Sanità

Con il DDL Concorrenza si potrà lucrare sulla raccolta sangue

19 Aprile 2022

Il DDL concorrenza colpisce anche il sangue. Per comprendere meglio il problema è doveroso fare un po’ di storia.

Nel lontano 1926 mancava il sangue da trasfondere e quel poco che c’era era riservato solamente a chi aveva i mezzi economici per procurarselo. In quell’anno, l’allora giovane medico Vittorio Formentano, a conclusione di una giornata di lavoro, nella quale aveva dovuto rassegnarsi, sconfitto di fronte ad una madre spentasi per grave emorragia da parto per la mancanza di sangue da trasfondere, decise di costituire un gruppo di donatori di sangue volontari. Da lì si costituì l’embrione della futura AVIS. Gli obiettivi prioritari miravano a predisporre elenchi di donatori disposti, dietro chiamata, ad accorrere presso i presidi sanitari, soccorrendo con il dono gratuito del proprio sangue una vita in pericolo e con l’intento, non trascurabile, di controbattere la tendenza alla compra-vendita dello stesso. Anni dopo il governo fascista tentò di boicottare l’opera dell’AVIS e di contrapporre ai volontari avisini i donatori di sangue retribuiti. Fortunatamente nel 1945 furono riconosciuti i meriti di Formentano con la promulgazione della legge del 1950 che attribuiva all’AVIS, nel settore emotrasfusionale, compiti paritetici a quelli del C.R.I. all’epoca responsabile del Centro Trasfusionale Nazionale di Roma.

La donazione di sangue avveniva quindi come oggi in forma anonima e gratuita. Oggi AVIS compie 95 anni e il problema si ripresenta.

Il disegno di legge “Concorrenza” proposto dal Governo il 4 novembre scorso, e attualmente in fase di esame presso la Commissione competente in Senato, mette in discussione il principio cardine del sistema sangue italiano, ossia la gratuità della donazione. Con una formula volutamente generica e solo in apparenza innocua – evitando cioè di menzionare il principio della “non rimborsabilità” della donazione – la politica sembra cominciare a cedere alle pressioni di un mercato farmaceutico da sempre interessato al sistema sangue italiano.

Il pericolo è che venga scardinato un sistema costruito in lunghi anni di negoziazioni e valutazioni. Un modello ammirato in tutto il mondo rischia infatti di essere messo in crisi per un gioco al ribasso che alla fine farà male a tutti, salvo le poche multinazionali che si spartiscono il mercato degli emoderivati. Il provvedimento potrebbe davvero incidere sul futuro della raccolta sangue in Italia. Il Presidente di Avis Nazionale, Giampietro Briola, nel corso della recente audizione in Senato, sottolinea alcune possibili ambiguità che potrebbero depotenziare il principio del dono gratuito in Italia, ovvero uno dei principi fondativi del dono etico (gratuità, anonimato, volontarietà, organizzazione e associazione) con l’apertura surrettizia a dei rimborsi che non fanno parte della nostra cultura del dono e altro non sarebbero che forme di pagamento diversificate. La relazione illustrativa della proposta di legge afferma che “non si considera remunerazione il rimborso delle spese sostenute dal donatore o altre forme di indennizzo ristorativo, ma non lucrativo (es. check-up gratuito, piccoli omaggi, spuntino, buono pasto, rimborso per spese di viaggio, corresponsione del guadagno giornaliero non incassato, congedi speciali per assenza dal lavoro nel settore pubblico) che non inficia la gratuità della donazione ma è con essa compatibile”. «La sottile differenza tra remunerazione e rimborso produce infatti una fattispecie difficilmente distinguibile nella realtà, aprendo il sistema trasfusionale volontario e gratuito a pericolose prassi di commercializzazione del sangue e dei suoi derivati. Sotto questo profilo, è peraltro significativo ricordare che il Codice del Terzo Settore (art. 17 del D.Lgs. 117/2017) vieta la possibilità di rimborsare i volontari in modo forfettario.” Il Presidente, durante il suo intervento in Senato, ha poi ricordato quanto il modello volontario e solidaristico della raccolta abbia permesso al nostro Paese, a differenza di quelli in cui il sistema è remunerato, di reggere l’urto della pandemia: «La raccolta di plasma del 2020 si è ridotta in Italia del -2% ed è aumentata nel 2021 del 4%, rispetto al 20% di riduzione registrata negli USA. In più la qualità certificata del sangue e del plasma raccolti è ad assoluta tutela della salute dei donatori. Dove è remunerata o rimborsata – conclude Briola – i donatori possono donare due volte alla settimana, mentre in Italia, i più assidui, massimo una volta al mese, con una qualità di prodotto non certo identico e con pari rese di estrazione industriale. Negli USA ai donatori viene addirittura rilasciato un bonus a punti, per cui vengono remunerati al raggiungimento del numero di donazioni nel tempo previsto. Durante la pandemia il rimborso, che in media è di circa 15-20 dollari, è stato aumentato in alcuni casi fino a 80 per far fronte al calo delle raccolte dovute alle pandemie e ai sussidi sociali dell’amministrazione Biden».

Esiste poi il tema del frazionamento del plasma e della produzione dei farmaci plasmaderivati in conto terzi. È corretto ricordare che in Italia, grazie al metodo del conto terzi, la proprietà del plasma, inviato alle aziende produttrici di farmaci plasmaderivati, resta sempre pubblica e i farmaci prodotti sono restituiti  al Sistema Sanitario Nazionale. Salvo per le aziende che trasformano il plasma in emoderivati viene consentito trattenere una quota di prodotto quale corrispettivo per i costi di lavorazione sostenuti. Per inserirsi in questo meccanismo, le aziende produttrici (multinazionali che hanno impianti in diversi punti d’Europa e del mondo) devono partecipare ai bandi pubblici organizzati dai 4 raggruppamenti regionali che racchiudono tutte le regioni italiane e imporsi grazie alla migliore offerta qualità-prezzo del servizio. Poiché la raccolta plasma in Italia avviene secondo criteri etici, la legge 219/2005  finora in essere ha sempre tutelato la gratuità del dono, impedendo (pur tra ricorsi e zone ambigue) che la lavorazione del plasma italiano avvenisse in impianti localizzati in Paesi, nei quali la raccolta sangue non è totalmente gratuita.

Il Governo, per timore di incorrere in sanzioni europee, intende rimuovere questo limite. “La novità principale è la rimozione del divieto di lavorare il plasma etico italiano nei Paesi dell’Unione Europea ove il plasma raccolto sia oggetto di lucro – spiega Briola –  Al comma 3 dell’art. 17 è scritto che il plasma nazionale può essere lavorato negli Stati membri dell’UE (e anche in Stati terzi con il mutuo riconoscimento dell’ Unione Europea), nel cui territorio il plasma ivi raccolto provenga esclusivamente da donatori volontari non remunerati; questo di fatto modifica la concorrenza rendendo possibile la lavorazione del plasma italiano in stabilimenti industriali ora preclusi”. Se il DDL fosse approvato così com’è, il rischio sarebbe dunque di affidare il plasma italiano ad aziende che hanno stabilimenti in Paesi in cui la raccolta sangue avviene a fini di lucro, alle multinazionali e alle aziende di Stato di altri Paesi, magari operanti in regime di monopolio. In questo gioco al miglior offerente viene sminuito il ruolo delle associazioni di donatori, tra cui AVIS, che non è solo diffondere la cultura del dono del sangue, ma anche vigilare sulla corretta gestione del sangue. Ancora prima dell’inizio della cosiddetta “filiera del sangue”, che è e deve restare nelle mani del Servizio Sanitario Nazionale, con le sue articolazioni a livello regionale e aziendale, AVIS è il garante e il controllore del sistema. Protagonisti di esso sono i medici trasfusionisti e i dirigenti sanitari e amministrativi che mettono insieme la medicina trasfusionale (che risulta essere un costo) con la produzione dei medicinali plasmaderivati (attività economicamente vantaggiosa).

 

 

 

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