Startup
Weschool: come ti ribalto la didattica
Ci sono volte in cui parlare di una start up e di un progetto innovativo viene proprio dal cuore. Ed è così perché hai avuto la possibilità di seguire la nascita di un progetto, di guardarlo un po’ dietro le quinte, di vedere come un gruppo di persone riesce a fare una cosa bella: è il caso di Weschool, “il coltellino svizzero della didattica digitale“, come lo ha definito il CEO di Oilproject, Marco De Rossi.
Weschool è una piattaforma per la gestione della didattica, in tempi in cui finalmente la scuola sta cambiando e sta cambiando rapidamente. C’è un TED parecchio famoso in cui Anant Agarwal, di Edx, sottolinea come education sia uno di quei settori che, nel corso dei secoli, è cambiato meno di altri.
Ci sono sempre delle aule e ci sono sempre dei professori che, dalla cattedra, fanno la loro lezione.
Finalmente, quindi, è arrivato il tempo (e la possibilità) di dare una svecchiata salutare.
La tecnologia e la digitalizzazione stanno profondamente cambiando il settore, con la classe ribaltata e la possibilità di rendere l’apprendimento divertente e decisamente engaging.
Ecco perché la definizione di De Rossi è proprio azzeccata: Weschool riesce nell’intento di dare all’insegnante, come dice anche la frase di lancio, dei superpoteri o, più prosaicamente, delle funzionalità che rendono la lezione semplicemente stimolante.
Disponibile in inglese, spagnolo e italiano, Weschool è la prima piattaforma al mondo che permette di integrare un video di YouTube, un articolo di giornale, un corso di inglese di Duolingo, un videoquiz, un libro di testo, un testo collaborativo di Google Docs, un lavoro di gruppo su Instagram e qualsiasi altro contenuto o servizio disponibile su Internet… in un’unica esperienza di apprendimento e senza dover saltare da un sito web all’altro. La chiave metodologica è usare collaborazione e interazione per permettere ai prof di coinvolgere di più gli studenti, tenere alta l’attenzione in classe e rendere la didattica più efficace. La tecnologia è solo uno strumento.
Anzi: una scusa.
Weschool consente al docente di sperimentare, di coinvolgere lo studente con esercizi, compiti mirati o stimolando la discussione attraverso una comunicazione diretta e veloce.
La didattica in Italia (parlo da docente) ha spesso un che di passivo nella fruizione: lo studente arriva in classe e, in qualche modo, si aspetta la lezione senza troppa voglia di fare domande.
Ma è davvero così?
O è piuttosto l’inerzia a far sembrare questa una verità incrollabile?
Nella fase di test, proprio la possibilità di Weschool di rendere più orizzontale e dinamico l’apprendimento si è tradotto in un maggiore coinvolgimento nei tanti istituti (scuole superiori e università) che hanno preso parte alla fase di beta e (qui sì che ci sta bene la parola tanto di moda) in una user experience finalmente piena di significato.
Nel suo Itis Galileo Marco Paolini raccontava della capacità di Galileo di innovare, in un vecchio sistema universitario, non tanto perché si è messo a insegnare la rivoluzione copernicana, ma più che altro perché la rivoluzione copernicana l’ha fatta mettendo in discussione il metodo stantio dell’auctoritas.
Ecco, in un paese un po’ abituato a titoli, chiacchiere e autoreferenzialità, Weschool ha il merito di aprire la finestra e fare quello che ogni scuola dovrebbe perseguire come obiettivo: mettere al centro lo studente per rendere il docente davvero protagonista della lezione.
Lasciando perdere la retorica del giovanilismo, fa abbastanza piacere vedere che l’età media di chi lavora in Oilproject è di 28 anni. E che nel paese dei piagnistei c’è un’azienda innovativa che, con passione e un fare abbastanza sbarazzino, entra in un mercato dove i competitors sono giganti come Google Class, Edmodo e Apple Itunes U.
C’è una frase di Benjamin Franklin con cui è proprio il caso di chiudere questo post: “Tell me and I forget, teach me and I may remember, involve me and I learn“.
Weschool: contro i rischi dell’inerzia pigra, lo strumento giusto per farsi fulminare dall’insegnamento.
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