Terzo Settore

Il terzo settore messo alla porta

19 Giugno 2024

Magari un po’ se l’è cercata, ma qualcuno lo ha accompagnato alla porta. Sta di fatto che il terzo settore, quello istituzionalizzato nel nuovo codice normativo e accreditato nei sistemi di welfare pubblici, fa sempre più fatica a stare dentro l’alveo dove è nato ed è prosperato ovvero le comunità locali. Solitamente quando si solleva il tema della “de comunitarizzazione” del terzo settore si assiste a un mea culpa da parte di quei soggetti, imprese sociali soprattutto, che hanno preferito concentrarsi sulla produzione di beni e servizi che per quanto di pubblica utilità sono diventati sempre più sterili rispetto ai contesti. Prestazioni sociali, educative, sanitarie progressivamente colonizzate da modelli aziendalistici e burocratici.

Ma questa è solo una parte della storia. Finito il pianto greco c’è un altro versante che è legato all’ingresso di nuovi attori nel campo comunitario che si qualificano, almeno in termini narrativi, come competitor del terzo settore. Scaturiscono da ecosistemi d’innovazione composti da centri di ricerca, think tank, società di consulenza, gestori di spazi di coworking e incubatori, testate digitali, designer dei servizi, piattaforme di crowdfunding ecc. e si caratterizzano essenzialmente per due aspetti: alimentare una narrativa “radicale” dell’innovazione sociale e approcciare il fare comunità in termini di accompagnamento e capacitazione.

Alle istituzioni pubbliche e filantropiche che apportano risorse per sostenere questi processi non pare vero: finalmente possono sostenere soggetti che abilitano il protagonismo di cittadini e gruppi informali stando alla larga da enti di terzo settore che si concentrano sulla fornitura di prestazioni badando soprattutto alla loro sostenibilità in termini organizzativi ed economici.

Ma il ridimensionamento, o addirittura l’uscita di scena, dei provider di terzo settore dai processi comunitari non è privo di conseguenze. I servizi, quelli stabili e continuativi, sono parte integrante di quella intelaiatura che sostiene l’infrastrutturazione sociale e sulle quale si possono agganciare istanze di protagonismo e concrete realizzazioni delle comunità. I servizi di interesse collettivo, di welfare in particolare, creano le condizioni in termini di ben-essere, sicurezza e inclusione che consentono innovazioni sociali emergenti. Ma questi stessi servizi spesso fanno anche da incubatore per nuove startup comunitarie che ne migliorano qualità ed efficacia. Per non parlare delle competenze di ordine gestionale e rendicontativo che possono essere messe a disposizione da enti di terzo settore più consolidati a favore di nuovi attori comunitari per alleggerire il carico della compliance rispetto a norme, autorizzazioni, ecc.

In nome di una ideologia che separa i servizi dai contesti e che probabilmente è figlia di una lotta di potere rispetto a chi ha la leadership sui processi comunitari si stanno quindi creando ecosistemi d’innovazione dove soggetti accompagnatori che “non toccano con mano” i bisogni si contrappongono gestori di servizi rappresentati come sempre più chiusi su se stessi. Non un gran risultato, ed è un eufemismo, in una fase in cui da più parti si segnala una nuova “voglia di comunità”.

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