Sanità
L’impegno di Vidas? parlare di vita a chi la sta lasciando
In Italia, sono oltre 500.000 le persone affette da patologie inguaribili, 35.000 bambini di cui solo il 18% ha accesso alle cure palliative, numeri impressionanti. Vidas, associazione senza scopo di lucro, dal 1982 difende il diritto del malato a vivere anche gli ultimi momenti di vita con dignità, garantendo a oltre 2300 pazienti ogni anno assistenza sociosanitaria gratuita a anziani, adulti e dal 2015 anche bambini. Ho avuto la fortuna di essere ricevuto da Raffaella Gay, Direttrice della comunicazione istituzionale, che mi ha ospitato in Vidas raccontandomi, con una passione immensa e contagiosa, un mondo che conoscevo poco. Una conversazione che mi ha arricchito e che vorrei condividere, sperando che possa arrivare a chi legge, anche solo una parte dell’energia e dell’emozione che sono arrivate a me. Prima però cito un passo dell’intervista fatta di recente al Presidente di Vidas, Ferruccio De Bortoli. “Non dobbiamo avere paura della morte nel momento in cui capiamo che bisogna affrontare le invalidità permanenti, ma in realtà non ci occupiamo dei temi del fine vita perché abbiamo molte paure, preferiamo esorcizzare il tema, allontanarlo pensando che non ci toccherà mai personalmente. È una forma di visione scaramantica della vita”.
Quando e come nasce l’idea di Vidas?
L’idea nasce dalla fondatrice, Giovanna Cavazzoni, poco prima intorno agli 50, mentre assisteva come volontaria la sua insegnante di canto malata. Da lì è nata la pulsione e il pensiero di aiutare chi soffriva, chi veniva dimesso dall’ospedale perché non c’era più nulla da fare e il paziente non poteva nemmeno beneficiare di alcuna assistenza domiciliare. Vidas nasce nel 1982 con l’aiuto di qualche volontario, uno psicologo e un medico, una micro équipe che ha iniziato a lavorare a domicilio, inizialmente con una ventina di pazienti che non potevano più restare in ospedale e ai quali fornire un aiuto sanitario e psicologico. Gli anni ’80, quelli della “Milano da bere” rappresentavano un periodo in cui la parola cancro non si poteva nominare, se ne aveva una paura folle. Giovanna Cavazzoni, che era persona di comunicazione con una grande esperienza di pubbliche relazioni, arricchita anche dalla collaborazione con Veronesi è stata una precursora delle cure palliative. Tra lei e la fondazione Floriani è nato l’aiuto per il malato che non può guarire, ma che può essere curato.
In questi 40 anni come l’associazione si è sviluppata sul territorio?
La prima sede era a Milano in viale Piave in uno scantinato, si è poi sviluppata in città, oggi è presente in 115 comuni dell’hinterland milanese. Nel 1983 Vidas diventa anche Fondazione, l’Associazione si occupa dell’assistenza, mentre la Fondazione di divulgazione culturale, di sensibilizzazione e formazione con il compito è quello di trasferire all’esterno la conoscenza di tutte le tematiche legate all’assistenza e al vivere, perché parliamo di morte, ma prima di tutto parliamo di vita e di dignità della vita stessa. Il trasferimento del know how avviene a livello nazionale, l’operatività invece è a Milano e nell’hinterland. Oggi abbiamo sette équipe, questo è un aspetto molto importante, perché le cure palliative si fanno solo in équipe strutturate intorno alla necessità del paziente e della famiglia. Sul paziente si interviene con la terapia del dolore, quindi un intervento medico sanitario, ma anche psicologico, la stessa cosa vale per la famiglia e per i figli. Tutto questo viene eseguito a domicilio, quando è possibile, se no in hospice. Le figure professionali sono multidisciplinari: ci sono il medico, l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo, l’operatore d’igiene, il fisioterapista, logopedista, il terapista occupazionale, l’assistente spirituale, l’educatore e il volontario. Il paziente deve vivere, nella sua casa, insieme alle sue cose, per il tempo che gli rimane.
Quali sono le attività principali?
Ci siamo resi conto successivamente che non tutti i pazienti potevano ricevere le cure a domicilio, perché non avevano una casa adatta all’assistenza oppure erano completamente soli, così nel 2006 è nato l’hospice Casa Vidas, con lo scopo di assistere i pazienti adulti che non potevano ricevere le cure a casa. Nel 2019 abbiamo aperto l’hospice pediatrico, il primo in Lombardia. Intercettare i bisogni, cercando di sostenere i pazienti, fa parte del DNA di Vidas. l’Associazione gode di una generosità straordinaria sia da parte di chi restituisce quanto ricevuto sia da parte di tante persone generose che credono nella nostra mission e nel valore del diritto alla dignità della vita. L’hospice pediatrico nasce da una storia di due papà che hanno perso i loro bimbi in ospedale, ci hanno stimolato alla creazione di un luogo diverso per il fine vita dei bambini, dove anche le famiglie potessero essere accolte. Si chiama “Casa Sollievo Bimbi” ci sono 6 mini appartamenti, strutturati con letto matrimoniale per i genitori e i letti per i bimbi, divisi con strutture mobili che consentono di allargare la stanza in caso di necessità. Ospitiamo i piccoli pazienti con genitori, spesso fratelli e sorelle e anche animali da compagnia, l’importante è ricreare il concetto della casa. Abbiamo capito che l’assistenza ai bambini è una cosa diversa rispetto a quella degli adulti, la percentuale di fine vita è molto bassa, circa il 10-20%, il resto sono malattie rare che danno ai piccoli pazienti un’aspettativa di vita molto più lunga. Per un adulto l’aspettativa di vita in Casa VIDAS è di circa 10 giorni, a domicilio si arriva ad un mese e mezzo, per i bambini la sopravvivenza media è di 44 mesi, per noi quindi è importante dare sollievo ai genitori, se possibile consentirgli di fare qualche giorno di vacanza con gli altri fratellini mentre ci occupiamo del piccolo malato. È necessario formare i genitori a gestire eventuali crisi, insegnare come trattarli a casa in modo da non ricorrere al ricovero attraverso un pronto soccorso, bisogna cercare di evitare ricoveri impropri. Questo vale per i bambini con un’aspettativa di vita più lunga. Sia per gli adulti, sia per i bambini abbiamo anche il day hospice un luogo dove si fa riabilitazione psicomotoria, fisioterapia e tutti trattamenti che prevedono un lasso di tempo giornaliero. I nostri preziosi volontari li vanno a prendere a casa e li riportano dopo il trattamento.
Post pandemia avete dato il via a un progetto di assistenza per pazienti Cronici Complessi Fragili (CCF) e all’ideazione di “Più vita agli anni”, ce li racconta e come stanno andando?
Il CCF è un progetto che si è sviluppato in collaborazione con l’ospedale San Raffaele e prevede la presa in carico di pazienti affetti da patologie sanitarie, ma anche sociali ed economiche, i cosiddetti soggetti fragili, pazienti che hanno particolari patologie, ma che non riguardano il fine vita, quindi con un’aspettativa più lunga, magari anche di due anni, malati che devono essere seguiti a casa. L’idea del nostro presidente, De Bortoli, è stata quella di affrontare un tema non strettamente legato al fine vita ma che rientra comunque in quel termine di sofferenza che si trova nell’acronimo Vidas che riguarda l’essere umano nel suo complesso. Da qui il progetto “Più vita agli anni” di una struttura che copra il bisogno di pazienti spesso soli, economicamente e clinicamente fragili, senza un posto adeguato dove stare. La struttura è quella di una vecchia cascina, una vecchia corte che rievoca il concetto di condivisione tra gli ospiti residenti ma anche di scambio intergenerazionale. Ci sarà un laboratorio di pasticceria per la formazione al lavoro di giovani, con la possibilità di dare un servizio anche all’esterno e di volontariato. Un ambiente che accolga e coinvolga i giovani, gli anziani e il territorio. Dovrebbe diventare una residenza di accoglienza, di convivenza e di benessere. Strutture analoghe sono già presenti nei Paesi del nord, ad esempio in Germania, strutture che tutelano la privacy e l’autonomia dell’ospite, pur dando spazio alla convivialità per chi la desidera.
Quali saranno le caratteristiche per poterne usufruire?
Ci aspettiamo una forte richiesta visto l’aumento dell’aspettativa di vita a fronte della crescita di patologie croniche dovute all’invecchiamento della popolazione oltre alla continua crescita di povertà socioeconomiche. Per cui verranno valutate la condizione sociale di chi ne farà richiesta, oltre al suo stato di salute e alle condizioni familiari. Il richiedente dovrebbe essere una persona sola, con difficoltà economiche, e con patologie di cronicità importanti.
Qual è l’aspetto più delicato con il quale dovete confrontarvi, sia rispetto ai pazienti sia rispetto ai familiari?
Quello che vedo attraverso gli occhi dei nostri sanitari è il lato relativo alla gestione dell’ultimo tratto di vita, non tanto dal punto di vista medico, ma soprattutto nella relazione con il paziente e la sua famiglia. A volte arrivano pazienti che non sanno di trovarsi alla fine dei loro giorni, in questo caso la gestione è particolarmente delicata da parte dei nostri sanitari. La conoscenza delle cure palliative, come ci ha rilevato una ricerca che abbiamo commissionato a IPSOS lo scorso anno è cresciuta negli anni, ma nella categoria medici c’è ancora molto da fare, va meglio per i medici del territorio, la cosa si complica per i medici ospedalieri e i pediatri . Oppure quando il paziente è consapevole del suo stato, ma i suoi familiari non lo accettano o lo rifiutano, anche qui la gestione delle relazioni è molto delicata, ci vuole una gestione corale di tutta l’équipe che deve lavorare in sinergia. Assistiamo casi di pazienti con dolori estremi che chiedono di morire, i medici devono cercare di diminuire il dolore acuto per far ritrovare al paziente una relazione personale all’interno del suo contesto familiare. Abbiamo visto vite che sembravano chiuse nei rapporti con i famigliari poi riaperte anche se brevemente; un padre con i figli; due coniugi ecc, negli anni abbiamo avuto ospiti che hanno anche deciso di sposarsi prima che la moglie o il marito morisse. Quello che a volte si percepisce è che la vita può essere un istante, la vita è il presente e in quel presente devi cercare di stare in una relazione più ampia, essere capace di discernere le cose più importanti da quelle che valgono meno, perché a breve potrebbero non esserci più, in questo senso i pazienti insegnano tantissimo. Assistere le persone nell’ultimo tratto della vita crediamo sia un privilegio.
Cos’è il testamento biologico?
È una parte di una bellissima legge, la numero 219 del 2017 votata in Senato con un decorso parlamentare travagliato tipico di tutte le questioni etiche. La legge dà la possibilità ad ognuno di noi, nel pieno delle nostre facoltà, magari in età avanzata, di dare disposizioni relativamente al proprio fine vita. Nella legge c’è anche il consenso informato e la pianificazione condivisa delle cure c’è in pratica la condivisione e la richiesta, con il medico di riferimento, di fare un percorso di cure di un certo tipo. In sintesi, con il termine testamento biologico, si lasciano disposizioni per accettare o rifiutare trattamenti sanitari nell’ultima parte della propria vita. È una legge semplice e comprensibile a tutti, che sancisce il diritto all’autodeterminazione della propria vita, purtroppo ancora poco conosciuta per questo VIDAS ha lavorato per un’ampia informazione e sensibilizzazione. Abbiamo aperto anche uno sportello che offre un servizio gratuito, una consulenza da parte di un medico e di uno psicologo che assistono il richiedente nella compilazione pratica della modulistica relativa al Biotestamento. È una legge di grande civiltà.
Le vostre équipe sono multidisciplinari, ma immagino che tutti i professionisti debbano avere un fattore in comune, che vada oltre alla preparazione professionale, ma che coinvolga più l’aspetto emotivo ed empatico…
In cure palliative è fondamentale il sostegno dell’équipe. La condivisione di un caso particolarmente complicato rende meno difficile il percorso di cure per il paziente e per i sanitari stessi. Il singolo professionista nella condivisione e nello scambio di informazioni trova sostegno e aiuto da parte dei colleghi. Anche per questo le cure palliative vanno fatte in équipe, il carico sul singolo può essere veramente troppo pesante a livello emotivo.
Come si gestisce il burn out?
C’è qualche collaboratore che entra ed esce nel breve periodo perché non si sente pronto ad affrontare il tipo di assistenza che noi forniamo, la maggior parte invece è con noi da molti anni, innamorata del proprio lavoro. VIDAS è una comunità dove, pur trattando la morte, si parla di vita, e se ne parla sempre, fino all’ultimo istante, questo aiuta a creare l’osmosi che sostiene chi lavora da noi. Siamo mossi da una forte complicità anche tra le diverse aree che convergono però verso un obiettivo comune che è il paziente e la sua famiglia.
Un cittadino come può aiutare e sostenere Vidas?
Ci sono diverse modalità di sostegno, dal 5×1000 che non costa nulla e che ci dimostra ogni anno che VIDAS è una realtà con un altissimo credito e gode della fiducia di circa 30.000 firmatari ogni anno. Accanto a questa, ci sono forme di sostegno diretto attraverso donazioni che possono essere legate a progetti ad hoc – si può decidere di legare il proprio contributo all’assistenza agli adulti o a quella pediatrica e a causali ancora più specifiche, ad esempio a un appello di raccolta fondi destinato a sostituire tutti i letti dell’hospice o acquistare nuovi ausili come le carrozzine, i sollevatori, tutto ciò che serve al malato curato a domicilio così che la casa possa essere un luogo protetto come l’ospedale. Sul nostro sito le varie forme di sostegno sono molto ben spiegate così come tutti i canali attraverso cui si può fare una donazione. Una parte non piccola di quelle che riceviamo è legata al ricordo di persone che sono state assistite – cosiddette in memoria – generate da un sentimento di gratitudine delle famiglie per la grande umanità con cui mamme, papà, mogli, mariti sono stati curati.
Per quanto riguarda la sensibilizzazione quali sono le forze in gioco?
È la seconda finalità istituzionale e fa capo alla Fondazione Vidas, non ci limitiamo ad organizzare convegni rivolti alla cittadinanza, lavoriamo molto anche con le scuole di ogni ordine e grado. Abbiamo iniziato nel 2010 a raccontare ai ragazzi le nostre attività, nel 2014 con la legge sulla buona scuola di Renzi, che incentivava l’alternanza scuola lavoro (oggi PCTO), i ragazzi hanno iniziato a venire da noi dimostrando una sensibilità e maturità inaspettate. L’ultima iniziativa rivolta ai giovani è stato un concorso, organizzato con l’Accademia di Brera, per cercare di sensibilizzare gli studenti sul tema della relazione, sul riconoscimento dell’altro. Sono state realizzate 52 opere, tra queste ne sono state premiate 4. Al di là degli aspetti pratici dai quali non si può prescindere, in Vidas cerchiamo di parlare anche del pensiero che sta alla base delle cure palliative, che riguarda il modo di vedere la vita, di viverla, di apprezzarla maggiormente, soprattutto per chi la sta lasciando. Questi sono i valori che cerchiamo di trasmettere ai ragazzi, oltre al tema del dono, della gratuità, il concetto di ricevere e restituire è uno dei concetti più belli. La sensibilizzazione è rivolta anche ai bambini delle scuole elementari. C’è un progetto pilota qui nel nostro quartiere, in forza di un ottimo rapporto con il Municipio 8, dove la nostra educatrice e la nostra psicologa svolgono attività separate con bambini, genitori e insegnanti. Si affrontano i problemi legati alla separazione, alla perdita, non solo legate al lutto ma a tutte quelle separazioni che fanno parte della vita: divorzio tra i genitori, la separazione dalla giovane fidanzata o fidanzato o banalmente il passaggio dalle scuole elementari alle medie, anche questo rappresenta un “lutto” che deriva dalla separazione dei rapporti instaurati precedentemente. Un altro ambito è quello di aiutare i genitori a parlare della morte al proprio figlio. Molti ci chiedono come fare in famiglia ad affrontare la malattia o la morte dei nonni e come rapportarsi con i figli spesso ancora piccoli. Le richieste riguardano spesso la difficoltà di gestire il lutto magari di un bambino che ha recentemente perso un nonno o magari anche il genitore, subentra in questo caso anche la gestione dell’intera classe intesa come gruppo. Anche su questi temi c’è tantissima richiesta.
Parliamo un po’ del Presidente de Bortoli…
Quando si è ammalata la Signora Cavazzoni, con lungimiranza, ha iniziato a pensare a una successione. De Bortoli che era già membro del nostro Consiglio Direttivo, liberato dagli impegni legati dalla direzione del Corriere della Sera, prendendosi il tempo necessario per decidere, nel 2016 è diventato Presidente di Vidas. La sua collaborazione e conduzione, le sue conoscenze e la sua grande disponibilità sono state e sono determinanti per lo sviluppo della nostra organizzazione, riuscendo a motivare e a coinvolgere un mondo che altrimenti resterebbe estraneo a temi a noi cari. Cambiamenti che tra il 2022/2023 hanno riguardato anche la direzione generale assunta da Antonio Benedetti che ha preso il posto di Giorgio Trojsi, andato in pensione dopo 32 anni. Benedetti ha una lunga esperienza manageriale in aziende importanti che ha messo a disposizione la sua grande esperienza e il proprio know how al mondo no profit. Mario Usellini è presidente della Fondazione, ha affiancato e sostenuto la Sig.ra Giovanna Cavazzoni fin degli inizi del cammino VIDAS.
Eventi futuri?
Il 7 maggio al Teatro Nazionale di Milano ci sarà un concerto di raccolta fondi con Elio e le storie Tese, sul sito ci saranno tutte le indicazioni per acquistare i biglietti. Elio è persona di grande sensibilità, noi abbiamo assistito in passato la sua nonna, è stato testimonial di VIDAS per la campagna dei 40 anni.
Foto di copertina di Alberto Calcinai
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