercontinentali di Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia, fin qui spesso bloccati dall’opposizione di comitati locali o dagli usuali ritardi negli investimenti. Questa sarebbe una sinergia veramente utile al Paese. Invece la ventilata abolizione dei voli Alitalia da Bologna, Firenze e Napoli a Roma farebbe solo risparmiare una goccia nel mare delle perdite.
Per Ferrovie dello Stato quello in Alitalia sarà un buon investimento? I precedenti non consentono di essere ottimisti ed è meglio ragionare in questi termini: per iniettare soldi in Alitalia lo Stato attingerà anche alle casse di FS, poi sarà quel che sarà.
Ma perché Alitalia perde così tanto? Perché fa un lavoro che i concorrenti fanno a costi molto inferiori o su una scala molto maggiore.
Portare passeggeri da Palermo a Milano costa ad Alitalia il doppio che a Ryanair, che però non saprebbe portarli a Roma e da lì farli proseguire per San Paolo. Alitalia stessa però non è in grado di portarli a Shanghai o a Dallas, dove non vola. Finché Alitalia insiste nel fare concorrenza sulla rotta Palermo-Milano a Ryanair, che occupandosi marginalmente di voli in transito ha una struttura incredibilmente più semplice e meno costosa, perderà soldi. Se offrirà a Tel Aviv voli con scalo a Roma per New York, ma non per Dallas, continuerà a perdere potenziali clienti che potrebbero riempire i suoi voli Tel Aviv-Roma.
Da qui nasce l’idea di Gubitosi di aumentare il ventaglio di voli intercontinentali offerti, ampliando la flotta come da sola una compagnia aerea in bancarotta non può fare. Toccherà perciò alla Cassa Depositi e Prestiti ordinare e pagare nuovi aerei per affittarli ad Alitalia, sia per sostituire quelli più vecchi, sia per ampliare la flotta. Boeing è pronta a cogliere l’occasione di scavalcare Airbus nella penisola, stanti i rapporti tesi del Governo italiano con quello francese.
Secondo questo piano si ridurranno i voli nazionali, spostando il personale a quelli intercontinentali e dunque mantenendo i livelli occupazionali, fatto salvo un nuovo giro di pensionamenti e Cassa Integrazione a condizioni nuovamente privilegiate.
L’impegno di Cassa Depositi e Prestiti ammonterebbe a parecchi miliardi, ma questo schema, nel malaugurato caso in cui Alitalia non sopravvivesse, almeno le lascerebbe la proprietà di aerei da rivendere o affittare a un nuovo cliente, limitando i danni.
Il piano è così geniale che c’è da chiedersi come mai non sia stato pensato prima. Fuori dal sarcasmo, è come la sortita disperata degli assediati, restati a corto di cibo e munizioni, costretti a tentare la sorte per evitare morte certa.
La altre compagnie aeree però non resteranno a guardare. A parte i ricorsi legali contro uno schema che sembra fin troppo furbo, questa strategia tipo import substitution nei voli intercontinentali si scontra non soltanto con il crescente fenomeno delle low cost intercontinentali, ma con i grandi colossi che si sono già formati.
Alitalia appartiene da tempo al gruppo SkyTeam, ma non si capisce se lo sviluppo pianificato vedrà d’accordo i partner. Se volerà in solitudine Alitalia rischierà l’ennesimo brusco impatto col terreno e le aumentate dimensioni porteranno ad un botto finanziario maggiore dei precedenti. Se andrà molto bene potrà essere forse essere accolta in un gruppo più grande a condizioni meno umilianti di quelle che ha trovato oggi.
Se allo Stato spetta il dovere di fare politica industriale quella odierna però è politica miope, perché troppo imperniata sulla ricerca di consenso politico a breve, per evitare una ristrutturazione drastica e forse impopolare.
La cifra in gioco non è altissima, spreco più, spreco meno si tratta di avere una seconda ATAC da mantenere, ma un animale malato e mantenuto in vita artificialmente toglie risorse ad altri animali che potrebbero crescere sani e forti.
Alitalia nazionalizzata rischia di essere un ritorno agli anni ’70, in un settore che vola verso il futuro. Se l’essere proprietà statale toglierà vincoli all’efficienza e ridarà la stura allo spreco, l’esito sarà infausto. Gridare Alitalia a noi e sventolare l’orgoglio patrio della compagnia di bandiera non porterà a nulla di buono.
L’obiettivo del Governo deve essere avere operatori sani, evitando distorsioni della concorrenza e i favoritismi che nei decenni hanno reso l’aviazione italiana una tragica barzelletta e Alitalia un animale incapace di cavarsela da solo.
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